«Ogni atto rivolto contro la libera informazione» è «un atto eversivo rivolto contro la Repubblica». La frase è fortissima, il presidente della Repubblica la pronuncia alla cerimonia della dono del Ventaglio da parte della Stampa parlamentare.

Di rituale, quest’anno, non c’è nulla. Sergio Mattarella come sempre enuncia principi generali, stavolta su almeno tre temi – informazione, carcere e Consulta – che però suonano come l’esatto opposto delle scelte del governo. Fra i ragionamenti densi arriva anche una nota ironica su una legge leghista per multare il linguaggio di genere. Progetto già ritirato.

Il presidente sta parlando delle preoccupanti «violenze verbali» che diventano «fisiche», cita gli spari a Trump, al premier slovacco Fico, al marito di Nancy Pelosi, all’ex sindaca di Berlino Giffey. Alla parola «sindaca» alza gli occhi dagli appunti e chiosa: «Spero che si possa ancora dire». Una risata della platea seppellisce le fantasie indietriste della Lega.

La stampa senza sconti

Ma è sulla libera stampa che usa le parole più severe. Il presidente risponde alle domande che, a nome dei i cronisti di palazzo gli rivolge il presidente della Stampa parlamentare Adalberto Signore. Nell’interrogativo vengono citate due vicende: il pestaggio di Andrea Joly, cronista della Stampa, sabato scorso a Torino mentre documentava una “festa” di CasaPound, e gli attacchi della destra alla testata Fanpage, che in due inchieste ha svelato un andazzo antisemita, razzista, filofascista e filonazista nelle occasioni a porte chiuse della giovanile di FdI, il partito della presidente del consiglio.

Il giorno prima, martedì, all’analoga cerimonia al Senato, il presidente Ignazio La Russa aveva espresso la sua solidarietà a Joly, ma con qualche se e qualche ma: chiedendosi perché «non si è mai dichiarato come giornalista», che poi è l’obiezione che la destra aveva già mosso all’inchiesta undercover di Fanpage. Contro la quale la presidente Meloni si era spinta anche oltre, definendo l’undercover «infiltrazione» e «metodo da regime», fino a rivolgersi direttamente a Mattarella per chiedere un intervento.

L’intervento è arrivato. Il massimo garante della Costituzione la pensa all’opposto di Meloni e La Russa. Chi attacca la libera stampa fa un atto «eversivo contro la Repubblica», ce l’ha con chi mena fisicamente, ma non solo, «si vanno infittendo (...) contestazioni, intimidazioni, se non aggressioni, nei confronti di giornalisti, che si trovano a documentare fatti. Ma l’informazione è esattamente questo. Documentazione dell’esistente, senza obbligo di sconti. Luce gettata su fatti sin lì trascurati». E direttamente alla politica: le «critiche (...) sono essenziali nella vita democratica».

È lungo l’elenco dei giornalisti querelati da membri della maggioranza e del governo, su su fino a palazzo Chigi, tre colleghi del nostro giornale sono finiti persino sotto inchiesta. Mattarella resta sui principi generali, ma è chiaro quello che sta dicendo del potere che aggredisce l’informazione, del resto è quello che è scolpito nell’art.21 della Carta.

Le carceri rimosse

Altrettanto chiaro quello che dice sulle carceri. Legge la lettera di un detenuto di Brescia, giratagli dal garante di quel territorio, che descrive condizioni di vita «indecorose per un paese civile, qual è – e deve essere – l’Italia. Il carcere non può essere il luogo in cui si perde ogni speranza. Non va trasformato, in questo modo, in palestra criminale». Quest’anno, ricorda, «decine di suicidi in poco più dei sei mesi», siamo già oltre il livello dell’anno scorso in questo stesso periodo, le attività di recupero attraverso il lavoro «dimostrano che, in molti casi, è possibile un diverso modello carcerario. È un dovere perseguirlo. Subito, ovunque».

Invece, nel frattempo, in commissione Giustizia del Senato è stato appena licenziato un «decreto carceri» che secondo le opposizioni – che hanno abbandonato i lavori per protesta – non affronta la drammatica emergenza, i suicidi quotidiani, il sovraffollamento, né la situazione dei bambini in carcere.

Il vulnus della Consulta

Il presidente è severo anche sull’abnorme attesa della nomina del 15esimo giudice costituzionale, nove mesi, dovuta a uno stallo interno alla maggioranza. È «un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento», dice Mattarella, che porge un «invito, con garbo ma con determinazione, a eleggere subito questo giudice», non si tratta di una scelta spartitoria ma «di una singola persona meritevole per cultura giuridica, esperienza, stima e prestigio di assumere quell’ufficio così rilevante».

Viene chiesta una «valutazione» anche sul non voto del primo partito di maggioranza alla presidente della Commissione europea, «per la prima volta nella storia italiana», dice Signore, «una scelta che, per le opposizioni rischia di isolare il nostro paese». Qui Mattarella la tocca piano, forse per rispetto alla scelta di von der Leyen delle deleghe per l’Italia. Quanto alle scelte nostre, il criterio deve essere «il rispetto del nostro interesse nazionale e dei principi della Costituzione. Vale sia per l’Italia, sia per l’Ue». Sul premierato rimanda a quanto già detto alle Settimane sociali, a Trieste: dove aveva parlato del «ruolo insopprimibile delle assemblee elettive» e dei «limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze».

Infine la guerra in Ucraina. Mattarella ammette «grande tristezza» nel «vedere che il mondo getta in armamenti immani risorse finanziarie, che andrebbero, ben più opportunamente, destinate a fini di valore sociale». Ma avverte: «Chi ne ha la responsabilità? Chi difende la propria libertà – e chi l’aiuta a difenderla – o chi aggredisce la libertà altrui?». Ricorda come iniziò la Seconda guerra mondiale: Hitler pretendeva di annettere al Reich i Sudeti cecoslovacchi, la Cecoslovacchia «ovviamente rifiutava», le grandi potenze europee «anziché difendere il diritto internazionale» «diedero a Hitler via libera».

«Dopo neppure sei mesi occupò l’intera Cecoslovacchia» e «dopo altri sei mesi provò con la Polonia, previo accordo con Stalin. Ma, a quel punto, scoppiò la tragedia dei tanti anni della Seconda guerra mondiale. Che, verosimilmente, non sarebbe scoppiata senza quel cedimento per i Sudeti». «Historia magistra vitae», conclude Mattarella, come dire: assecondare le mire espansionistiche di Putin non è un buon investimento per la pace.

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