Il vicepremier ha gongolato per l’affossamento in Veneto della legge sul fine vita. E dalla Serdegna arriva un’altra tegola per la Lega: sequestri della finanza per il governatore Solinas
La soluzione del rebus sardo nel centrodestra arriva dagli sviluppi di un’inchiesta per corruzione. Il presidente uscente della regione Sardegna, Christian Solinas, ha subito, insieme ad altri 6 indagati, un sequestro delle Guardia di finanza per un totale di 350 milioni di euro. Il governatore è indagato nell’ambito della compravendita di una proprietà e sulla nomina di Roberto Raimondi alla direzione generale dell'autorità di gestione del programma Eni-Cbc bacino del Mediterraneo.
Solinas, voluto da Matteo Salvini per la riconferma alle prossime regionali, vede crollare le quotazioni già in pesante ribasso. Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno già avviato la campagna elettorale per la candidatura dell’attuale sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu. L’inchiesta pone il sigilllo a qualsiasi ambizione di riconferma. Una debacle totale per il leader della Lega che si è intestardito nella difesa del presidente uscente, senza ottenere alcun risultato.
Incognita Zaia
E mentre in Sardegna la situazione prende una piega negativa per Lega, più al nord va forse anche peggio. Il "doge" Luca Zaia vede sempre più vicina la fine dell’esperienza da presidente della regione Veneto. Da uomo di potere, pressoché indiscusso, rischia di trasformarsi in un leader in cerca di autore. O quantomeno di una sistemazione per il futuro. Con un paradosso: vanta una ricca dote di voti nella sua regione, anche trasversali – una merce rara di questi tempi – ma potrebbe non avere alcun peso politico. E quindi non ricevere ruoli.
Intanto, senza troppi giri di parole, Matteo Salvini lo ha sconfessato sul fine vita: «La vita va tutelata da prima della culla alla fine. Anche io avrei votato no. Bene che sia finita così», ha detto sul voto in consiglio regionale veneto. Nessuna comprensione verso il collega di partito, anzi ha manifestato l’esatto contrario della posizione assunta da Zaia. Pur puntualizzando: «Non siamo una caserma».
Conto da pagare
Le parole del leader leghista hanno chiarito che con il presidente della regione Veneto non c’è un vero asse politico sul terzo mandato, a malapena si intravede una convergenza di interessi. Al governatore in carica piace l’idea di proseguire l’esperienza da presidente, al vicepremier fa comodo tenerlo nella sua terra d’elezione e non averlo come potenziale competitor interno. Peraltro, conservando la guida di una regione così pesante. Solo che, al netto dei desideri, oggi Zaia è in bilico. Con prospettive fosche.
Giorgia Meloni ha ordinato a Fratelli d’Italia di non cedere sul terzo mandato: alla guida del Veneto vuole un suo fedelissimo, il senatore di Fdi, Luca De Carlo. Al momento è difficile immaginare un’apertura della presidente del Consiglio. Il piano B di Zaia sarebbe la corsa per un seggio alle Europee. Facile a dirsi. Ma ci sono due controindicazioni tutt’altro che trascurabili: lui non è molto interessato a diventare eurodeputato e soprattutto lascerebbe libera la casella di presidente della regione con circa un anno di anticipo. Fornendo un assist a Meloni. La conseguenza è che non sa da che parte andare, pagando il conto ai suoi tentennamenti, a quella prudenza portata al massimo. Senza mai scendere davvero in campo sul piano nazionale, per contendere la leadership a Salvini, accontentandosi dell’esistente. Una parabola diversa e allo stesso tempo parallela a quella di Giancarlo Giorgetti.
Camera veneta
La sua condizione, però, non dispiace affatto ai vertici nazionali della Lega. Ieri, nel corridoio dei fumatori adiacente al Transatlantico della Camera, sono stati visti due fedelissimi del leader leghista, il deputato Alberto Stefani (segretario in Veneto) e il sottosegretario al Mimit, Massimo Bitonci, che parlottavano fitto, concedendosi qualche sorriso sornione. Il loro umore non era affatto negativo. Anche perché, stando alle indiscrezioni, sono proprio tra coloro che hanno orchestrato al meglio l’operazione per affossare legge sul fine vita. Fatto sta che si torna al punto di partenza.
Cosa farà “da grande” il doge veneto, assediato a destra e a sinistra? Circola la voce, a mo’ di provocazione, di una candidatura a sindaco di Venezia per raccogliere la futura eredità di Luigi Brugnaro, addirittura si ipotizza come ristoro la presidenza del Coni per il dopo-Malagò. Eppure, bisogna fare i conti con un dato: il consenso personale del presidente della regione Veneto in carica. Salvini può perciò consentire di scaricarlo sul fine vita, ma non può certo metterlo all’angolo. Zaia è fondamentale per puntellare le percentuali alle prossime Europee. E salvare la Lega dal naufragio totale. Ammesso che, dopo tutto questa ostilità, abbia voglia di farlo.
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