Il Mef conferma la paternità della norma sugli extraprofitti delle banche, ma il ministro non interviene e non era in conferenza stampa. Pd e 5S avevano fatto proposte simili: «Il governo ci dà ragione»
Sono arrivati come un fulmine inatteso nella calda serata d’agosto dell’ultimo consiglio dei ministri prima della sospensione estiva: gli extraprofitti sui guadagni delle banche approvati dal governo non erano tra gli annunci della vigilia e nemmeno contenuti nelle bozze del dl Asset. Eppure, sono diventati l’ultima fiammata improvvisa dell’esecutivo Meloni, che ha spiazzato le opposizioni ma anche una parte della maggioranza.
Le opposizioni
L’idea di tassare i profitti bancari, infatti, era stata proposta dal Partito democratico con una mozione depositata il 13 luglio a prima firma di Andrea Orlando. L’atto presentato alla Camera è molto simile al dl approvato in consiglio dei ministri e la linea del Nazareno è quella della prudenza: nessuna critica sulla misura in quanto tale, anzi «meglio tardi che mai. Se facessero sul serio, dovrebbero ripristinare la tassazione degli extraprofitti dei player energetici», ha twittato Orlando. Dubbi, invece, su come verrà speso il gettito così generato. «Dalle prime indicazioni, si ipotizza di usarli per generici interventi per ridurre la pressione fiscale e per rifinanziare la garanzia sui futuri mutui dei giovani. Noi invece crediamo che vadano aiutate anche le famiglie che hanno già sottoscritto mutui a tassi variabili, che sono le più colpite dal rialzo», ha spiegato il senatore Antonio Misiani, responsabile dello Sviluppo economico per la segreteria Schlein.
Anche i Cinque stelle con Giuseppe Conte si sono intestati idealmente il principio. «Ci criticano, ma devono darci ragione. Da marzo il Movimento chiede un intervento sugli extraprofitti accumulati dalle banche per prendere da lì le risorse per sostenere i cittadini alle prese con rincari e caromutui», ha detto il leader.
Come con il salario minimo e ancor più con la misura urgente della tassazione sugli extraprofitti bancari, dunque, il governo sarebbe stato costretto a rincorrere le opposizioni. «Meloni aveva il timore di finire in un angolo come sul salario minimo, quindi ha giocato d’anticipo per evitare di essere incalzata su un terreno difficile», è la lettura di Misiani. Col rischio però che questa lettura si fermi dietro le porte dei palazzi della politica.
Il governo ma soprattutto la Lega, infatti, si è intestata pubblicamente il merito dell’operazione “Robin Hood” sui profitti delle banche, il seguito ideale dopo le critiche che il vicepremier Matteo Salvini ha espresso nel corso dei mesi nei confronti della Banca centrale europea.
Il ministro Giorgetti
L’introduzione improvvisa della misura, però, ha lasciato uno strascico di questioni aperte. Non annunciata prima nè concordata con Abi, l’associazione bancaria italiana, è stata resa nota a borse chiuse ma gli effetti si sono visti immediatamente il giorno dopo. Inevitabili probabilmente, ma ad aumentare l’incertezza sui contorni e gli obiettivi della misura è stata anche l’informazione quantomeno poco tecnica sui contenuti del dl.
Un piccolo giallo, infatti, si è consumato sull’assenza di Giancarlo Giorgetti alla conferenza stampa post cdm: una misura cruciale per le banche e di diretto appannaggio del ministero dell’Economia, infatti, è stata presentata da Matteo Salvini con un generico «è un provvedimento congruo» e senza chiarimenti sui numeri salvo un ancora più generico «non stiamo parlando di qualche manciata di milioni ma di alcuni miliardi». Nessun dettaglio tecnico nè spiegazioni sul complicato calcolo che dovrà produrre questa aggiunta di gettito.
Per questo l’assenza di Giorgetti, che in giugno aveva pubblicamente escluso che il governo avesse in cantiere una misura sugli extraprofitti delle banche, ha fatto percepire un dissenso interno alla maggioranza e in particolare in cuore alla Lega, con un Giorgetti scettico sull’operazione e un Salvini insieme a Meloni deciso a sparare un fuoco d’artificio pre-vacanze.
Invece, nel day after, la linea ufficiale rimane granitica: l’assenza del ministro dovuta a ragioni istituzionali, «doveva essere al Comitato interministeriale per la sicurezza della repubblica», confermano dal ministero, da cui arriva anche la conferma che la paternità della norma sia del Mef e di nessun altro. Eppure Giorgetti ha scelto il silenzio anche nel day after, lasciando a Salvini il palcoscenico e la gloria ma segnando anche una distanza.
Fratelli d’Italia ha preferito tenersi fuori dalla corsa a intestarsi la misura, evitando accenti trionfalistici pur rivendicando l’iniziativa in capo al governo. Tuttavia, suggeriscono fonti interne, la mossa non avrebbe solo matrice leghista e anzi sarebbe stata caldeggiata e spinta proprio da palazzo Chigi. Meglio mantenere una posa meno urlata e senza accenti populisti: nelle intenzioni la tassa sull’extragettito dovrebbe produrre un tesoretto di circa due miliardi, ma dovrà essere letto nel quadro più ampio della prossima complicata legge di Bilancio.
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