Le preoccupazioni dei rettori non sono infondate: gli atenei italiani continuano a soffrire di una cronica carenza di fondi rispetto alle università degli altri paesi avanzati. Secondo il rapporto "Education at a Glance 2024" dell'Ocse, l'Italia destina appena l'1 per cento del Pil alla formazione terziaria, contro una media dell'1,5 per cento, posizionandosi al terzultimo posto tra i 38 paesi più sviluppati
Alla fine di settembre, il ministero dell’Università e della ricerca (Mur) ha pubblicato il decreto sul Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) per il 2024, ponendo fine a mesi di preoccupazioni espresse dai rettori italiani. Nonostante i timori di tagli significativi, il Mur ha annunciato un aumento del 21 per cento rispetto agli stanziamenti pre-pandemia, portando i fondi da 7,45 miliardi a oltre 9 miliardi di euro. A questo incremento si sommano risorse aggiuntive per programmi specifici, oltre ai fondi del Piano nazionale per gli investimenti complementari (Pnc) e del Pnrr che, per il periodo 2022-2026, ammontano a quasi 11 miliardi di euro.
Nonostante ciò, negli atenei italiani si respira un clima di preoccupazione, con l’idea che si stia tornando ai periodi di “vacche magre” che per decenni hanno caratterizzato il sistema universitario. Queste preoccupazioni sono davvero fondate?
A prima vista, i tagli sembrano limitati: 170 milioni di euro in meno rispetto al 2023, cioè una decurtazione inferiore al 2 per cento. Considerando però l'inflazione, il taglio reale risulta superiore e annulla del tutto il vantaggio dichiarato dalla ministra rispetto al 2019. Inoltre, surrettiziamente, alcune spese sono state caricate sul Ffo senza fondi aggiuntivi, come il piano straordinario di reclutamento e i recenti aumenti stipendiali del personale. Secondo la Conferenza dei rettori ciò comporta una riduzione effettiva di circa 800-900 milioni rispetto all’anno precedente.
Il sistema è a rischio
Guardando indietro, il Ffo ha vissuto fasi di forti tagli negli anni della grande recessione, come quelli attuati dal governo Berlusconi IV. Solo a partire dal 2016 si è assistito a un lento recupero. Il recente decreto ha invertito questa tendenza positiva, riportando le risorse a livelli del tutto insufficienti e mettendo a rischio la sostenibilità del sistema universitario.
Anche negli ultimi anni, caratterizzati da una relativa prosperità, le “vacche grasse” non hanno certo pascolato nelle università italiane. Infatti, la dotazione del Ffo (quota storica, costi standard, premialità, perequazione, interventi mirati) nel 2024, in termini reali, risulta inferiore di circa un quarto rispetto a quella del 2008.
Le preoccupazioni dei rettori, dunque, non sono infondate: gli atenei italiani continuano a soffrire di una cronica carenza di fondi rispetto alle università degli altri paesi avanzati. Secondo il rapporto "Education at a Glance 2024" dell'Ocse, l'Italia destina appena l'1 per cento del Pil alla formazione terziaria, contro una media dell'1,5 per cento, posizionandosi al terzultimo posto tra i 38 paesi più sviluppati.
Questo gap di finanziamento si riflette nella dotazione di personale accademico, che in Italia conta 1,8 unità ogni 1.000 abitanti, rispetto ai 3,3 della media europea e ai 5,8 della Germania. Il rapporto tra personale accademico e studenti è perciò del tutto insoddisfacente: di 1 a 20, mentre in Germania è di 1 a 11 e nella media Ocse di 1 a 16. E ciò non è sicuramente dovuto all’elevato numero di studenti, dato che solamente il 30,6 per cento dei giovani italiani tra i 25 e i 34 anni possiede una laurea, contro il 43,1 per cento della media Ue. Si tratta del terzo valore più basso in Europa.
I fatti oltre gli annunci
La situazione è aggravata dall'invecchiamento dei docenti: oltre il 56 per cento di quelli italiani ha più di 50 anni, contro il 29,5 per cento in Germania e il 38,3 per cento della media europea. Il rallentamento del ricambio generazionale restringe ulteriormente le opportunità dei giovani ricercatori, che rimangono spesso in condizioni di precarietà.
Nonostante l’apparente incremento dei fondi, quindi, le università italiane restano decisamente sottofinanziate e le nuove politiche rischiano di perpetuare un modello di arretramento. Questo quadro preoccupante viene denunciato in un documento firmato da numerose associazioni scientifiche italiane, recentemente pubblicato sulla piattaforma scienzeinrete.it.
Se l’Italia vuole perseguire una via alta allo sviluppo è necessario invece un impegno concreto per allineare il sistema universitario agli standard degli altri paesi avanzati. È in questo contesto che va valutato il Giano bifronte della politica italiana: il contrasto tra una scelta conservatrice, che guarda al passato, e una progressista, orientata al futuro.
Le politiche del governo a difesa delle corporazioni, delle rendite e dell'evasione fiscale, sono destinate a riprodurre il declino degli ultimi trent’anni. Le forze di opposizione dovrebbero invece pensare al rilancio e alle nuove generazioni, ispirandosi al messaggio di Kamala Harris alla convention democratica: «Non torneremo indietro, stiamo tracciando una nuova strada da seguire!»
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