I controlli dell’autorità portuale avevano bloccato le imbarcazioni della Ong sulla base del numero dei bagni presenti a bordo e sulla capienza delle imbarcazioni. L’Europa mette in discussione i pretesti e ribadisce il dovere di salvare le vite in mare. Sea Watch: «L'Italia non può pretendere una certificazione che non esiste e il numero di persone salvate non è un motivo di fermo, continueremo a salvare le persone»
Mentre la campagna elettorale della destra punta a creare paura sull’immigrazione, l’Europa ribadisce il dovere di effettuare i salvataggi in mare. La Ong tedesca Sea Watch aveva fatto ricorso su due provvedimenti di fermo da parte delle autorità portuali, e la Corte di giustizia ha stabilito che le imbarcazioni che fanno attività di ricerca e soccorso in mare possono essere controllate dallo stato di approdo ma «provvedimenti di fermo possono essere adottati soltanto in caso di evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l'ambiente, il che deve essere dimostrato». E non si può mai prescindere da un dovere: «Il dovere fondamentale di prestare assistenza a persone in pericolo o in pericolo in mare».
la Corte di giustizia Ue ha risposto alle questioni pregiudiziali che le sono state sottoposte dal Tar della Sicilia nella causa intentata dalla Sea Watch contro l'Italia. Le navi erano state bloccate rispettivamente a Porto Empedocle e a Palermo a luglio e a settembre 2020.
Per mesi Sea-Watch 3 e Sea-Watch 4 sono state trattenute per controlli dello Stato di approdo con la spiegazione di certificazioni mancanti e troppe persone soccorse.
La Ong è pronta a continuare la battaglia: «Nella sentenza di oggi, la Corte di Giustizia Ue ha dichiarato che il salvataggio in mare è un dovere e i controlli dello Stato di approdo non devono essere usati in modo arbitrario contro le Ong per trattenere le navi e impedire loro di svolgere il proprio lavoro».
Questo, hanno aggiunto, «significa che l'Italia non può pretendere una certificazione che non esiste e che il numero di persone salvate non è un motivo di fermo. I controlli dello stato di approdo devono essere effettuati quando previsto o con valida motivazione». La Ong ribadisce di non essere contraria ai controlli: «Il loro scopo è quello di garantire la sicurezza delle navi, che consideriamo molto importante. I controlli arbitrari, invece, devono finire».
Adesso la questione ritorna al Tar che dovrà decidere se i fermi siano o no proporzionati sulla base di quanto stabilito dalla Corte di giustizia Ue. Se le condizioni poste dalla Corte non trovassero riscontro verranno annullati gli atti.
La posizione della Commissione
Le osservazioni della Commissione prodotte in vista della sentenza, che Domani ha potuto leggere, sono ancora più nette. Il testo riporta che in particolare l'autorità di controllo dello stato di approdo non può sostituirsi all'autorità dello stato di bandiera nel fissare le condizioni in base alle quali una nave battente bandiera di quest’ultimo può effettuare operazioni di ricerca e salvataggio e non può impedire a tale nave, qualunque sia la sua classificazione, di effettuare operazioni di salvataggio, anche se tale attività può comportare un numero di persone a bordo superiore al numero normalmente previsto e per il quale sono disponibili dotazioni di salvataggio. La sentenza ne ha tenuto conto, pretendendo le prove dell’inagibilità.
La questione
La questione verte sulla esistenza, e ampiezza, di poteri delle autorità del porto di imporre ai navigli commerciali battenti bandiera di altro stato membro (la Germania in questo caso) e dopo verifica (a priori), standard nazionali di sicurezza in previsione della possibile accoglienza di migranti a bordo, indipendentemente dalla esistenza di regolare certificazione di navigabilità rilasciata dalle autorità di bandiera.
In questo caso, le capitanerie di porto avevano impedito alle navi di Sea Watch di riprendere il mare con il pretesto, tra le altre cose, di disporre di un numero di toilette insufficiente alla gestione di possibili persone salvate in mare.
Questa causa riguarda dunque l’interpretazione dei principi fondamentali attinenti la libertà di navigazione e l'obbligo di salvataggio in mare che si applicheranno a fattispecie contigue e ad altri casi che le Ong denunciano come ostruzionismo da parte delle autorità portuali italiane e non solo: «La sentenza fornisce una base legale alle Ong e rappresenta una vittoria per il soccorso in mare».
Sea Watch conclude: «Le navi potranno continuare a fare ciò che sanno e che devono fare: soccorrere le persone e non rimanere bloccate in porto per decisioni arbitrarie e pretestuose».
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