I pm di Palermo hanno chiesto sei anni di reclusione per Matteo Salvini nel processo Open Arms, nel quale il segretario della Lega è imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per la gestione dei 147 migranti soccorsi in acque internazionali ad agosto 2019 e lasciati per 19 giorni a bordo della nave della ong spagnola, che chiedeva all’Italia un porto di sbarco.

La requisitoria dei magistrati della pubblica accusa (la procuratrice aggiunta Marza Sabella e i colleghi sostituti Geri Ferrara e Giorgia Righi), iniziata intorno alle 10 e conclusasi dopo oltre sette ore, si è svolta a Palermo, nell'aula bunker del carcere di Pagliarelli. Nel corso dei loro interventi, i pm hanno ricostruito tutte le fasi della vicenda, dai fatti di agosto 2019 fino alla difesa del segretario del Carroccio durante le udienze precedenti. «I diritti dell’uomo vengono prima della difesa dei confini», hanno dichiarato, per poi confutare la tesi difensiva di Salvini, che sostiene che il resto del governo Conte I era consapevole di tutto, essendo promotore del decreto Sicurezza bis: «Da ministro ha accentrato tutto su di sé: decideva lui» e «i ministri Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli, insieme al premier Giuseppe Conte, nell'agosto del 2019 ritennero di intervenire, i ministri non controfirmando il decreto interdittivo. Essere alleati non significa essere correi».

La richiesta della pena riguarda entrambi i reati che vengono contestati a Salvini: «Il pos doveva essere rilasciato senza indugio e subito, il diniego è stato in spregio delle regole e non per proseguire in un disegno governativo. Il diniego consapevole e volontario ha leso la libertà di ognuna delle 147 persone e non c'era ragione. In questo processo non ci sono state le persone offese, la maggior parte di loro è irreperibile, ma non perché siano clandestina o criminale. Leggeremo a uno a uno i nomi di queste persone per ricordarle», ha detto la pm Sabella alla fine della requisitoria.

Nella prossima udienza toccherà alle parti civili, mentre il 18 ottobre sarà il turno della difesa. La sentenza di primo grado è attesa per la fine dell’anno. Salvini potrà fare appello e poi eventualmente ricorrere in Cassazione. Se invece sarà assolto, la procura potrà impugnare la sentenza davanti alla Corte d'appello.

La reazione della difesa

Giulia Bongiorno, avvocata di Salvini, subito dopo la richiesta di condanna ha detto che i pm hanno «tratteggiato un quadro non corrispondente alla realtà. È stato detto in requisitoria che le decisioni di ritardare lo sbarco dopo le redistribuzione era esclusivamente di Salvini ma così non è, perché se andate a vedere le dichiarazioni pubbliche di atri ministri, tutti rivendicavano orgogliosamente i respingimenti».

Il vicepremier ha invece pubblicato sui suoi social, poco dopo la fine della requisitoria, un lungo video in cui riassume, con una sorte di contro-requisitoria, la vicenda dal suo punto di vista: «6 anni di carcere per aver bloccato gli sbarchi e difeso l’Italia e gli Italiani? Follia. Difendere l’Italia non è un reato e io non mollo, né ora né mai», ha scritto.

Il leader della Lega, assente a Palermo, si era pronunciato sul caso tramite un’intervista a Libero, sostenendo che «la difesa dei confini non è un reato» e accusando l’opposizione: «È imbarazzante dover pensare a questo processo. Rifarei assolutamente quelle scelte: ho rispettato la parola con gli elettori, che chiedevano di fermare gli sbarchi, diminuendo le tragedie nel Mediterraneo. È una vendetta della sinistra, una mossa disperata di chi non sa vincere nelle urne e allora prova a eliminare i rivali per via giudiziaria. Un film già visto con Silvio Berlusconi e che stiamo vedendo perfino con Donald Trump».

Meloni: «Dovere di proteggere i confini trasformato in crimine»

Tra i primi a esprimere solidarietà a Salvini la premier, Giorgia Meloni: «È incredibile che un ministro della Repubblica italiana rischi sei anni di carcere per aver svolto il proprio lavoro difendendo i confini della nazione, così come richiesto dal mandato ricevuto dai cittadini. Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo», ha scritto su X.

Le parole dei pm

«L'innalzamento dei confini non limita i morti ma consente solo di non vederli. Il governo Conte I aveva nel suo contratto quello di sensibilizzare l'Europa sulla redistribuzione dei migranti. La trama di questo processo è una questione di diritti», ha detto il pubblico ministero Marzia Sabella in avvio di requisitoria.

«Il principio chiave è quello del soccorso in mare, che viene dall'Odissea, da tempi ancestrali. Persino in guerra c'è l'obbligo del salvataggio in mare a conferma dell'universalità dei beneficiari. In questo processo affrontiamo il tema dei diritti dell'uomo, la vita, la salute e la libertà personale che prevalgono sul diritto a difendere i confini. L'Onu ha stabilito che la rotta del Mediterraneo centrale sia la più pericolosa del mondo, chiede collaborazione nelle operazioni di ricerca e salvataggio e mette come prioritario la tutela della vita dei naufraghi», ha continuato.

«Anche i terroristi, i criminali se in pericolo in mare hanno il diritto di essere salvati. Uno stato, che non è un criminale, li salva e poi li processa. Questo dice il codice internazionale. Una volta salvati vanno portati a terra, anche le navi predisposte per il salvataggio sono definite un posto di sicurezza temporaneo. In sostanza solo la terraferma è un place of safety definitivo. La stessa Cassazione ribadisce che una nave non può essere considerato un posto sicuro», ha detto ancora Sabella.

«Ma se la nave avesse battuto bandiera panamense l'avrebbero mandata a Panama? Lo ha chiesto il comandante De Falco durante il dibattimento per smontare la tesi che la nazione della nave dovesse accogliere l'imbarcazione. Ogni stato che viene informato della situazione di pericolo ha l'obbligo di emettere il Pos. Non c'entra nulla il paese della nave. I migranti prima si fanno scendere e poi si redistribuiscono, altrimenti si rischia di fare politica su persone che stanno soffrendo».

La pm ha risposto anche alle accuse di Salvini, che ha parlato di processo politico, sottolineando che al contrario si tratta di «un processo su atti amministrativi». Salvini «aveva l'obbligo di indicare un posto sicuro per lo sbarco dei migranti dalla nave Open Arms», ha detto Sabella durante la requisitoria.

Il pm Ferrara nota anche che Salvini aveva accentrato su di sé la decisione: «Quando Salvini diventa ministro dell'Interno le decisioni sulla gestione degli sbarchi e del rilascio dei pos vengono spostate dal Dipartimento libertà civili e immigrazione all'ufficio di gabinetto del ministro e in particolare è il ministro a decidere. Questo è l'elemento chiave».

Bongiorno: «Si sta processando la linea del governo Conte I»

Bongiorno, legale di Salvini, era già intervenuta in mattinata: «Nel caso, a prescindere dalle anomalie della navigazione e dal fatto che vi fosse il rischio di terroristi a bordo, sono state adottate misure per garantire tutela e protezione dei migranti: nell'introduzione del pm è di intuitiva evidenza che si sta procedendo a una requisitoria contro il decreto Sicurezza-bis e contro la linea politica del “prima redistribuire e poi sbarcare”, che l'intero governo Conte 1 ha portato avanti. Nel momento in cui si dice che decreti e direttive sono tutte inaccettabili si sta processando la linea politica di quel governo. Lo stesso premier di allora (Conte, ndr) lo diceva. Il pm, nonostante abbia detto che questo in realtà non voleva essere un intervento contro la politica, nel momento in cui dice che un tavolo tecnico i decreti e le direttive sono tutti inaccettabili, intollerabili, in contrasto con i diritti umani, in realtà sta processando la linea politica di quel governo. Per ora è così».

I fatti di agosto 2019

La nave della ong Open Arms, il 1° agosto 2019, aveva effettuato due diversi soccorsi in mare, portando a bordo 147 persone, tra cui 32 minorenni. Dopodiché aveva chiesto alle autorità italiane un porto di sbarco. Il governo giallo-verde, guidato da Lega e M5s, con Giuseppe Conte premier, si era però già reso protagonista del decreto Sicurezza bis, che aveva al centro la cosiddetta “politica dei porti chiusi” soprattutto nei confronti delle organizzazioni non governative.

Per questo motivo il ministro dell’Interno Salvini decise di non concedere a Open Arms l’autorizzazione a entrare nelle acque territoriali italiane e far sbarcare i migranti. Il braccio di ferro durò per 19 giorni: il 14 agosto la ong spagnola fece ricorso al Tar del Lazio, che lo accolse sospendendo il divieto di ingresso, secondo le norme internazionali. Ciononostante, il leader della Lega continuò a non indicare un porto di sbarco.

La situazione si sbloccò parzialmente per 27 minori, che furono fatti scendere a terra il 18 agosto, mentre molte altre persone rimasero a bordo fino al 20. Nel frattempo diversi migranti avevano tentato il suicidio, gettandosi in mare per il timore di essere riportati indietro, in Libia.

Il 20 agosto l’allora capo della procura di Agrigento, Luigi Patronaggio, salì sulla nave e – verificate le condizioni dei migranti – decise che tutti dovevano sbarcare. Il pm dispose il sequestro dell'imbarcazione e lo sgombero di tutte le persone a bordo: ne erano rimaste 83, mentre le altre erano state trasferite d'urgenza per motivi sanitari.

Il processo a Salvini

A novembre 2019 la procura di Agrigento ha chiesto al Tribunale dei ministri – Salvini, in quanto ministro dell’Interno, era protetto dall’immunità parlamentare – l’autorizzazione per avviare delle indagini preliminari nei confronti del segretario del Carroccio. Il capo d’accusa è sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio.

Il voto al Senato, che ha autorizzato le indagini, si è svolto a luglio 2020: nel frattempo, rispetto a quando sono avvenuti i fatti di cui è accusato Salvini, il governo giallo-verde era caduto e si era formato quello giallo-rosso.

L’udienza preliminare si è svolta nel gennaio 2021, mentre il rinvio a giudizio è arrivato il 17 aprile. Nelle udienze svoltesi in questi anni sono stati chiamati a testimoniare ministri ed esponenti politici che hanno ricostruito gli scambi tesi di quei giorni di crisi di governo.

Come si difende Salvini

Il ministro dei Trasporti, difeso da Giulia Bongiorno, ha fatto leva su presunti accordi tra gli scafisti e la ong, sulle responsabilità condivise dal resto del governo Conte e sulla presenza a bordo di potenziali terroristi.

Vari esponenti del governo Conte I, tra cui lo stesso ex premier, il suo vice Luigi Di Maio e gli ex ministri Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta, hanno sostenuto che Salvini decise in autonomia di negare lo sbarco alla nave di Open Arms. Salvini e Piantedosi, invece, sostengono che il divieto di ingresso sia stato firmato da tre ministri: Salvini, Toninelli (ministro delle Infrastrutture) e Trenta (Difesa). Il leader della Lega ha anche accusato Conte di aver cambiato linea solo dopo la crisi di governo.

Sulla presenza a bordo di eventuali terroristi, la nave dell’ong non poteva ritenersi inoffensiva, secondo il ministro, per diversi motivi: era una nave battente bandiera straniera, aveva soccorso le persone in acque non italiane e il coordinamento delle operazioni non era stato eseguito dalle autorità italiane. A questo si aggiunge il fatto che «avemmo un sospetto legato all’immigrazione clandestina perché sul comandante dell’imbarcazione, Marc Reig Creus, pendeva una richiesta di rinvio a giudizio».

L’informazione gli era stata fornita dall’allora capo di gabinetto, Matteo Piantedosi. Ma lo stato di indagato del comandante, dice lo stesso Salvini in udienza, non era ostativo all’assegnazione di un porto sicuro alla Open Arms. Il processo a carico del comandante è poi stato archiviato, con la formula di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste. È poi lo stesso Salvini, sollecitato dalla pm, a dire che non c’era la sicurezza che ci fossero persone pericolose a bordo: il ministero non aveva notizie specifiche di presunti “terroristi” tra i profughi soccorsi dall’ong.

In linea di principio, ha riferito il ministro, in tutti i casi in cui le ong richiedevano un porto sicuro di sbarco «non ci ritenevamo responsabili di episodi avvenuti in acque internazionali» e «venivano trattati tutti allo stesso modo, per questioni di sicurezza nazionale relative all’immigrazione clandestina».

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