Schlein a Meloni: «Fermati». Ma ora nella Ue la linea della segretaria è più isolata. E il nuovo invio di armi in Ucraina aprirà altre spaccature con M5s. Ma anche interne
«Giorgia Meloni taglia la sanità pubblica e nega il salario minimo, ma continua a insistere col fallimentare piano dei centri in Albania». Alla vigilia di Natale, Elly Schlein è preoccupata dal rilancio del protocollo albanese arrivato lunedì: «Continuare a investire risorse pubbliche in un’operazione che viola i diritti fondamentali è irresponsabile e inammissibile in un paese in cui 4 milioni e mezzo di persone non riescono a curarsi. Il governo si fermi, meglio ammettere i propri sbagli che far pagare il prezzo agli italiani».
Meloni, costretta a rilanciare sull’immigrazione per non farsi scavalcare a destra da Matteo Salvini (ormai incontenibile dopo l’assoluzione dal caso Open Arms), dice di avere dalla sua i capi dei governi europei. E la Commissione. È vero è che anche i socialdemocratici del Nord, per esempio i danesi, sono favorevoli alle «esternalizzazioni delle frontiere», nonostante il no formale pronunciato all’ultimo incontro dei leader di S&D.
Non è una buona notizia, per il Pd. E non promette nulla di buono per l’inizio del prossimo anno. Per il Nazareno il 2024 è stato un anno positivo: quello di un buon risultato alle europee e alle regionali. Ma non sarà un Natale senza pensieri quello di Schlein. La segretaria non stacca per ora, spiegano al Nazareno, «sta seguendo la manovra».
La legge di Bilancio arriverà in aula al Senato il pomeriggio del 27 dicembre, e sarà approvata il giorno dopo con voto di fiducia. I senatori pigeranno i bottoni, a parte i pareri della commissione Bilancio, arrivati lunedì. Una manovra contestata dalle opposizioni. Eppure il tema sarà presto archiviato: alla conferenza stampa del 9 gennaio (ex di fine anno), la legge di Bilancio sarà ormai alle spalle.
Sotto l’albero
Sotto l’albero del Nazareno c’è il «dono» di una serie di emendamenti che hanno avvicinato le opposizioni alla Camera, dove si è combattuta la battaglia parlamentare: su sanità e automotive, per esempio. Ma non è abbastanza per fare intravedere un inizio del cammino dell’alleanza: restano renitenti alla leva Conte da una parte e Calenda dall’altra. Secondo le previsioni dem, il 2025 al massimo può portare gli accordi sulle future regionali, niente di più, «anzi, alla questione va tolta enfasi, se ne parlerà quando le politiche saranno in vista», viene spiegato.
Anche perché a gennaio arriverà in parlamento il voto per la fornitura di armi all’Ucraina: il decimo pacchetto bellico è già approdato al Copasir, nelle aule si vota la deroga alla legge 185. Di nuovo il Pd starà da una parte, M5s e Avs dall’altra. Anzi, il Pd rischia di dividersi a sua volta. E sarebbe solo l’inizio: in attesa che si parli concretamente dell’aumento delle spese militare per raggiungere il famoso 2 per cento del Pil. Prima di cercare un punto di sintesi con M5s e Avs, Schlein ne deve trovare uno dentro il partito.
C’è un’altra preoccupazione natalizia. Nel Pd nessuno crede al voto anticipato, a partire dalla segretaria che, all’ultima assemblea nazionale, ha anticipato che il 2025 sarà un anno dedicato a consolidare il Pd. Sì, ma come? Finendo di trasformare il Pd nel Pd di Schlein, magari con una «conferenza di programma» come chiede la sinistra? Oppure «fotografando il partito dei territori» come chiedono i riformisti, tradotto accettando di dare rappresentanza a quelli che «hanno i voti», vedasi le europee?
Non è una questione da poco, per esempio in Campania: per uscire dal commissariamento, il Pd – su indicazione del Nazareno – potrebbe trovare un accordo su un segretario di area riformista; in questo modo la segretaria avrebbe trovato la chiave per isolare Vincenzo De Luca, deciso a candidarsi presidente per la terza volta, ed evitare rotture nel partito regionale. Ma dovrebbe farlo digerire ai suoi, che hanno combattuto contro il terzo mandato: non facile.
© Riproduzione riservata