Il leader della Lega evita strappi in pubblico, affidando ai suoi fedelissimi il compito di punzecchiare Meloni. Ma prepara il terreno per i nuovi scontri, a cominciare dalle nomine delle società pubbliche
Un gioco di prestigio per trasformare un disastro in una vittoria. Matteo Salvini è diventato ormai campione italiano di fuga dalla realtà, capovolgendo i fatti. Così rigira i numeri a piacimento, negando sconfitte come quello alla Regionali in Sardegna, e punzecchiando l’alleata-avversaria Giorgia Meloni. Evitando comunque di forzare la mano.
Salvini, commentando i dati, ha fatto sfoggio di fair-play con gli alleati: «Quando si vince, si vince tutti insieme, quando si perde si perde tutti insieme». Con questo spirito ha successivamente firmato la nota congiunta con gli altri leader della coalizione, Giorgia Meloni e Antonio Tajani, in cui sostanzialmente scaricano le colpe della sconfitta su Paolo Truzzu. I voti ci sono, il fardello era il candidato. Scelto da Meloni.
Insomma non c’era l’intenzione di strappare ulteriormente, in prima persona, perché la presidente del Consiglio è già abbastanza infuriata per la vicenda del voto disgiunto. Si procede con gli stop and go. L’eccesso avrebbe potuto far registrare conseguenze imprevedibili. Finanche sulla tenuta della coalizione. L’incidente verso la crisi di governo deve essere evitato, Salvini - da buon padre del nuovo codice della strada - ha imposto un limite orario. Almeno per ora.
Nomine e Abruzzo
Di mezzo c’è un passaggio delicato, quello delle nomine di primavera nelle società pubbliche, da Cdp a Ferrovie, passando per il rinnovo dei vertici dei servizi segreti. Un pezzo di potere tutt’altro che secondario. Anzi. Meloni, nonostante esca indebolita dalla sconfitta di Paolo Truzzu, è intenzionata a lasciare le briciole agli altri. Ancora di più dopo il tradimento in Sardegna.
Salvini, ancora più debole dopo i tracolli elettorali, non vuole cedere di un millimetro. Sa che in futuro potrebbe avere sempre più potere la leader di Fratelli d’Italia. La prospettiva è quella di uno scontro totale tra due debolezze che rischiano di finire fuori controllo. Il carattere dei due è quello di chi si fa scappare il piede dalla frizione.
Di mezzo c’è peraltro l’Abruzzo, il voto alle regionali del 10 marzo: è la seconda tappa di avvicinamento alle Europee. E dopo la Sardegna assume un significato diverso. Salvini attende con dissimulato disagio l’appuntamento: nel 2019 era al 27,5 per cento dei voti, oggi sarebbe un mezzo miracolo confermare l’8 per cento centrato alle ultime politiche. Benché questo sarebbe il suggello al ruolo di partner di minoranza, addirittura rispetto a Forza Italia. Un trailer della possibile operazione sorpasso, su scala nazionale, a giugno.
Anche in questo caso, però, la Lega può giocare la carta del sostanziale disimpegno: l’eventuale sconfitta finirebbe direttamente sul conto di Marco Marsilio, che è un’emanazione di Meloni. Mentre il calo per se stesso è già messo in conto da tempo. «Una sorta di sciopero bianco», lo definisce una fonte di Forza Italia.
Terzo mandato
Intanto l’ordine di scuderia, impartito ai fedelissimi, è quello di mettere insieme i voti della Lega con quelli del Partito Sardo d’azione di Christian Solinas, presidente uscente della regione Sardegna, defenestrato da Giorgia Meloni per candidare Paolo Truzzu.
A dettare la linea per conto del leader leghista è stato Andrea Crippa, luogotenente prediletto da Salvini: «Lega e PSd’A, insieme, si attestano a oltre il 9,2 per cento, in crescita rispetto anche al 6,3% delle politiche del 2022», ha detto il numero due del segretario. Omettendo il tracollo rispetto alle regionali del 2019, quando le due liste insieme superavano il 20 per cento. Un dimezzamento in piena regola.
Insomma, la Lega ammette la debacle elettorale, ma la minimizza per il partito. Fino ad arrivare a negare il sorpasso di Forza Italia all’interno della coalizione (se vengono sommati i voti con il Psd’A).
C’è chi compie un passo più avanti, ponendo una questione politica: la lezione sarda impone una riflessione sul terzo mandato per i presidenti di Regione. Lo dice, senza troppi giri di parole, il sottosegretario alle Imprese, Massimo Bitonci: «Pensiamoci bene, perché quando hai delle persone come Zaia o Fedriga bisogna cercare di tenerle, non cercare di metterle da parte».
Un teorema con un doppio effetto: scaricare sempre di più l’esito elettorale sulle spalle di Truzzu, quindi del suo grande sponsor, Meloni. E in secondo luogo emerge la rivendicazione della bontà della battaglia avviata sul terzo mandato. E che sarà portata avanti nonostante la bocciatura in commissione al Senato. Già in aula è previsto un nuovo round a Palazzo Madama. Solo che lo spin propagandistico si infrange contro i numeri, che svelano tutti gli affanni della leadership di Salvini. Che diventa sempre meno salda.
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