Silenzio del segretario e ancora nessun passo indietro del leghista Solinas, in negoziato le condizioni del suo ritiro con contropartita. Il vicepremier critica il veto a Le Pen e le divisioni del centrodestra in Ue, poi attacca l’agenzia delle entrate: «Solo una fonte di problemi»
Il consiglio federale della Lega si è concluso con una fumata nera, anzi nerissima come l’umore di Matteo Salvini. Nella sede di via Bellerio a Milano, formalmente si è discusso di tutto tranne che del tema decisivo in questo momento: le elezioni regionali e cosa fare della candidatura dell’uscente leghista Christian Solinas, che sulla carta rimane in pista anche se il suo competitor interno, il sindaco di Cagliari di Fratelli d’Italia Paolo Truzzu, nel fine settimana ha dato il via ufficiale alla sua corsa.
La stagione dei veleni
L’aria in casa Lega è pesantissima, l’ordine di scuderia è quello di ripetere che «sulla Sardegna non c’è nessuna novità» e quindi la linea è quella di tenere ancora duro finché si può, anche se trapela l’orientamento di un passo indietro. I simboli sono stati depositati (senza il nome di Solinas come invece sarebbe consuetudine) ma c’è ancora una settimana per contrattare con FdI la contropartita, sia per la Lega che per il governatore uscente che dovrà essere compensato dello smacco. Di qui il silenzio stampa di Salvini e l’ira palpabile con chi accetta di parlare. La sensazione, infatti, è che sia cominciata la stagione dei veleni nel centrodestra: per un Solinas saltato, la Lega chiede la Basilicata e avrebbe già pronto come candidato Pasquale Pepe, anche a costo di pestare i piedi a Forza Italia che è decisa a mantenere l’uscente Vito Bardi. Come un domino, però, con lo strappo in Sardegna tutte le ricandidature certe fino a dicembre vacilleranno. Il ragionamento di Salvini è stato quello di difendere gli uscenti parlando di necessità di rispetto reciproco nella coalizione. Altrimenti anche in parlamento si «può cominciare a ballare», è il commento di chi era presente al federale, dove si è parlato in termini interlocutori anche di terzo mandato.
Non a caso, Salvini ha scelto di far filtrare esattamente tre dichiarazioni ad hoc che sono come cannonate contro Meloni. Il segretario «critica alle ultime scelte della Banca centrale europea», facendo capire il tenore che darà alla campagna elettorale sulle europee. Poi, con un chiaro riferimento al vicepremier Antonio Tajani ma indirettamente anche a Meloni, «Il centrodestra unito è un valore in Italia e non solo, la compattezza è fondamentale anche in Europa, chi divide, magari dicendo no a Marine Le Pen, fa il gioco della sinistra», ha detto Salvini ai suoi. Parole che vengono proiettate verso le Europee ma che risuonano anche nel contesto nazionale, in cui la divisione del centrodestra nei territori potrà favorire il centrosinistra e Salvini ha intenzione di scaricare interamente su FdI la responsabilità di una divisione della coalizione. Infine, una strizzata d’occhio populista che riporta la Lega alla linea di lotta più che di governo, «l’agenzia delle entrate non può essere solo una fonte di problemi per i cittadini».
Più lotta che governo
Con questi presupposti, la giornata di oggi sarà più che complicata per la maggioranza, che comincia con un vertice dei capigruppo e presidenti di commissione in vista l’arrivo in aula al Senato del ddl Autonomia, dopo sei mesi di consultazioni. Si concorderanno i tempi, ma soprattutto la blindatura degli emendamenti al testo del ministro Roberto Calderoli. Anche alla luce dello scontro sulle regionali, la Lega non transigerà su un iter velocissimo, anche se avrà l’effetto di svincolare i tempi della legge sull’autonomia differenziata da quelli per la riforma costituzionale del premierato, ancora in commissione Affari istituzionali. L’obiettivo è di arrivare in tempi rapidi al primo sì a palazzo Madama, che il governatore del Veneto Luca Zaia definisce «un momento storico», così da poterlo capitalizzare nella campagna elettorale delle Europee.
Anche su questo fronte, nessuna nuova dal consiglio federale, dove però si è parlato della possibilità che i presidenti di regione si candidino: Salvini lo auspicherebbe, ma ci sarebbero resistenze soprattutto tra i presidenti da poco eletti che in Ue poi non accetterebbero il seggio e non sarebbero propensi a giocare con la loro credibilità sul territorio. Alla vigilia si era immaginato che Salvini annunciasse la candidatura del generale Roberto Vannacci con la Lega, assestando così il primo colpo nella competizione interna con il partito di Meloni.
Invece Vannacci ripete che «sta valutando» ma non si sbilancia, ben consapevole della sua forza contrattuale. Eppure, entro la settimana almeno la questione sarda andrà sciolta e servirà tutta l’abilità di Salvini per non farla passare per una sconfitta.
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