Un profondo sospiro di sollievo. E l’auspicio che sia finita qui, almeno per un po’. Dalle classi dirigenti di Lega e Forza Italia filtra uno sguardo tra il preoccupato e il perplesso nei confronti della vicenda di Gennaro Sangiuliano. Certo, c’è anche chi, nelle ultime ore prima delle dimissioni dell’ormai ex ministro della cultura guardava al lato più romanzesco della vicenda e fremeva per «la prossima puntata di Temptation Island».

Ma la consapevolezza, per gli azzurri così come per i salviniani, era fin dalla diffusione delle prime indiscrezioni sulla vicenda che in maggioranza i panni sporchi si lavano in famiglia, ciascuno la sua. È sempre stata la massima che ha orientato Giorgia Meloni. Anche sulle vicende di Matteo Salvini non ha mai aperto bocca: fatti della Lega. «Non si permetterebbe un’ingerenza come quella di Draghi, che costrinse l’allora sottosegretario Claudio Durigon (della Lega, ndr) a dimettersi» racconta un parlamentare del Carroccio. Alla stessa maniera, gli alleati sono stati ben felici di lasciare la vicenda Sangiuliano nelle mani della premier.

Problema classe dirigente

Certo, i problemi da risolvere in casa Fratelli d’Italia iniziano a essere parecchi: nonostante – o forse proprio a causa del – grande successo del 2022 il partito si è ampliato e oggi include nutrite file di dirigenti meno pratici della politica. Resta il fatto controintuitivo che a inciampare finora sono stati esponenti con una certa esperienza alle spalle: vero è che Sangiuliano non è un politico di professione ma da cronista politico conosce bene le dinamiche di quel mondo. Una realtà che invece vivono da lustri Daniela Santanchè e Andrea Delmastro o Francesco Lollobrigida, per ora saldi nei loro ruoli di governo e sottogoverno, ma sempre a tanto così dal passo falso definitivo.

Una classe dirigente così fragile viene guardata con una certa disapprovazione soprattutto da parte di Forza Italia, che in trent’anni ha visto crescere generazioni di dirigenti politici.

Qualcuno si nasconde dietro un emoji, altri si trincerano dietro al no comment. Non che ci sia comprensione per Boccia: «Noi siamo garantisti da sempre, poi riprendere di nascosto è una cosa che non si fa» dice qualcuno, memore degli scatti a palazzo Grazioli che portarono all’onore delle cronache le cene eleganti di Silvio Berlusconi. Ma resta l’imbarazzo per la situazione in sé e per un’intervista al Tg1 che ha esposto al pubblico ludibrio un ministro. Una scelta definita «un errore» anche dal vicepresidente della commissione Vigilanza FdI Raffaele Speranzon.

Le perplessità non mancano anche su quello che è successo prima che Boccia iniziasse a condividere con il pubblico le informazioni di cui era in possesso: «Possibile che prima nessuno fosse riuscito a trovare una soluzione per tenere questa vicenda privata?» si chiede chi è nel partito da tanti anni. La gestione del caso non è piaciuta per niente. Per altro, è il ragionamento, se Sangiuliano avesse condiviso tutte le informazioni con la premier fin da subito, invece di minimizzare, magari si sarebbe potuto evitare un dibattito pubblico.

In casa Lega è tanta l’incredulità per la vicenda, ma c’è anche la consapevolezza della situazione del partito all’interno della coalizione. «I risultati delle europee sono stati confermativi – la formula sobriamente un parlamentare – Non è il momento di approfittare della debolezza altrui». Tradotto: il Carroccio ora come ora non ha i numeri per capitalizzare sulle disgrazie dei meloniani. I leghisti sapevano poi che il ministero della Cultura sarebbe rimasto a Fratelli d’Italia: ogni battaglia per Lucia Borgonzoni sarebbe fallita in partenza.

Con Sangiuliano stesso i rapporti rimangono tiepidi. Soprattutto con Matteo Salvini, che l’ex ministro aveva chiamato in causa come precedente per le sue relazioni con Elisa Isoardi e Francesca Verdini: la versione pubblica è che i due si siano chiariti, ma nel partito sono sicuri che Salvini si ricorderà dello sgarbo al momento opportuno. Nonostante tutto i leghisti giurano che tornando nel 2018, quando l’ex ministro fu nominato direttore del Tg2 proprio dai dirigenti del Carroccio, rifarebbero la stessa scelta, perché all’epoca era il candidato più affidabile per difendere le istanze del centrodestra nel servizio pubblico.

Ma da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Sangiuliano ha riscoperto la sua anima nera e si è avvicinato nel momento giusto ai meloniani guadagnandosi addirittura un ministero – una mossa che gli ha fatto guadagnare l’ormai notorio soprannome di “Tarzan” – e nel Carroccio non sono soliti perdonare. Ancora meno un ministro che nella sua lettera di dimissioni vuole difendere «una comunità politica e umana alla quale sento di appartenere». Tant’è vero che l’ambizioso desiderio di Sangiuliano di infilarsi nel valzer di nomine in programma a viale Mazzini e cogliere al volo la direzione della Tgr è durato appena qualche ora, dopo che si è alzato il muro leghista a difesa di una realtà che è considerata quasi proprietà privata.

Ma del destino dell’ex ministro ci si occuperà poi. Oggi comincia una settimana complessa, a partire dal nodo Rai. FI promette battaglia sullo Ius scholae, Salvini è alla ricerca di successi per arginare il successo dilagante del generale Vannacci. Schiacciata tra i due, Meloni deve mettere in piedi una manovra con fondi quasi inesistenti. E sperare che la sua classe dirigente non le regali altri grattacapi.

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