«Se Luca Zaia dicesse “mi metto a disposizione”, lo voterebbero tutti, anche e soprattutto parlamentari in carica». L’autorevole voce di un leghista del Nord, che ha ricoperto ruoli di vertice fino a poco tempo fa nel partito di Matteo Salvini è riferita a un ipotetico cambio di guardia nella guida della Lega oggi a immagine e somiglianza del ministro e vicepremier. «Zaia è l’unico che può salvare la Lega», aggiunge. La conferma che la pace tra le fronde interne al movimento, nettamente spaccato tra sovranisti e federalisti, non è reale ma si tratta piuttosto di una tregua. L’armistizio seguito alle elezioni europee è solo questione di opportunità. I fronti aperti sono plurimi e tutti molto urticanti per il Capitano, accerchiato e aggrappato all’unica figura che lo tiene ancora a galla, il generale, appassionato di Decima Mas, Roberto Vannacci.

Di certo uno dei fascicoli più caldi sul tavolo del segretario è il terzo mandato di Zaia. E non solo per interesse collettivo del partito, ma perché il destino del governatore del Veneto potrebbe avere ricadute concrete sulla leadership della Lega futura. Zaia è il più corteggiato dai nordisti, anche da quelli fuoriusciti che sarebbero pronti a rientrare di corsa se il Doge prendesse in mano il partito. Sul capitolo Zaia esistono due letture differenti: c’è chi legge la battaglia di Salvini sul terzo mandato come un modo per tenere a debita distanza il governatore dalla segreteria, «Zaia ovunque tranne che in segreteria federale», per dirla con un leghista lombardo; altri invece sostengono che assicurare a Zaia un ultimo giro da presidente non metta Salvini al riparo in caso di golpe interno: secondo questa tesi il terzo mandato rafforzerebbe addirittura la figura di Zaia nel ruolo di segretario.

«Chiunque andrà a governare non avrà scelta: l'autonomia vale anche la messa in discussione di un governo». Parole del governatore del Veneto pronunciate dal palco del raduno di Pontida 2022, a un mese dall’insediamento del governo di Giorgia Meloni.

Il messaggio ai militanti e dirigenti presenti era chiarissimo. Autonomia o Salvini a casa. Alla fine il segretario si è affidato a Roberto Calderoli, per un legge salva leadership, considerata da alcuni vecchi leghisti come l’ex ministro Roberto Castelli una mezza truffa, o comunque un provvedimento depotenziato da mille compromessi con gli alleati nazionalisti di Fratelli d’Italia che hanno una visione centralista dello stato.

Pontida ormai da anni è un evento che poco ha a che fare con lo spirito della Lega Nord. Salvini e i suoi fedelissimi, alcuni dei quali registi di alleanze internazionali con l’estrema destra europea, hanno aperto il pratone del “Padroni a casa nostra” ad anime distanti dal federalismo, che guardano più al nazionalismo che alla storia della Lega Nord. Da qui la presenza dei leader come Marine Le Pen l’anno scorso. E l’invito per la prossima edizione del 6 ottobre di Vannacci, il militare che ha salvato la Lega di Salvini dal tonfo elettorale alle ultime europee. «Sarà la certificazione che da forza politica federalista, “in centro e in alto”, come diceva Bossi, saremo diventati un partitino di estrema destra e in basso, aggiungiamo noi», spiega Paolo Grimoldi, animatore della corrente “Comitato nord”, appunto, e fino al 2021 segretario della gloriosa Lega Lombarda, cacciato malamente dalla segretaria Salvini a giugno scorso.

A Salvini, dunque, non resta che barricarsi nel ministero delle Infrastrutture. Almeno lì qualcuno lo considera ancora un Capitano.

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