Il saluto di Meloni. «Andiamo a fine legislatura». Il leghista avverte: «Siamo decisivi». Confindustria contro l’isolazionismo: «Niente panico ma l’Europa negozi insieme»
Al congresso della Lega a Firenze, Matteo Salvini – candidato unico – è stato rieletto per acclamazione segretario federale del partito. Rimarrà in carica fino al 2029 e ha inaugurato la sua segreteria con almeno un obiettivo chiaro: tornare al Viminale.
Sabato la richiesta era arrivata da una combinata dei due capigruppo, nonostante al ministero dell’Interno sieda Matteo Piantedosi, tecnico sì ma scelto dalla Lega. «Piantedosi è un amico e un ottimo ministro, ma è mio dovere ascoltare quello che gli elettori ci chiedono. Per questo parlerò sia con lui che con Meloni», ha detto Salvini.
L’ipotesi per lui sarebbe la candidatura – difficile – alla presidenza della regione Campania. Per ora dall’entourage del ministro filtra solo attesa, dalle file di Forza Italia è già stato recapitato un secco no, e una implicita risposta è arrivata già dal messaggio che la premier ha inviato al congresso: «Siamo tra i cinque governi più duraturi della storia e dopo due anni e mezzo possiamo ancora contare sul consenso della maggioranza degli italiani». Come a dire che difficilmente la compagine ministeriale potrà essere modificata, perché il rischio sarebbe quello di un Meloni bis.
L’ago della bilancia
La giornata è stata dedicata agli interventi degli ospiti stranieri, in particolare quello di Viktor Orban e soprattutto di Marine Le Pen, che ha parlato di «violenza» contro di lei per escluderla dalle elezioni e di «tentativo di manipolazione della democrazia». La «nostra sarà una lotta civile e democratica, pensiamo a Martin Luther King», ha detto.
A seguire, la cifra del discorso conclusivo di Salvini è stata l’amarcord. Una carrellata dei vecchi manifesti leghisti degli anni Novanta, ripetuti rimandi a Umberto Bossi, con cui pure in passato i rapporti erano stati burrascosi, e un ritorno agli slogan della Lega dura e pura: radici cristiane, famiglia tradizionale, lotta all’immigrazione e «prima gli italiani», autonomia subito, anche perché «va mano nella mano col premierato», è il ragionamento che è anche un primo avvertimento a Fratelli d’Italia. Ad ora, entrambe le riforme sono arenate in parlamento, almeno temporaneamente.
Tre le priorità, allora: «Lavoro, pace fiscale e sicurezza», condite con l’ennesimo attacco alla magistratura, seconda solo ai giornali nella lista degli avversari. Dal palco, infatti, il segretario ha salutato simbolicamente i due sindaci leghisti oggi sotto indagine: la sindaca di Riva del Garda Cristina Santi e quello di Vigevano, Andrea Ceppa, ora agli arresti domiciliari. «Questa è la nostra risposta a chi usa la magistratura per fare battaglie politiche», è stata la chiosa.
Tra una citazione di Martin Luther King e una di Nelson Mandela, Salvini ha concluso con un messaggio ben preciso a Meloni: «Adesso abbiamo meno voti ma siamo decisivi in Italia e in Europa. i voti non si contano, si pesano, lo insegna la storia». Un avviso ai naviganti ben preciso, alla faccia della certezza di concludere la legislatura senza scossoni.
Ora che ha ristabilito gli equilibri interni, Salvini punta a fare della Lega l’ago della bilancia del governo e dunque alzare il tenore delle richieste. Ha già cominciato a farlo, chiedendo per sé il Viminale e la conferma leghista in tutte le regioni del nord dove già governa.
Sulla scia di quanto fatto da tutti gli ospiti europei ed eloquentemente in vista del vertice europeo di oggi, il vicepremier ha anche portato l’ennesimo attacco frontale all’Unione Europea, con tanto di rafforzativo grafico con i manifesti bossiani dei primi anni Duemila. «Il nostro problema è la delega in bianco a Bruxelles, dove qualcuno lavora per uccidere la storia europea» ha detto, aggiungendo che «la Lega vuole dialogare con gli Stati Uniti. Con i controdazi si raddoppiano i problemi», invece bisogna «cancellare il Green deal, il patto di stabilità e i regolamenti». «Megadazi», li ha definiti Salvini, secondo cui «è a Bruxelles il problema per le nostre imprese, lì bisogna usare le motosega di Milei».
Eppure, una piccola macchia nella giornata del trionfo del petto in fuori salviniano c’è stata. Passato forse inosservato, schiacciato tra l’intervento del segretario dell’Ugl e il video di Meloni, al congresso ha preso la parola anche il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, chiamato a legittimare la ricetta leghista per l’economia. Invece, Orsini ha sì convenuto che «non dobbiamo farci prendere dal panico coi dazi e dobbiamo dialogare con gli Usa», ma «l’Ue deve negoziare tutta insieme». Per una ragione molto semplice: «Se in Germania le cose vanno male è un problema anche per noi», sottolineando che il problema principale delle imprese italiane è il costo dell’energia. Poi, forse senza accorgersene, il vertice di Confindustria ha toccato un tasto dolente per i leghisti, dicendo di essere «un europeista convinto» e che «l'Europa dei vaccini ha saputo fare bene». Addirittura, ha lodato il «piano spagnolo da 15 miliardi e quello tedesco contro i dazi». Non esattamente gli esempi più apprezzati in via Bellerio.
Il ritorno di Vannacci
Il congresso è stato anche l’occasione del grande ritorno del generale Roberto Vannacci. In un inedito gessato ma conservando il taglio militare, l’eurodeputato eletto con la Lega ma sempre pronto, secondo i retroscena, a dar vita a un proprio movimento, si è infine tesserato. Addirittura, Salvini gli ha regalato il palco, dove è stato accolto da applausi ma anche qualche fischio. «La Lega deve essere sovranista in Europa per essere autonomista in Italia» e dunque «votare convinta contro von der Leyen», perché «la crisi europea è una sua colpa, non dei dazi di Trump», è stato il suo saluto alla Lega. Ora, l’ipotesi è che prenda l’incarico di quarto vicesegretario, creato ad hoc con una modifica statutaria.
© Riproduzione riservata