Il ministro con un’informativa urgente ha spiegato che la detenzione in ambasciata non è possibile per problemi logistici e di sicurezza. «Se via Arenula avesse autorizzato la detenzione nella nostra ambasciata non mi sarei opposto». Ma ribadisce che non interferirà con l’Ungheria
Dopo settimane di polemiche sul caso di Ilaria Salis, l’italiana detenuta da un anno in Ungheria in attesa di processo, il ministero degli Esteri conferma la linea del governo: rimanere immobili, riconoscendo all’Ungheria completa autonomia «di esercitare giurisdizione penale per reati commessi sul suo territorio». Al netto dell’attività dell’ambasciata nell’assistere Salis sui bisogni primari – e neppure da subito vista la rigidità del sistema ungherese – l’unico intervento attivo del governo è che «venga riservato alla nostra connazionale un trattamento di dignità e rispetto e un giusto processo». Con queste parole il vicepremier e ministro Antonio Tajani, in una informativa urgente alla Camera, ha sancito la scelta del governo di non interferire, negando anche la possibilità di offrire l’ambasciata come sede per scontare gli arresti domiciliari in Ungheria. Una decisione, questa, che Tajani ha scaricato sul ministro della Giustizia Carlo Nordio: «Se il Ministero dell'Interno e della Giustizia avessero autorizzato una tale ipotesi non mi sarei opposto». Invece, Nordio ha detto no ai difensori di Salis, che speravano di ottenere una argomentazione nuova per presentare l’istanza, già rigettata tre volte dai giudici ungheresi.
«Nordio ha illustrato le ragioni di diritto e di fatto per cui la richiesta di sostituzione della misura cautelare presso l'Ambasciata italiana non è possibile», visto che «un'interlocuzione epistolare tra un dicastero italiano e un organo giurisdizionale straniero sarebbe irrituale e irricevibile. La decisione sullo stato di libertà dell'indagato compete solo al giudice ungherese», ha ripetuto Tajani. In realtà, però, esistono precedenti di note inviate dal ministero della Giustizia per sancire l’equipollenza degli arresti domiciliari in Italia rispetto alle condizioni richieste da altre giurisdizioni. L’ultima firmata dalla ministra Marta Cartabia.
Invece, per Tajani la presenza di Salis in ambasciata solleverebbe addirittura problemi di «sicurezza nazionale». Servirebbero «lavori per creare un'apposita area di detenzione e un incremento del numero dei carabinieri» e «ci sono documenti riservati, c'è un ufficio cifra, non è una casa riservata, deve essere preservata la sicurezza e qualsiasi detenuto deve preservare la sicurezza dello Stato», ha spiegato. In realtà, come ha sottolineato nel suo intervento il dem ed ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, la richiesta dei difensori di Salis era di «utilizzare la residenza privata dell'ambasciatore e non l'ambasciata», dove i problemi di sicurezza teorizzati da Tajani non sarebbero esistiti.
Il dietro front su questo punto è stato evidente: persino il presidente del Senato, Ignazio La Russa, si era espresso favorevolmente rispetto ai domiciliari in ambasciata. Invece, il colloquio tra Giorgia Meloni e Victor Orban a margine dell’ultimo vertice europeo ha di fatto stoppato qualsiasi iniziativa più forte dei cortesi tentativi di moral suasion. Tentativi che hanno prodotto «il netto miglioramento delle condizioni di detenzione» sugli «aspetti igenici, sanitari e sulla dieta» e «con un approccio più cortese del personale», ha rivendicato come un successo il ministro.
La difesa di Tajani
Dalla relazione di Tajani, tuttavia, è emerso un fatto: il governo ha concretamente cominciato ad occuparsi del caso Salis solo quando sono state pubblicate le fotografie della donna ammanettata in aula, il 30 gennaio. Prima di questo momento la gestione è stata quella ordinaria da parte dell’ambasciata, con assistenza sui bisogni basilari della detenuta, che aveva già lamentato cibo avariato, la mancanza di accessori igenici e l’impossibilità di comunicare con l’esterno.
Se le foto delle manette in aula hanno svegliato il governo, non sono però state sufficienti a produrre effetti concreti: «Sono pratica comune prevista dalla normativa locale», che «non appare in linea con lo spirito delle norme europee» e per questo motivo Tajani «ha chiesto con dichiarazione pubblica al governo ungherese di vigilare» affinché vengano rispettati i diritti di Salis previsti dall'Ue.
In questo modo, dunque, il governo Meloni chiude di fatto il caso Salis in attesa della prossima udienza del 24 maggio, dove la donna certamente sarà ancora con le manette a mani e piedi. Intanto, nel corso del fine settimana che segna l’anniversario di un anno di detenzione per Salis, a Budapest si svolgerà il raduno neonazista del “Giorno dell’onore” e l’Ungheria di Orban, contro cui il governo Meloni ha chiarito di non voler alzare la voce, continua ad essere considerato a rischio dal punto di vista del pieno rispetto dello stato di diritto: l’ennesima prova è la procedura d’infrazione aperta dalla Commissione europea per la “legge sulla sovranità”, che autorizza lo Stato con i servizi segreti a indagare su persone e organizzazioni sospettate di minare la sovranità del paese. L’ultima trovata di Orban per controllare gli oppositori. Infatti, è stata considerata incompatibile con i principi comunitari.
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