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Il leader della Lega chiude la campagna per le amministrative in Piemonte, ma il tour nelle città dove si vota ha mostrato tutte le difficoltà: da Belluno a Verona, ad Aviano e Palermo.
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Eppure, nonostante il territorio gli sia passivamente ostile, proprio Verona sarà il teatro di un tentativo di riavvicinamento nazionale tra Salvini e Meloni. I due si sono accuratamente evitati in tutti i giri elettorali, ma il 9 giugno saranno insieme in piazza dei Signori.
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«Sotto il 15 per cento, Salvini è nei guai», dice un deputato leghista. Tradotto: l’ala governista di cui fanno parte Zaia e Fedriga imputerà alla gestione poco lucida di Salvini un tracollo nelle terre d’origine del leghismo.
La tornata di elezioni amministrative per le quali si voterà il 12 giugno rischia di essere un nuovo inciampo per il leader della Lega, Matteo Salvini. Meno importanti di quelle dell’autunno finite con le debacle di Milano, Roma e Torino, queste comunali serviranno però a misurare i nuovi rapporti di forza nell’alleanza di centrodestra, che ormai sembra sempre più solo di facciata.
Non solo: le campagne elettorali locali sono sempre un utile palco per i leader, che così possono testare la loro tenuta sul territorio e lo stato di salute del proprio partito.
Da questo punto di vista, il tour elettorale di Salvini restituisce una mappa dei luoghi in cui il segretario della Lega si trova in maggior difficoltà. Il primo indicatore si ottiene cominciando dalla fine, quindi dalla chiusura della campagna elettorale il 10 giugno.
Il segretario della Lega ha scelto di giocare sul sicuro: ha optato per il defilato Piemonte, tra Cuneo, Asti e Alessandra. Giocherà in casa, nel territorio del fedele Riccardo Molinari, che è anche capogruppo della Lega alla Camera.
Il Veneto
Il segnale più preoccupante nel corso della campagna per le amministrative è arrivato dal Veneto. La terra che è stata culla del leghismo secessionista è da anni insofferente alla leadership lombarda, soprattutto quella del sovranista Salvini. Anche per questo, l’accoglienza per il segretario è stata decisamente tiepida.
L’incidente di percorso risale al 3 giugno a Belluno, che è sì roccaforte del centrosinistra ma i comuni limitrofi sono tutti leghisti: poca gente all’evento organizzato e applausi stiracchiati, nonostante fosse presente anche il governatore veneto Luca Zaia. Invece, il clima è stato quello teso di un evento poco riuscito e con due comprimari poco abituati a dividersi la scena.
Anche a Padova la situazione è incandescente. Il candidato di centrodestra è il leghista “civico” Francesco Peghin, che però è stato scelto dopo molte discussioni interne direttamente da Salvini su suggerimento dell'ex sindaco Massimo Bitonci. Il nome non ha convinto la componente di Zaia, che è rimasta fredda e saprà farsi valere in caso di sconfitta.
Anche perchè proprio in Veneto è in atto un testa a testa indiretto tra Salvini e Giorgia Meloni, che a Verona ha imposto il candidato uscente Federico Sboarina, da poco iscritto a Fratelli d’Italia. Se Padova fosse persa e Verona vinta, lo smacco sarebbe forte. A Verona, poi, la Lega è in una situazione scomoda: contro Sboarina, infatti, corre anche l’ex leghista e già sindaco “sceriffo” Flavio Tosi, sostenuto da liste civiche e da Forza Italia.
Eppure, nonostante il territorio gli sia passivamente ostile, proprio Verona sarà il teatro di un tentativo di riavvicinamento nazionale tra Salvini e Meloni. I due si sono accuratamente evitati in tutti i giri elettorali, ma il 9 giugno saranno insieme in piazza dei Signori a sostegno di Sboarina.
Insieme a loro ci saranno anche i centristi Maurizio Lupi, Luigi Brugnaro e Antonio De Poli, oltre al governatore Luca Zaia, ma gli occhi saranno puntati tutti su di loro. Sono attesi abbracci almeno di facciata, ma alla vigilia Salvini non ha resistito a lanciare una frecciata all’alleata: «Quindici errori. Fdi a Parma, Viterbo, Jesolo Catanzaro decide di rompere il centrodestra e andare da solo e secondo me fa un errore».
Accanto al Veneto di Zaia, anche il Friuli di Massimiliano Fedriga ha accolto con freddezza il passaggio del leader. Niente folle oceaniche, molti a caccia di selfie ma pochi intorno ad applaudire Salvini ad Aviano e a Gorizia. Nessuno ne è rimasto troppo stupito. Del resto, nelle due regioni del nord est lo scetticismo nei confronti della linea della Lega nazionale è forte e non ha fatto altro che aumentare, fino all’ultimo scivolone del tentato viaggio a Mosca, che ha provocato grande imbarazzo nella componente governista del partito.
Il sud
Salvini è stato il segretario che ha tolto la parola “nord” dal nome della Lega, ma la sua conquista del Meridione sembra subire una battuta d’arresto. Anche la Sicilia, infatti, è diventata per Salvini un territorio difficile: è stato a Palermo il 4 giugno, ma del suo passaggio ha lasciato pochissime tracce sui social.
Qui la Lega in città ha scelto di non presentare il simbolo di Alberto da Giussano ma corre con una lista civica, “Prima l’Italia”. Alla vigilia della campagna elettorale, il segretario aveva presentato l’esperimento come un modo per aprire ai civici e alle varie anime del centrodestra le porte di una Lega federatrice. «Se la cosa riuscirà, la esporteremo anche a livello nazionale», aveva detto Salvini, accolto però dal silenzio degli alleati:
Oggi, a pochi giorni dal voto, Palermo è città da cui Salvini preferisce rimanere lontano: il candidato Roberto Lagalla è stato scelto da Giorgia Meloni e la concessione serviva a stoppare FdI nella richiesta di confermare subito anche la candidatura in Regione di Nello Musumeci. Il risultato è stato raggiunto solo in parte: Meloni non demorde e la questione è solo rimandata a dopo le amministrative.
Queste elezioni amministrative serviranno a Salvini per misurare i rapporti di forza con Fratelli d’Italia in ascesa di consensi, ma anche a capire la sua forza nel partito. In questi giorni gira insistentemente un numero: «Sotto il 15 per cento, Salvini è nei guai», dice un deputato leghista. Tradotto: l’ala governista di cui fanno parte Zaia e Fedriga imputerà alla gestione poco lucida di Salvini un tracollo nelle terre d’origine del leghismo. Fino ad oggi, la forza del leader è stata la sua personale capacità di attirare consenso: se venisse meno, anche la guida di via Bellerio sarebbe in discussione.
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