Il rancore della Lega per la decisione della Consulta sulla riforma dell’autonomia è tangibile, anche se ufficialmente tutti sono soddisfatti della decisione. La linea è stata dettata, nella serata di giovedì, da una nota di partito in cui ci si rallegrava del fatto che «l’autonomia ha superato l’esame di costituzionalità, ed è un’ottima notizia: i rilievi saranno facilmente superati dal parlamento. Dopo il parere tecnico di ieri sul Ponte sullo Stretto, è un altro passo in avanti decisamente positivo».

Sulla stessa falsariga il segretario Matteo Salvini: «L’autonomia è stata riconosciuta come costituzionalmente prevista e corretta, si invita il parlamento a portare alcune modifiche nel corso dell’applicazione, cosa che verrà fatta». Nel partito c’è chi si spinge anche oltre la definizione del «passo avanti»: «Parlerei piuttosto di sospiro di sollievo, non so cosa si aspettasse Calderoli ma sicuramente è andata meglio di così». Resta il fatto che il testo dovrà essere riaperto e rinegoziato con i partner di governo. È vero che l’Autonomia è stata il provvedimento su cui si è lavorato più in fretta per avere un via libera già prima delle europee, ma nessuno nel partito ha voglia di rimettere mano alla riforma adesso, anche se c’è chi dice, minimizzando, che «alla fine si tratta solo di tradurre le raccomandazioni della Corte».

C’è anche chi, a taccuino chiuso, si sente «rimandato a settembre», nonostante a microfoni aperti abbondino i marameo alla sinistra che «si aspettava che la norma fosse giudicata incostituzionale nel suo complesso», come sospetta un parlamentare leghista.

Sospiro di sollievo?

La Lega mastica amaro e si aggrappa al premio di consolazione che rappresenta la possibilità che la decisione della Consulta faccia saltare il referendum per cui la sinistra ha raccolto centinaia di migliaia di firme. Anche perché, è il ragionamento che circola, con la tensione che c’è adesso nel governo si sa da dove si comincia a ridiscutere il testo e non si sa dove si finisce. E per Salvini, insidiato già dai giudici palermitani che a stretto giro si pronunceranno sul caso Open Arms, è essenziale che, in questo momento, il partito gli copra le spalle. Vale soprattutto per i presidenti di regione, come Luca Zaia, Attilio Fontana e Massimo Fedriga, primi azionisti del progetto dell’Autonomia.

Eppure, giurano anche i leghisti della prima ora che più di altri tengono i contatti con i territori, non c’è risentimento da parte del Nord verso Roma. Non ancora, perlomeno. Il rancore, piuttosto, è rivolto verso i giudici, che agli occhi di parlamentari e amministratori non lasciano fare alla Lega il suo mestiere: «Sono le regioni che campano sull’assistenzialismo e la magistratura che solidarizza che ci bloccano», confidano furibondi. La partita entra trasversalmente anche nelle regionali di questo fine settimana, in cui i leghisti sperano di poter giocare la parte delle vittime della magistratura, ma certo non arrivano con il vento in poppa, soprattutto in una regione come l’Emilia-Romagna che in passato ha guardato con una certa simpatia al progetto dell’autonomia.

Ma i presidenti che hanno già avviato le procedure non sono preoccupati. «Si continua a lavorare sulle materie “non lepizzabili”, su quelle materie che non sono soggette ai Lep, e quindi possiamo lavorare tranquillamente perché non mi risulta che la Corte abbia detto che non si debba lavorare e continuare con le trattative», dice Zaia.

Il rapporto con gli alleati

Certo, il rinvio della Consulta non migliora i rapporti con gli altri due partiti di governo, che vedono procedere spediti i loro provvedimenti del cuore. Rafforzati nella loro storica ostilità verso la magistratura da quest’ultima decisione, i leghisti sono felici di portare avanti il percorso della separazione delle carriere caro a FI, mentre il premierato, ai blocchi di partenza con l’anno nuovo non sembra una riforma imminente. Nemmeno per FdI che l’ha voluta e sostenuta. Allo stesso tempo, però, non credono che gli alleati li stiano adeguatamente sostenendo sull’Autonomia.

«C’è nervosismo, soprattutto nei confronti di Tajani, che pur di prendersi qualche voto di FdI al Sud ci mette i bastoni fra le ruote», suggeriscono dal partito. Eppure, ricorda qualcuno, Silvio Berlusconi aveva insegnato che Forza Italia sarebbe dovuta essere l’anello di congiunzione tra la Lega al Nord e la destra sociale al Sud, «come Casa e Polo delle libertà negli anni Novanta».

La fiducia negli azzurri, a cui appartiene anche il presidente della Calabria, Roberto Occhiuto, uno dei maggiori critici del progetto leghista, è ai minimi storici. «Devono rispettare gli accordi», spiega un leghista della prima ora. «Se non ci aiutano a sbloccare un progetto che si è fermato solo per ragioni politiche, la tensione non farà che salire».

Mentre sui territori si consumano malumori, Salvini può contare sulla ventata d’ottimismo che ha portato alle destre europee la vittoria di Donald Trump. Ieri cominciava la due giorni dei Patrioti europei a Parigi: padrone di casa il Rassemblement national di Marine Le Pen. Ciliegina sulla torta, l’inciampo della coalizione Ursula sulle audizioni di Raffaele Fitto, che hanno mandato in frantumi (almeno temporaneamente) il patto tra popolari, socialisti e conservatori. Nessuno si aspetta un fallimento definitivo delle trattative, «ma il clima è più che buono, chi ha elezioni alle porte è convinto di un’ottima performance». Tanto, se dovesse andar male, la colpa sarà dei giudici.

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