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La premier ha diviso per quote i posti: 20 a FdI, 8 a Forza Italia, 10 alla Lega e forse 2 ai
Moderati. Chi rimarrà fuori, spera di rientrare in gioco per le presidenze delle commissioni. -
Nella strategia di Meloni il tempo è l’elemento chiave. La data finale per i ripensamenti a lunedì 31 ottobre, data del consiglio dei ministri in cui verranno nominati.
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Per Meloni, tuttavia, rischia di affacciarsi un problema imprevisto. Il gruppo di noi Moderati è in fermento e si sono già formate quattro fazioni, una per ogni simbolo contenuto nel logo, per litigarsi i due possibili posti di sottogoverno.
La strategia di Giorgia Meloni è sempre la stessa e non a caso è stata tra i primi ministri più veloci a formare il governo: il tempo è l’elemento chiave. Anche con le nomine di sottosegretari e viceministri, Meloni ha fissato la data finale per i ripensamenti a lunedì 31 ottobre, data del consiglio dei ministri in cui verranno nominati. In questo modo, la presidente del consiglio punta a limitare le polemiche interne non al suo partito, ma a quelli della coalizione.
Lei ha diviso in quote i posti da assegnare. Su 40, uno è già stato affidato ad Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio a cui dovrebbe andare la delega all’intelligence. I restanti 39 sono per 30 sottosegretari e 9 viceministri e vanno per il 50 per cento a Fratelli d’Italia e i restanti alle altre forze, la Lega con 10 posti, Forza Italia 8 e noi Moderati 2. Il tentativo, poi, è di cercare di muoversi in modo ordinato perchè ogni sottosegretario abbia un pacchetto di deleghe chiaro e compatibile con il suo profilo e l’incarico non sia solo un conguaglio politico interno alla maggioranza per riassestare gli equilibri. FdI, per ora, sta tenendo ferme le caselle di Giovanbattista Fazzolari con la delega all'Attuazione del programma di governo; Maurizio Leo come viceministro con delega alle finanze al ministero dell’Economia; Edmondo Cirielli vice agli Esteri e Andrea Delmastro come sottosegretario alla Giustizia.
Tra i parlamentari, chi rimarrà fuori potrà sperare in un ripescaggio ai vertici delle commissioni parlamentari. Qui il pallottoliere di Meloni ha fissato per il Senato 5 presidenze a FdI, 3 alla Lega e 2 a Forza Italia. A Montecitorio, dove le commissioni sono 14, 7 andranno a FdI, 4 alla Lega e 3 a FI.
Lega
Nel partito di Matteo Salvini, il problema principale sono i rapporti territoriali. Veneto e Friuli Venezia Giulia, guidati da Luca Zaia e Massimiliano Fedriga e culla dell’opposizione al segretario, contano un solo ministro. Tuttaiva, Salvini non sarebbe intenzionato a piegarsi a questa logica territoriale e preferisce affidarsi a uomini di sicura fiducia. Per questo, nella sua lista di nomi ci sono il lombardo Nicola Molteni come viceministro all'Interno, il ligure Edoardo Rixi come suo viceministro alle Infrastrutture e il romano Federico Freni come sottosegretario all'Economia nel ministero guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti. Infine, Claudio Durigon sottosegretario al Lavoro, Lucia Borgonzoni alla Cultura ed è ancora in corso un testa a testa tra Andrea Ostellari e Jacopo Morrone per il sottosegretariato alla Giustizia. Queste le certezze, per gli altri quattro posti oscillano da giorni i nomi di Giuseppina Castiello, Vannia Gava e Rossano Sasso.
Forza Italia
Molto più complicata invece è la partita dentro Forza Italia. Il partito è ormai diviso in due tra fedeli alla capogruppo al Senato, Licia Ronzulli e i “governisti” del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. L’ultima scelta spetta al leader, Silvio Berlusconi, che punta a ripescare anche alcuni nomi rimasti fuori dalla compagine parlamentare ma di stretta fiducia.
La sua scommessa è di riuscire a tenere insieme il partito, ma per farlo ogni nomina va soppesata in modo tale da riequilibrare i rapporti tra i due contendenti. Inoltre, su alcuni nomi di FI graverebbero le perplessità di Meloni, che andranno aggirate o comunque gestite. Per ora, le poche certezze riguardano i viceministri Francesco Paolo Sisto alla Giustizia, di area ronzulliana, e Paolo Barelli all’Interno, di area governista.
La speranza è che ne scatti un terzo, con Valentino Valentini al Mise. I cinque posti rimanenti sono contesi da Maurizio Carasco al Mef, Andrea Mandelli alla Salute e l’ex deputato e molto vicino a Marta Fascina, Matteo Perego, alla Difesa. La competizione, però, è forte con nomi storici come quello di Deborah Bergamini, Matilde Siracusano e Francesco Battistoni. Un altro dei problemi da gestire, però, è l’insofferenza dei deputati meridionali, schiacciati nello scontro interno e che si sono sentiti tagliati fuori dalle nomine e che reclamano posti di sottogoverno in compensazione. Il rischio, altrimenti, è di una fuga dal partito.
Problemi per i Moderati
Per Meloni, tuttavia, rischia di affacciarsi un problema imprevisto. Il gruppo di noi Moderati, che si è formato come gruppo autonomo in parlamento grazie agli apporti di FdI e dovrebbe essere il “cuscinetto” in caso di implosione di FI per accogliere i fuoriusciti, è in fermento. Pur avendo raccolto un magro 0,9 per cento alle elezioni, l’operazione di contenimento al centro doveva fruttare un posto da ministro al suo leader politico, Maurizio Lupi, che però è rimasto deluso.
Per questo, ora i moderati reclamano due posti da sottosegretario e, nell’attesa di sapere se Meloni li concederà, si sono già formate quattro fazioni, una per ogni simbolo contenuto nel logo di noi Moderati. Noi con l’Italia di Maurizio Lupi spinge per un posto per Renzo Tondo; Italia al centro avrebbe indicato Giorgio Silli; l’Udc avanza la candidatura di Antonio Saccone e Coraggio Italia chiede un posto per Michaela Biancofiore.
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