La maggioranza si ricompatta, anche FdI sceglie la magistratura inquirente come nemico. La riforma costituzionale, già calendarizzata alla Camera, diventa lo strumento di attacco
Processo politico o meno, quello di Palermo a Matteo Salvini ha già prodotto un effetto politico: è diventato il gancio mediatico per il centrodestra per spingere sulla riforma costituzionale della separazione delle carriere di giudici e pm. «Si tratta di un processo politico e di un tentativo della sinistra di attaccare il governo e il diritto alla difesa dei confini nazionali», sono state le parole del leader della Lega al consiglio federale del partito, che ha ringraziato il governo per la vicinanza e alzato così i toni del dibattito pubblico.
Dopo un’estate di spaccature più o meno vistose nella compagine di governo, dunque, l’inchiesta a carico del vicepremier la sta ricompattando intorno a un nemico comune. Del resto l’attacco dell’esecutivo nei confronti della procura, che ha chiesto la condanna a sei anni per Salvini, è stato preciso e molto duro: lo ha mosso la premier Giorgia Meloni, parlando di «precedente gravissimo».
L’hanno seguita a ruota altri due esponenti di primo piano di Fratelli d’Italia come il presidente del Senato Ignazio La Russa e il capogruppo alla Camera, Tommaso Foti. Il primo, alla festa di FdI al Lido degli Estensi, ha sottolineato che «la premier attacca i pubblici ministeri, non i giudici. Questo fa venire in mente che c’è una discussione aperta sulla separazione delle carriere». Foti, avallando l’ipotesi di una possibile congiura contro il governo da parte dei poteri forti, ha invece parlato dei pm che non possono «interpretare una legge in modo tanto estensivo da stravolgerne il senso».
Le procure, del resto, evocano molti fantasmi in via della Scrofa: dal possibile rinvio a giudizio della ministra Daniela Santanchè, al processo a carico del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, fino all’ipotesi, avallata dalla stessa premier, di una congiura giudiziaria ai danni della sorella Arianna.
Anche Salvini ha dato segno di voler puntare sulla linea comunicativa della persecuzione giudiziaria da parte dei pm politicizzati, circoscrivendo alla categoria della magistratura requirente la vocazione a condurre processi politici, in accordo con la sinistra.
Per questo, se da un lato sta provando a capitalizzare a livello europeo (venerdì il vicepremier incontrerà Viktor Orbán che gli ha espresso solidarietà mentre i leghisti vorrebbero discutere il caso Open arms in plenaria all’Europarlamento), dall’altro chiama alla mobilitazione i suoi sostenitori in vista dell’udienza del 18 ottobre, perché manifestino davanti al tribunale di Palermo. «Nessuna chiamata alle armi. Ci sarà una mobilitazione di cui si stanno valutando le modalità», ha provato a stemperare i toni uscendo dal vertice federale del partito Giulia Bongiorno, senatrice leghista ma soprattutto avvocato di Salvini. «Non c’è nessuna voglia di acutizzare scontri con la magistratura», ma «nell’ambito di questo processo ci sono alcune anomalie», ha aggiunto.
Se Bongiorno, da legale di Salvini, punta a una conclusione favorevole per il suo assistito, l’intento della Lega è ulteriore: rendere il processo di Palermo un processo alla politica del centrodestra nella figura di Salvini, alzando così la pressione sui magistrati. Così anche la sentenza non potrà che avere riverberi politici: in caso di condanna, Salvini potrà puntare sulla carta del perseguitato; in caso di assoluzione, potrà sostenere che i pm politicizzati hanno imbastito un processo sul nulla.
La chiosa è arrivata infine dal fronte più moderato di Forza Italia. «Bisogna fare la riforma della giustizia per evitare scontri tra poteri. Ecco perché è indispensabile la separazione delle carriere: i magistrati dell’accusa e della difesa, poi il giudice terzo che decide», sono state le parole all’Aria che tira del vicepremier, Antonio Tajani, che ha appena riaccolto tra le file degli azzurri Enrico Costa, alfiere della riforma e transfugo di Azione.
In ogni caso il governo ha rotto ogni indugio sulla volontà di alzare i toni nello scontro con la magistratura, ormai identificata come il miglior nemico possibile in questa stagione sempre più caratterizzata dal timore di complotti.
La riforma costituzionale
La riforma costituzionale della magistratura, dunque, diventa la migliore arma in mano alla maggioranza. Propiziata peraltro da una scelta di calendario che cade perfettamente. Prima della chiusura estiva, e sulla spinta di Forza Italia, si era deciso di calendarizzare la riforma in commissione Affari costituzionali alla Camera, dandole la precedenza sull’altra riforma costituzionale, quella del premierato. La scelta – che sembrava fatta per dare più tempo alla maggioranza di riflettere su una riforma pasticciata come quella dell’elezione diretta del premier – oggi non potrebbe essere politicamente più propizia. Inoltre, come è stato fatto notare da autorevoli esponenti del centrodestra, la separazione delle carriere «è un tema trasversale», su cui si sono sempre detti favorevoli anche Azione e Italia viva.
Tradotto: nel migliore dei casi si potrebbe sperare di trovare una convergenza ampia in parlamento; nel peggiore sarà un ulteriore argomento su cui le fragili intese del campo largo di centrosinistra andranno a infrangersi. A Montecitorio i lavori sono già ripresi con le audizioni, la settimana scorsa, dei vertici dell’avvocatura. Tutti – Consiglio nazionale forense, Organismo congressuale forense e Camere penali – favorevoli alla separazione delle carriere. La linea del governo è quella di procedere speditamente, pur sapendo che i prossimi mesi saranno blindati con i lavori per l’approvazione della legge di Bilancio.
La magistratura associata, con il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, ha parlato di uno «scadimento del linguaggio, pericolosissimo quando si parla della magistratura come istituzione», mettendo in guardia dai rischi di un continuo scontro tra politica e toghe. La direzione, però, è stata ormai imboccata.
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