- All’Istituto italiano di tecnologia, creatura dell’ex ministro Roberto Cingolani, sarà sciopero: il primo della sua storia. «Entro dicembre», assicurano Cgil e Usb, che guidano le proteste di 600 impiegati e tecnici dipendenti del centro di ricerca.
- I ricercatori accusano l’istituto di «creare precariato e fuga di cervelli», tecnici di laboratorio e amministrativi «di bloccare gli avanzamenti di carriera», i sindacati «di agire in modo paternalista». Tutti insieme contestano all’Iit di «non applicare contratti collettivi».
- La reazione dell’Iit alle vertenze è il silenzio. Secondo l’istituto 3-4 anni di dottorato e 6-7 anni di post doc non ammettono proroghe, salvo eccezioni. Davanti alla richiesta di a Cnr e Human Technopole, dove applicano il contratto nazionale della ricerca e il contratto chimico-farmaceutico, si è arrivati al muro contro muro.
All’Istituto italiano di tecnologia sarà sciopero: il primo della sua storia. «Entro dicembre», assicurano Cgil e Usb, che guidano le proteste di 600 impiegati e tecnici dipendenti del centro di ricerca. Dopo uno stato di agitazione cominciato a ottobre, martedì scorso è stato annunciato lo stop dal lavoro.
Una novità assoluta per l’Iit, 12 centri in Italia e due negli Usa, scienziati da 60 paesi e 17mila pubblicazioni che spaziano dalla robotica alle neuroscienze. Nel quartier generale di Genova Bolzaneto c’è tensione: i ricercatori accusano l’istituto di «creare precariato e fuga di cervelli», tecnici di laboratorio e amministrativi «di bloccare gli avanzamenti di carriera», i sindacati «di agire in modo paternalista». Tutti insieme contestano all’Iit di «non applicare contratti collettivi» nonostante l’istituto riceva ogni anno circa 90 milioni di euro dal ministero dell’Economia e abbia 1.900 lavoratori. Per il personale dipendente i contratti sono infatti individuali e integrati con un regolamento, che non prevede una Rsu ma una «rappresentanza dei lavoratori».
Lo scorso anno, per la prima volta, Cgil e Usb hanno partecipato alle elezioni e trasformato il malumore in lotta, anche se oggi consigliano ai sei rappresentanti «di non esporsi». Questo la dice lunga sull’atmosfera che si respira in questo istituto nato nel 2003 in piena era Berlusconi, tra le polemiche del mondo accademico per la natura di fondazione privata finanziata in gran parte con soldi pubblici e legata al mondo dell’industria.
Oggi è un’eccellenza accompagnata dal prestigio e da una comunicazione spumeggiante, «dove però decide tutto il datore di lavoro, nulla è contrattato», attacca Stefano Boero della segreteria ligure Flc Cgil. La lista delle lamentele è lunga: poca trasparenza su salari, aumenti, premi, promozioni, mansioni, inquadramenti, carichi di lavoro. E poi telelavoro mal concordato; assenza di buoni pasto; differenze nelle pause per motivi sanitari e familiari. «Il problema non è l’assenza di diritti, ma la loro discrezionalità. Dipende tutto dai rapporti con il superiore», aggiunge Maurizio Rimassa, tra i coordinatori genovesi di Usb.
«I vertici però hanno il contratto nazionale da dirigente». A questa battaglia si aggiunge quella dei 1300 ricercatori: circa 900 tra dottorandi e post doc, fellowship, researcher e e principal investigators. In estate in 160 hanno scritto al governo Draghi, chiedendo «pari diritti rispetto ai colleghi impiegati in università o negli enti pubblici di ricerca». Secondo il Comitato ricercatrici e ricercatori precari di Iit, l’istituto deve applicare il contratto nazionale della ricerca anche per favorire la crescita professionale.
Modello Cingolani
È bene precisare che all’Iit molti sono legati al modello elastico e competitivo creato dall’ex direttore scientifico Roberto Cingolani, poi diventato ministro nel governo Draghi. Ma da quando l’istituto ha iniziato le attività, nel 2006, il contesto è cambiato: i giovani dipendenti sono cresciuti e ora vogliono più certezze, mentre molti ricercatori sono arrivati alla scadenza dei contratti.
Secondo Francesco Sylos Labini, direttore di ricerca del centro ricerche Enrico Fermi di Roma, da sempre critico nei confronti dell’Iit, le proteste in corso sono inevitabili. «La ricerca non è un’autostrada, ma un’esplorazione che richiede tempo e tranquillità. Per questo servono linee di ricerca stabili», assicura, citando il Max Planck Institute tedesco e il Cnrs francese, che offrono possibilità di fare carriera per attrarre ricercatori affermati.
Nel 2020 i contratti del Cnr a tempo indeterminato erano 8.425, a tempo determinato 208; nell’Infn erano 1.984 e 210; nell’Ingv 838 e 90. All’Iit, secondo la Corte dei conti, a fine 2020 lavoravano 1.902 persone, di cui 517 a tempo indeterminato: il 73 per cento è quindi precario. Tra il personale di ricerca (1.590 persone) i precari sono l’85 per cento: ma i 231 stabili sono quasi esclusivamente tecnici di laboratorio.
La reazione dell’Iit alle vertenze è il silenzio. Secondo l’istituto 3-4 anni di dottorato e 6-7 anni di post doc non ammettono proroghe, salvo eccezioni. Mentre per l’Iit è un sistema meritocratico dove al massimo il 15 per cento dei ricercatori guadagna la riconferma vincendo dei fondi, per i ricercatori in lotta il metodo non è trasparente. Ai dipendenti in agitazione l’istituto ricorda invece la situazione di fortuna rispetto ad altri luoghi di lavoro.
Davanti alla richiesta di Cgil e Usb di ispirarsi a Cnr e Human Technopole, dove applicano il contratto nazionale della ricerca e il contratto chimico-farmaceutico, si è arrivati al muro contro muro. Il direttore scientifico dell’Iit Giorgio Metta, più volte sollecitato, non commenta. In settimana, a un evento pubblico genovese, ha spiegato: «Non abbiamo trovato un contratto collettivo nazionale applicabile», riporta Ansa. «Non esiste un contratto privato per la ricerca». Il dialogo è in corso ma qualsiasi soluzione arriverà «non in tempi brevi». Una posizione ritenuta di chiusura da Cgil e Usb, pronte allo sciopero entro metà dicembre.
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