Le condizioni di detenzione di Cecilia Sala nel carcere di Evin a Teheran confermano che l’affaire Abedini – perché è l’uomo dei droni il vero oggetto della partita che si sta giocando, innanzitutto tra Washington e Teheran, e nella quale la giornalista italiana è purtroppo un “transizionale” oggetto politico, una strumentale pedina di scambio –, rimane assai complicato per l’Italia. Alleanze, passaggi di consegne, questioni di prestigio, piani più o meno segreti, cavilli giuridici: molto ostacola il destino di Sala.

Inutile soffermarsi sulle accuse rivoltele: il capo d’imputazione, violazione delle norme islamiche, è talmente generico – sono centinaia le norme collegate –, da consentire alla magistratura iraniana, controllata dal gruppo dei conservatori religiosi che fa capo al leader Khamenei, una soluzione in un senso o nell’altro. Assai più realpolitiker di quanto si ritenga all’esterno, l’Iran ha spesso lasciato che, negli affari di stato, prevalga il Dio del Politico anziché quello della Legge di derivazione religiosa: ambiguità intrinseca alla sua stessa denominazione, Repubblica Islamica, un vero e proprio ossimoro politico che svela come a essere potenzialmente contesa nel “sistema” sia la natura della sovranità che vi si esercita e la duplice natura, religiosa e politica, della sua architettura istituzionale. Un contesto, quello sciita, dove teologia e diritto contemplano la possibilità di un’interpretazione non letteralista ma esoterica, e dunque “sostanziale”, della norma. 

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I giudici e il governo

Sul versante della partita italiana – ne esiste anche uno a stelle e strisce, del tutto indisponibile giudiziariamente e politicamente, riguardante Mahdi Mohammed Sadeghi, arrestato nel Massachussets e ritenuto complice dell’imprenditore svizzero-iraniano fermato a Malpensa su richiesta degli Stati Uniti –, il nodo resta Mohammed Abedini-Najafabadi, accusato dal Dipartimento della Giustizia di aver trasferito ai Pasdaran, violando le sanzioni Usa, tecnologia militare per droni: impiegata nei vettori che hanno ucciso tre militari americani nella base Tower 22 in Giordania. Detenuto a Opera, Abedini è ora in attesa della decisione sull’estradizione da parte della Corte d’Appello di Milano. O quanto meno, degli arresti domiciliari che avrebbero come effetto-specchio il miglioramento delle condizioni di detenzione di Sala.

La decisione sulle sorti di Abedini è, dunque, nelle mani dei giudici italiani, nel nostro ordinamento autonomi dal potere esecutivo. Resta, però, la possibilità, per il ministro della Giustizia, di revocare, secondo l’articolo 718 del codice di procedura penale, le misure cautelari. E proprio tale strada stanno esplorando le autorità italiane.

Ma qui, come si comprende, la questione si fa tutta politica. Anzi, pensando i suoi incandescenti getti, magmaticamente politica. Per quanto a Palazzo Chigi e alla Farnesina si confidi nell’ammorbidimento dell’amico americano – magari sancito durante la visita di congedo di Biden a Roma, prima che il “vecchio Joe” lasci posto a Trump nella Sala Ovale e il fedelissimo Pashel, deciso a combattere il “deep state” persino nella potente agenzia interna, si insedi all’FBI – gli ostacoli da superare sono molti. E alti.

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Il profilo di Abedini

Tanto più se, come si adombra in riva al Potomac, “l’ingegnere dei droni” non fosse solo un imprenditore di confine ma una figura con stretti e organici legami con i Pasdaran e il loro “complesso militar-industriale”, particolarmente attento alla tecnologia missilistica, campo nel quale, in assenza del nucleare militare, la Repubblica Islamica fonda la sua residua deterrenza. È l’insieme di questi elementi – accuse statunitensi ai due iraniani di aver “cospirato” per esportare tecnologia sensibile e aver minacciato, in tal modo, “la sicurezza degli Stati Uniti”, la transizione alla Casa Bianca, il profilo di Abedini e la sua rilevanza per la forza aero-spaziale dei Pasdaran –, a rendere il “puzzle dei detenuti” di difficile soluzione.

Un nodo che non può essere tagliato gordianamente a Roma, senza riverberarsi pesantemente sulle relazioni italo-americane, ma nemmeno a Teheran. Se non altro, perché i Pasdaran non possono permettersi, dopo gli scacchi subiti negli ultimi mesi, l’ennesimo colpo alla loro influenza e al loro prestigio. Non provare tutto per riportare a casa Abedini, minerebbe profondamente quegli elementi di protezione, affidabilità, lealtà, che consentono a organismi che agiscono istituzionalmente nella terra di nessuno del segreto, di agire preservando la tenuta di quelle stesse organizzazioni.

Riottenere Abedini, usando drammaticamente Sala come ostaggio – anche nel caso la crisi esterna e interna si saldi e precipiti e si voglia condizionare l’Italia alleato degli Usa e Israele – è la carta gettata sul tavolo dai Pasdaran.

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