All’evento del Brancaccio di Roma, il ministro della Cultura ha riproposto l’idea di tagliare fondi al cinema: «Fondi del tax credit per le tac in ospedale», facendo il bis della lettera inviata a Giorgetti. «Odia il settore di cui dovrebbe occuparsi»
Dal tax credit alla “tac credit”, il passo è breve. Almeno per il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che ancora una volta ha manifestato la solerzia nel voler sacrificare le risorse per il cinema, che fanno capo al suo dicastero, per altri tipi di intervento. Nel caso specifico la destinazione sarebbero per la salute. Con i fondi del tax credit «si potrebbero per esempio acquistare tante macchine per la tac per abbattere liste di attesa», ha detto l’ex direttore del Tg2, al teatro Brancaccio di Roma, nel corso della celebrazione di un anno di governo. Giù applausi scroscianti della sala. Un nobile intento, vista la lunghezza delle liste d’attesa in Italia.
Ma la dichiarazione conferma, ancora una volta, la tendenza di Sangiuliano a rinunciare ai soldi da spendere per la cultura. Un caso raro, se non unico nella storia dei governi repubblicani, quello del ministro che non vuole fondi. E quindi vuole donarli. La cosa ha sollevato proteste: «Ancora una volta il ministro Sangiuliano, invece di occuparsi del settore a lui delegato, lo insulta», sottolinea il deputato del Pd, Matteo Orfini. «La perla di oggi è che per risolvere le liste di attesa in sanità bisognerebbe demolire il cinema italiano», aggiunge il componente della commissione cultura alla Camera.
Da Tolkien alla casta
Sangiuliano è apparso innervosito sul palco, dopo essere finito nella bufera. È alla ricerca dell’applauso a tutti i costi, dopo i malumori di Palazzo Chigi manifestati sulla gestione della lettera sui tagli al cinema. Inevitabile il lancio del messaggio identitario, una melodia gradevole per i militanti accorsi al Brancaccio: «Il 15 novembre Giorgia Meloni inaugurerà la mostra su J.R.R. Tolkien alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma». Il mito culturale fondante di Fdi. Sangiuliano ha confermato poi il braccio di ferro, costi quel che costi, con il mondo della cultura. Ha avviato così la personale operazione-rilancio davanti a una platea amica, agitando il tema degli sprechi. Ma soprattutto accelerando con l’atavica critica ai “radical chic”, che in certi contesti fa subito presa.
«In questi giorni vengo crocifisso da una casta molto ricca», facendo riferimento ad attori e registi che guadagnano «milioni di euro», ha affermato il ministro. «Ci sono delle cose sospette - ha aggiunto - che fanno riflettere come i film che ricevono milioni di contributi pubblici e che in sala vengono visti da decine di persone e non finiscono nemmeno sulle piattaforme». Insomma, casi singoli e circoscritti, sbandierati ovunque, che diventano il grimaldello per inceppare un motore che sta girando a pieno regime, dando occupazione a centinaia di migliaia di lavoratori. Un universo di cui gli invisi artisti «di sinistra» rappresentano una quota minoritaria.
Mani di forbice
Tra un affondo e una promessa, Sangiuliano ha confermato un dato di fatto: «Faremo un taglio al cinema». Non i 100 milioni di euro messi sul piatto nella lettera, rivelata da Domani, al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ma comunque una sforbiciata di almeno 50 milioni di euro che farà da preludio alla «severa» riforma sull’erogazione dei contributi. Il caso, nonostante i tentativi di mediazione, non è affatto rientrato. Nel comparto dell’audiovisivo la preoccupazione resta molto alta. Il clima di incertezza è alimentato negli ultimi giorni da dichiarazioni spesso contraddittorie all’interno dello stesso Mic.
La sottosegretaria, Lucia Borgonzoni, ha cercato di rassicurare gli operatori parlando di una una riduzione minima degli incentivi per il tax credit. Il presidente dell’Anica, Francesco Rutelli aveva riferito di un «taglio fisiologico». La riforma annunciata da Sangiuliano scompagina tutto e allontana gli investimenti, che nel mondo del cinema sono a lungo termine. In un panorama poco chiaro, i produttori preferiscono dirottare altrove le proprie risorse. Un danno per il cinema italiano e per l'industria culturale. «Siamo alla farsa - commenta Orfini - con un ministro che odia il settore di cui dovrebbe occuparsi e lo insulta ogni giorno».
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