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Il leader di FI interviene per la fiducia e sfodera l’armamentario degli accordi di Pratica di Mare e rivendica la paternità della coalizione. La premier è soddisfatta: nessun intoppo, anche se FI rimane una polveriera.
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Per sostenere la sua personale narrazione, il Cav si è concesso anche di riscrivere la storia recente, rivendicando che la coalizione non si sia «mai divisa, anche stando all’opposizione», opportunamente dimenticando sia il governo Conte 1 che il governo Draghi.
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Ora a Berlusconi spetta l’onere di sfoltire la rosa dei troppi nomi per troppi pochi posti da sottosegretario. Così si rompe l’illusione del discorso da fasti del 1994 e FI deve ricordarsi di essere il partito dell’8 per cento, diviso al suo interno e a rischio spacchettamento.
A Silvio Berlusconi è rimasto solo il lusso inutile dell’egocentrismo. «Se oggi per la prima volta al governo del paese c’è un esponente della destra, questo è stato reso possibile perché 28 anni fa è nata una coalizione plurale» a cui «io ho dato vita», ha detto guardando la neo-premier Giorgia Meloni, che sorrideva ascoltandolo. Tradotto: questa premier l’ho inventata io. Magra consolazione, dopo i tanti no ricevuti nella composizione del governo e ora anche sui sottosegretari.
Per sostenere la sua narrazione si è concesso anche di riscrivere la storia recente, dicendo che la coalizione non è «mai divisa, anche stando all’opposizione», opportunamente dimenticando sia il governo Conte I che il governo Draghi. E poi «libertà», ripetuta come mantra e i ritornelli uguali dal 1994: «Meno tasse, pace fiscale» e «riforma della giustizia come priorità irrinunciabile».
Proprio la giustizia è l’unico passaggio che non ha resistito a leggere e ha fatto a braccio, uscendo dalla gabbia d’inchiostro che gli è stata costruita intorno per evitare nuovi incidenti diplomatici. La parte sull’Ucraina era la più attesa, dopo l’audio della riunione in cui sposava le ragioni di Putin.
Ogni passaggio è stato cesellato e il compromesso è stato ancora quello di buttarla sull’orgoglio, con l’evergreen del trattato di Pratica di Mare del 2002, assurto a «miracolo che poneva fine alla Guerra fredda», che serviva per «recuperare la Russia all’Europa per affrontare l’espansionismo cinese». Un grandioso processo che l’invasione ucraina «ha vanificato».
Lo stratagemma per non incrinare ancora di più il rapporto di fiducia con la neo premier è stato quello di puntare sulla rivendicazione del passato glorioso di Forza Italia. «FI lavorerà al suo fianco con lealtà e impegno per lavorare sul programma, da liberali cristiani garantisti, europeisti e atlantici», è la conclusione di Berlusconi, e anche questa è stata l’occasione per ricordare il suo primo discorso da presidente nel 1994, «in cui parlavo di sognare un futuro migliore per il paese. Queste mie parole di allora, queste quelle di oggi», ha concluso, fissando a 5 anni la durata del governo.
Equilibrio precario
Il Cavaliere ha ritoccato fino all’ultimo il suo intervento d’aula, il primo al Senato a 9 anni di distanza dalla sua decadenza. Stretto in seconda fila tra Maurizio Gasparri e la capogruppo Licia Ronzulli, la penna ha tracciato righe e aggiunto parole sui fogli stampati. Ha letto e riletto il testo fino all’ultimo, mentre i senatori intorno a lui sottolineavano con applausi l’intervento di replica di Meloni. Si è unito solo quando la premier ha risposto all’ex magistrato e senatore Cinque stelle, Roberto Scarpinato, che la attaccava sul neofascismo, parlando dei «teoremi con cui parte della magistratura ha costruito processi fallimentari». C
osì si è chiuso il primo round: Forza Italia rimane precariamente unita, con la stessa Ronzulli intervenuta in aula ad assicurare che «Forza Italia sosterrà lealmente il governo, certa che troverà la stessa lealtà». Sotto la cenere continua però lo scontro. C’è il nodo del cumulo di cariche del ministro e capodelegazione Antonio Tajani, anche coordinatore di partito, su cui il rumoreggiare non si placa. Quello sul numero di sottosegretari – il Cavaliere ne chiede almeno otto, ma probabilmente saranno sette - e viceministri – due - che ora, dopo l’intervento distensivo, potrebbe risolversi più facilmente.
Rimane sospesa la spartizione delle quote per le singole fazioni: Quella di Ronzulli, a secco di ministeri; quella dei “governisti” rimasti senza scranno parlamentare ma vicini all’ex premier; ma anche quella degli eletti nel meridione, dove FI ha ottenuto un risultato buono ma senza alcuna ricompensa.
A Berlusconi spetterà l’onere di sfoltire la rosa dei nomi. Così si rompe l’illusione del discorso da fasti del 1994 e FI deve ricordarsi di essere il partito dell’8 per cento. Ma indispensabile per la maggioranza, ricordano gli azzurri. Almeno per ora, visto che l’intervento che ha preceduto quello di Berlusconi era di Matteo Renzi, e il leader di Italia viva ha sapientemente saputo raccogliere sorrisi e applausi solo dalla parte destra dell’emiciclo.
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