Alla camera la destra prevale per soli 21 voti. Opposizioni unite contro. Schlein; «Fuga annunciata, un colpo a 3 milioni e mezzo ai lavoratori poveri e poverissimi». Conte: «Vogliono nascondersi senza mettere la faccia sulle proprie scelte». Nuovo match fra maggioranza e opposizione già nel pomeriggio
Passa per soli 21 voti il rinvio della discussione sul salario minimo in commissione lavoro della Camera. Inizia già nel pomeriggio la nuova tappa dell’interminabile andirivieni di un testo che la maggioranza cerca di spedire su un binario morto, ma senza bocciare apertamente, consapevole che il provvedimento gode del favore non solo del mezzo milione di lavoratori che ha firmato la petizione delle opposizioni (il numero, fin qui un po’ generico per la verità, lo ha annunciato in aula la segretaria del Pd Elly Schlein) ma anche di una parte consistente del proprio elettorato.
La richiesta di ritorno in commissione circolava da giorni, come Domani ha raccontato. Alle 10 e 30 Walter Rizzetto, il presidente Fdi della commissione, pronuncia la proposta in aula. La ragione, spiega, è che dopo il parere espresso dal Cnel, un no al salario minimo legale, servono «ulteriori approfondimenti».
Inutile la richiesta del Movimento cinque stelle di convocare la giunta del regolamento, i precedenti di un passaggio del genere sono solidi, la presidente di turno Anna Ascani, che è del Pd, li legge e ammette che «non può che consentire il voto».
Schlein e Conte, le opposizioni si ricompattano
A essere sballottato da una punto a un altro di Montecitorio è il testo unitario delle opposizioni, tutte tranne Iv. Che per una volta ritrovano una voce unitaria. Da questa parte parlano i segretari di partito, per sottolineare l’importanza della questione. Inizia Schlein: «È la cronaca di una fuga annunciata», «un colpo ai 3 milioni e mezzo ai lavoratori poveri e poverissimi, non solo al mezzo milione» di quelli che hanno votato la legge nei banchetti durante tutta l’estate, «per la presidente Meloni, un modo per buttare la palla in tribuna».
«Non c’è solo un problema di fuga dalla realtà ma anche un’operazione faticosa di depistaggio dalle responsabilità», secondo Matteo Richetti, capogruppo di Azione e Italia viva. «Almeno dite “noi non vogliamo il salario minimo”. Ma voi non volete prendere questa responsabilità», «Torniamo in commissione, ma a fare che?».
Se l’intenzione della maggioranza è raccogliere la proposta del Cnel, che in sostanza sostiene che la questione dei salari bassi si risolve nella contrattazione collettiva fra parti sociali «vi do una notizia, la contrattazione c’è già». «Meglio dire la verità: non avete un’idea, non avete una proposta», secondo Nicola Fratoianni (Alleanza rossoverde), «In Italia c’è una gigantesca questione salariale che non riguarda solo i lavoratori e le lavoratrici povere. Ma a loro oggi date un schiaffo in faccia».
Parla anche Giuseppe Conte (M5s), va oltre il suo tempo e la presidente Ascani alla fine deve togliergli la parola: «C’è una volontà deliberata di nascondersi, senza mettere la faccia sulle proprie scelte, Giorgia Meloni è stata votata per decidere non per nascondersi dietro il Cnel di Brunetta, di cui avete riscoperto l’essenzialità», «Il vostro obiettivo è rispedire la nostra proposta per farla morire lì».
Anche perché, aggiunge Riccardo Magi, di Più Europa, la riscoperta del Cnel, su cui si basa la richiesta di ritorno in commissione, per la destra è un fatto recente: «Quante volte il Cnel ha espresso pareri che voi non avete accolto?», «Perché trasformate le proposte in emendamenti? Perché non vi assumete la responsabilità di votare i vostri emendamenti?». Per le opposizioni la risposta è chiara: la destra non vuole il salario minimo, ma non può permettersi di votare no davanti ai lavoratori.
La maggioranza si difende
La destra cerca di difendersi come può. La Lega manda avanti un parlamentare non precisamente di prima fila, Virginio Caparvi, a sostenere che il problema «non è il cosa», cioè aumentare i salari, «perché è giusto giusto pagare adeguatamente i lavoratori, ma il come», e cioè il salario legale. E Forza Italia fa parlare Chiara Tenerini, che spiega che ad agosto la maggioranza ha ritirato la soppressione della legge, proposta da Rizzetto, non per non mettere la faccia su una scelta rivelatasi imbarazzante di fronte al proprio elettorato ma perché si era accorta «che il tema è complesso».
Maurizio Lupi (Noi moderati) sfoggia una maggiore esperienza retorica: accusa, e non senza ragioni, Pd e Cinque stelle di non aver approvato il provvedimento quanto erano loro a governare: «Aumentare i salari è una priorità della maggioranza, ed in legge di bilancio è stato confermato il taglio del cuneo fiscale e ci sono misure che aumentano gli stipendi delle le donne con figli e misure importanti per le famiglie. Ma per aumentare ancora stipendi e salari dei lavoratori non servono ‘lezioncine’ ma un confronto vero e non ideologico: partiamo dalle proposte del Cnel e lavoriamo su quelle».
Concetto che piace a Tommaso Foti, capogruppo Fdi, che è andato a ricercarsi un precedente: «Nel 2014 il M5s ha presentato una proposta di legge, e sapete qual era? 9 euro. È uno sbaglio o una presa in giro il fatto che quella di oggi la stessa cifra?».
Ma anche Fratelli d’Italia e Lega hanno qualcosa da far dimenticare. I primi una legge firmata proprio da Rizzetto, nel 2019, che chiedeva l’«istituzione del salario minimo orario nazionale». I secondi un presidio sotto Montecitorio, più recente, a cui partecipò nientemeno che Matteo Salvini. In quell’occasione la pensava diversamente da oggi. Lo spiegò così: «Se il salario minimo riguarda i lavoratori non tutelati, non coperti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, è assolutamente sacrosanto».
Il voto si celebra, la maggioranza prevale, partono i cori di rito dei Cinque stelle, «Vergogna, vergogna». Il testo sul salario minimo riparte in commissione lavoro già nel pomeriggio, alle 14. «La nostra battaglia nella raccolta delle firme e in parlamento sarà implacabile», annuncia Angelo Bonelli. Le opposizioni si coordinano, probabile un avvio di operazione di filibustering. Con l’obiettivo immediato di rallentare la discussione per tenerla “calda” nel dibattito pubblico.
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