«La fase a cui siamo arrivati è molto delicata e la sensazione è che il grande dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione». Il messaggio dei genitori della giornalista Cecilia Sala mette un punto ai movimenti della politica italiana, ma non agli sforzi di governo e apparati per riportare la reporter in Italia il prima possibile. Dopo il vertice di giovedì, ieri è stato il giorno dei movimenti silenziosi.

L’appello è stato accolto anche dalle opposizioni, che comunque giovedì hanno deciso di non dare seguito con una presenza fisica nei palazzi al loro desiderio di partecipare agli sforzi per accelerare il rimpatrio di Sala. Il Copasir, a cui il governo ha promesso di riferire gli ultimi aggiornamenti per bocca del sottosegretario Alfredo Mantovano, non si riunirà prima di lunedì, mentre manifestazioni pubbliche di solidarietà come quella organizzata dai radicali sono state annullate.

L’evento diplomatico della giornata è stato però l’incontro dell’ambasciatrice italiana Paola Amadei con Majid Nili Ahmedabadi, direttore generale per l’Europa occidentale del ministero degli Esteri di Teheran.

Quasi un appuntamento speculare alla convocazione di giovedì dell’ambasciatore iraniano in Farnesina. Per l’agenzia iraniana Irna l’incontro è servito al regime a ribadire i rischi che porta con sé lo stallo sulla vicenda di Mohammad Abedini Najafabadi, arrestato a Malpensa per volontà degli Stati Uniti. «Roma rigetti la politica sugli ostaggi degli Stati Uniti e crei le condizioni per il rilascio. Gli Usa prendono in ostaggio gli iraniani nel mondo, imponendo le loro leggi in altri paesi: questo non solo danneggerà i legami Iran-Italia, ma è contro le leggi internazionali» ha detto il direttore generale all’ambasciatrice.

Ritorno al silenzio

Nonostante le dure parole che si leggono nei lanci dell’agenzia, a Roma si respira un clima di timido ottimismo. La decisione di tornare al silenzio stampa, dopo diversi giorni in cui l’arresto della giornalista è stato oggetto di attenzione altissima da parte di media e politica, potrebbe essere sintomo di un’accelerazione delle trattative.

L’interpretazione che dà chi è familiare con il dossier è che la ragione possa essere – come fu nel caso Piperno, quando era andata in maniera simile – che le tessere del complesso puzzle che Giorgia Meloni deve risolvere per riportare a casa Sala stanno cadendo nel posto giusto.

Apertura americana

Il primo grande ostacolo da superare per sbrogliare la matassa era sbloccare l’atteggiamento del governo americano, indisponibile a cedere sulla vicenda dell’ingegnere Abedini, che ieri ha confessato al suo avvocato che sta pregando per Sala e per sé stesso: la concessione degli arresti domiciliari all’iraniano da parte dei giudici di Milano sarebbe però indispensabile per ottenere almeno un miglioramento delle condizioni di detenzione della giornalista.

L’ira degli Usa potrebbe essere placata sia dal dialogo diretto tra Meloni e il presidente entrante Trump, sia dalla promessa agli americani che, in cambio di un niet italiano all’estradizione di Abedini, avrebbero accesso alle informazioni che riusciranno a ottenere gli inquirenti italiani dall’iraniano.

Ovviamente la decisione finale è dei giudici, in Italia potere autonomo rispetto a quello politico (la procuratrice generale di Milano due giorni fa ha dato parere negativo ai domiciliari). Ma dovesse andare “male” in tribunale, in seconda battuta è il ministro della Giustizia, oggi Carlo Nordio, a poter eventualmente bloccare l’estradizione.

Giovedì anche l’ambasciatore iraniano in Italia aveva sottolineato come la concessione dei domiciliari avrebbe sbloccato la situazione di Sala: la trattativa con Teheran – in mano soprattutto ai servizi italiani, che hanno rapporti cordiali e intensi con i colleghi di Teheran – è il secondo binario su cui si starebbe snodando la strategia di Meloni.

L’obiettivo finale è un triplice accordo che permetta sia agli Stati Uniti, sia all’Iran che all’Italia di uscire dallo stallo alla messicana a testa alta. E di evitare pasticci come quello del russo Uss.

La priorità di palazzo Chigi resta comunque quella di riportare la giornalista a casa, anche a costo di irritare gli americani, notoriamente non entusiasti delle operazioni non concordate tra Roma e Washington. Ma a quanto si apprende, Meloni sarebbe pronta, se necessario, anche a fare i conti con qualche risentimento della nuova amministrazione americana con cui la premier intrattiene comunque buoni rapporti.

Insomma, la via per riportare Sala in Italia senza irritare né Teheran né gli Stati Uniti è imboccata, ora però al governo serve silenzio per far correre le trattative riservate.

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