- L’inflazione continua a essere un problema nell’eurozona. A maggio era pari al 7,1 per cento, un punto percentuale in meno rispetto al mese prima, ma ancora di 5 punti superiore all’obiettivo di medio periodo (2 per cento)
- Uno studio mostra che buona parte dell’inflazione dipende dall’aumento del profitto delle imprese, mentre i lavoratori continuano a perdere potere d’acquisto.
- Il rischio è che solo un rallentamento della domanda e, quindi, una recessione, possa spingere le imprese a ridurre i propri margini e a condividere i costi del caro-vita.
Per quanto più stabile rispetto a qualche mese fa, l’inflazione continua a essere un problema nell’eurozona. A maggio era pari al 7,1 per cento, un punto percentuale in meno rispetto al mese prima, ma ancora più di 5 punti al di sopra dell’obiettivo di medio periodo (2 per cento). Il calo dei prezzi è guidato soprattutto da beni alimentari ed energia, mentre il livello dei servizi e dei prodotti manifatturieri rimane elevato.
Livelli molto elevati di inflazione continuano a persistere perché, nonostante la crescita del prezzo delle materie prime sia più bassa, le imprese continuano a tenere in considerazione l’aumento dei costi nella definizione dei prezzi dei propri prodotti.
A differenza dei lavoratori (soprattutto dipendenti), le imprese possono infatti aggiustare il prezzo di ciò che vendono più rapidamente, difendendosi dalla perdita dei margini di profitto molto più di quanto i lavoratori riescano a difendersi dalla perdita di potere d’acquisto del proprio reddito.
Questo processo genera ulteriore inflazione: le imprese aumentano i prezzi, contribuendo a farne crescere il livello generale, e così altre imprese aumenteranno i prezzi per rimanere al passo con l’inflazione; i lavoratori, nel frattempo, chiederanno un aumento dei salari (che altro non sono che i prezzi dell’input produttivo lavoro), cui le imprese risponderanno con un ulteriore aumento dei prezzi per mantenere i margini. Insomma, si rischia di finire in una spirale inflattiva. Per fortuna non sembra che ci troviamo in questa situazione, come ha sottolineato la presidente della Bce Christine Lagarde, ma il rischio è sempre all’orizzonte.
L’aumento dei profitti
La domanda è: fino a quanto è legittimo che le imprese aumentino i prezzi per mantenere i propri margini? Si tratta più di una risposta morale - e quindi politica - piuttosto che economica, ma l’economia ci permette perlomeno di valutare l’impatto del fenomeno e capire quali siano le conseguenze. Partiamo dalla magnitudine: un recente studio pubblicato dal Fondo monetario internazionale ha mostrato come l’inflazione sia guidata soprattutto da un aumento dei profitti delle imprese.
Secondo il Fmi, l’aumento dei profitti delle imprese è stato maggiore rispetto all’aumento dei costi delle materie prime per realizzare i propri prodotti e questo ha contribuito in maniera decisiva all’aumento dell’inflazione.
Le stime vedono un peso crescente dei profitti nel contributo all’inflazione: nel primo trimestre del 2023, circa metà dell’inflazione dell’Eurozona sembra attribuibile proprio all’aumento dei profitti, mentre meno di un terzo sarebbe attribuibile all’aumento dei costi dei beni importati dall’estero (tra cui le materie prime).
Attenzione: il fatto che i profitti siano aumentati non significa che sia aumentato il margine di profitto, ossia la percentuale di ricavo che, al netto di tutti i costi, diventa profitto. Anzi, gli autori dello studio sottolineano proprio come l’inflazione non abbia aumentato la profittabilità delle imprese. La questione è legata alla distribuzione del peso dell’inflazione, più che alla “generazione” di inflazione da parte delle imprese.
I prezzi dei prodotti
Come sottolineato dall’economista di Bankitalia Eliana Viviano, per l’Italia nel 2022 l’inflazione non è stata guidata dall’aumento della profittabilità delle imprese, ma dalla crescita dei prezzi dei prodotti (che hanno mantenuto sostanzialmente fisso il margine di profitto delle aziende). La situazione potrebbe però essere cambiata quest’anno, con i prezzi dell’energia in calo, ma l’inflazione è ancora alta. Quindi qual è il problema?
Grazie a questo aumento dei profitti, le imprese continuano a mantenere i propri margini e a non subire l’impatto dell’inflazione (contribuendo peraltro ad aumentarla), mentre i percettori di redditi diversi dalle rendite di capitale, come per esempio i lavoratori, devono scontare sul proprio potere d’acquisto il costo dell’inflazione.
La presidente Lagarde ha sottolineato questo aspetto alla conferenza annuale di Sintra, dove ha dichiarato che “dobbiamo riportare l'inflazione al nostro obiettivo a medio termine del 2 per cento in modo tempestivo. Ma perché ciò accada, dobbiamo garantire che le imprese assorbano l'aumento del costo del lavoro nei loro margini”.
Il potere d’acquisto
Insomma, dopo aver goduto di profitti maggiori a scapito dei percettori di reddito da lavoro, le imprese dovrebbero adesso permettere ai lavoratori di recuperare parte del potere d’acquisto perso. Questo però non può avvenire aumentando i prezzi (si finirebbe nella spirale citata prima), ma rinunciando a parte del margine che si è riuscito a consolidare nel corso di questo ultimo anno e mezzo.
Come convincere le imprese a ridurre i margini. Non ci sono modi semplici per risolvere questo problema, se di problema si vuole parlare. La leva della tassazione, per esempio, sarebbe abbastanza inutile: esattamente come incorporano i maggiori costi all’interno del prezzo per mantenere i profitti, così le imprese potrebbero semplicemente decidere di aumentare i prezzi in una misura sufficiente a “sterilizzare” il peso della tassazione, con ulteriori effetti negativi sui lavoratori.
Inoltre, guardare all’inflazione generale è piuttosto semplice, ma i prezzi sono molto difficili da controllare. Per esempio, come facciamo a capire se un’azienda di barrette di cioccolato sta ricaricando il prezzo in maniera eccessiva per ottenere dei cosiddetti extra-profitti? Guardiamo al prezzo al supermercato, alle macchinette o alla cassa al bar? Osservare il livello generale dei prezzi è semplice (se semplice si può definire il complicato processo statistico per calcolare l’inflazione), ma un’indagine a livello di impresa è praticamente impossibile. Inoltre, come si decide qual è il livello “corretto” di margine che l’impresa può avere?
Alla fine, probabilmente, il peso dei profitti sull’inflazione non calerà a causa di un’azione esterna, ma del naturale corso dell’economia. Se non si è già raggiunto, si toccherà un picco in cui le imprese non potranno più mantenere i propri margini: l’effetto depressivo dell’inflazione sull’economia farà calare i consumi e, di conseguenza, le imprese dovranno abbassare (o, più probabilmente, mantenere costanti) i prezzi. Le speranze di Lagarde per una collaborazione delle imprese sono comprensibili, ma in questo caso è più probabile che sarà il mercato a fare il proprio corso.
© Riproduzione riservata