Non sarà l’autunno caldo e nemmeno la «rivolta sociale» invocata dal leader della Cgil, Maurizio Landini. Ma lo sciopero generale di venerdì 29 novembre è la prima pietra verso una mobilitazione che potrebbe durare mesi: si fermeranno tutti i settori, pubblici e privati. Un altro colpo per il governo in cui cresce l’apprensione. Perché la rivendicazione si concentrerà sulla questione salariale, molto sentita dai lavoratori. Basti pensare all’agitazione dei medici della scorsa settimana. A palazzo Chigi il clima, al netto del tentativo di minimizzazione, è molto teso.

La navigazione della maggioranza è instabile, come mai accaduto dalle elezioni politiche del 2022. Le recenti fibrillazioni sul decreto fiscale, approvato tra tanti distinguo e qualche scivolone come sul canone Rai, sono solo il prologo di una manovra economica che si annuncia complicata. E che non a caso è tuttora ferma in commissione alla Camera nell’attesa di capire come orientarsi.

Querelle Irpef

Giovedì è arrivata la certificazione del fatto che la seconda aliquota Irpef resterà al 35 per cento, quindi non sarà portata al 33 per cento come chiesto da Forza Italia.

I termini per l’adesione al concordato fiscale sono stati fissati al 16 gennaio, non più a metà dicembre, e quindi ben oltre l’approvazione della manovra economica. E lì il segretario di FI, Antonio Tajani, contava di trovare il tesoretto per abbassare le tasse al ceto medio.

La battaglia non è finita: sui 430 milioni di euro che la Lega voleva destinare alla riduzione (da 90 a 70 euro) del canone Rai «proponiamo che questa cifra sia destinata a un fondo per tagliare l’Irpef», ha rilanciato, nell’aula di palazzo Madama, il senatore forzista Roberto Rosso. Dal Mef, il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha fatto esercizio di prudenza: «Vedremo se lo si potrà fare quest’anno oppure all’inizio del prossimo anno».

Le certezze sono poche, anche perché il 2024 è agli sgoccioli: si sta chiudendo la finestra per decidere come spendere le eventuali risorse aggiuntive, che sono un po’ come Godot. Dovrebbero arrivare, ma non si palesano nel bilancio pubblico.

E, se c’è una tensione interna a creare problemi al governo, non mancano i fattori esterni a scuoterlo. Con lo sciopero generale «inizia un percorso di mobilitazione», spiega a Domani Serena Sorrentino, segretaria generale della Fp Cgil, «con l’auspicio di incontrare una disponibilità di confronto nel governo ma anche nel parlamento, soprattutto per la parte emendativa alla legge di Bilancio».

Il focus, in particolare, sarà sulla sanità: gli infermieri sono già in fibrillazione, insieme a tutto il personale sanitario. «La questione non è solo di salari, che vanno ovviamente aumentati, ma riguarda anche l’organizzazione e la valorizzazione dei lavoratori», insiste Sorrentino.

Ma nel pubblico ci sono tanti altri comparti sotto l’attenzione dei sindacati. Il primo obiettivo, comunque, resta quello di bloccare l’Italia per la giornata con lo sciopero per dare una prova di forza e il segnale di un malcontento crescente nel paese. Un’inversione di rotta dello storytelling di Giorgia Meloni di un «governo dei record», come ripetuto ancora giovedì da Guido Liris, capogruppo di FdI in commissione Bilancio al Senato. La realtà va nell’altra direzione, i mugugni arrivano da più versanti. Lo stato di agitazione delle parti sociali agita il governo.

Precettazione e tensione

Lo sciopero, come hanno spiegato i promotori, non è da interpretare come un atto ostile: è un’operazione per avviare un dialogo sulla piattaforma presentata dai sindacati. Intenti destinati a restare frustrati. La precettazione ordinata dal ministero delle Infrastrutture di Matteo Salvini non è infatti il miglior viatico per riprendere il filo di un discorso che il governo non ha mai effettivamente cercato e voluto. I sindacati sono stati convocati dopo che il testo della legge di Bilancio era stato scritto.

E il leader della Lega è il capofila dei leader alla ricerca dello scontro con i sindacati: ha subito rivendicato la bocciatura di un ricorso al Tar proprio sulla precettazione, dando per sconfitti Cgil e Uil. Ma ha stravolto la realtà. «Il Tar non si è ancora espresso sul ricorso presentato da noi. È un modo per buttarla in caciara», ha detto il segretario della Uil, Pierpaolo Bombardieri. Del resto il solo via libera alla precettazione – dato dal Garante sull’attuazione della legge sugli scioperi – ha creato nervosismi.

«La legge vuole che gli scioperi siano distanziati», è stata la posizione di Paola Bellocchi, presidente della commissione, che ha ricordato come già fossero stati convocati degli scioperi dei trasporti di altre sigle. «I Presidenti della Camera e del Senato, appena insediati, vollero rinnovare i membri della Commissione di garanzia e riaprirono i termini con ogni probabilità per poter far partecipare figure politicamente a loro vicine», incalza il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni.

Un clima avvelenato, insomma, che non lascia spiragli a una ripartenza del confronto.

Dall’esecutivo la strategia è quella di politicizzare la protesta. «Landini fa opposizione al governo, non il sindacalista. E in questo modo davvero non tutela i lavoratori», ha attaccato il senatore di Forza Italia, Dario Damiani.

Mentre per Antonio Baldelli, deputato di FdI, «il Pd sta scaldando la poltrona per Landini». Eppure lanciare la palla in tribuna, prendendosela con la politicizzazione, sembra un’arma scarica.

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