- La perizia del consulente tecnico della procura di Bergamo, Andrea Crisanti, potrebbe dare una svolta decisiva a questa voluminosa inchiesta, la cui fase istruttoria sta volgendo al termine.
- C’è molta tensione intorno a questa indagine sull’ecatombe della Val Seriana con l’ipotesi di reato di epidemia colposa e falso, che rischia di travolgere il ministero della Salute.
- Il primo problema, in questa fase dell’inchiesta, è se archiviare oppure no. Questo è il dilemma per la procura di Bergamo, che entro gennaio chiuderà la fase istruttoria.
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Immaginatevi un gigantesco puzzle fatto di documenti, alcuni noti e altri no, messi tutti in fila uno dietro l’altro, in successione temporale, a partire da gennaio 2020. Un puzzle, che inchioderebbe Governo, Ministero della Salute, Cts e Regione Lombardia alle proprie responsabilità sulla gestione della prima ondata Covid.
Un mosaico corredato da modelli matematici, errori scientifici, sottovalutazioni del rischio, azioni mancate (previste dal Piano pandemico influenzale) e relazioni causa-effetto dalle conseguenze nefaste.
La perizia del consulente tecnico della procura di Bergamo, Andrea Crisanti, potrebbe dare una svolta decisiva a questa voluminosa inchiesta, la cui fase istruttoria sta volgendo al termine.
C’è molta tensioni intorno a questa indagine sull’ecatombe della Val Seriana con l’ipotesi di reato di epidemia colposa e falso, che rischia di travolgere il ministero della Salute, sebbene le valutazioni in corso riguardino “l’apparato tecnico della nostra sanità, non quello politico” ha fatto sapere il procuratore capo, Antonio Chiappani.
Dopo le dichiarazioni a Domani («Speranza non ha raccontato cose veritiere»), Chiappani ne ha rilasciate altre che - nel precisare che «per Speranza, allo stato attuale, non è ipotizzabile alcuna specifica contestazione» – hanno confermato la presenza di «molte incongruenze nelle parole di tante persone sentite», su cui «ci sono valutazioni da fare», perché da parte delle autorità sanitarie «c’è stata una grande sottovalutazione del rischio” e “una gestione non programmata della crisi».
Il capo di imputazione
Il primo problema, in questa fase dell’inchiesta, è un altro. Archiviare oppure no? Questo è il dilemma per la procura di Bergamo, che entro gennaio chiuderà la fase istruttoria. L’ipotesi di una richiesta di archiviazione ruota intorno alla configurabilità del reato di epidemia colposa per condotte omissive.
Ma la procura sta valutando l’ipotesi di un cambio di imputazione. «Stanno arrivando archiviazioni da tutti i tribunali d’Italia. La giurisprudenza al momento non riconosce il reato di epidemia colposa omissiva», ha dichiarato Chiappani al Corriere della Sera.
Tuttavia, «questa non è l’unica interpretazione possibile», spiega Stefano Zirulia, docente di Diritto Penale all’Università degli Studi di Milano. «Il codice penale prevede una clausola di equivalenza (articolo 40, comma 2), in base alla quale ‘non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo’». La Cassazione, però, ha affermato che questa clausola non è applicabile al delitto di epidemia, essendo configurato come illecito a forma commissiva vincolata, nel senso che il codice fa espresso riferimento solo a chi cagiona l’evento «mediante la diffusione di germi patogeni».
«Questo orientamento, però, non mi convince fino in fondo», afferma Zirulia. Esistono altre sentenze della Cassazione che applicano la clausola di equivalenza a reati a forma vincolata, come il reato di frode in pubbliche forniture: «La condotta commissiva è in un certo senso sostituita dall’obbligo giuridico di impedire l’evento lesivo, in questo caso l’epidemia, quindi il principio di legalità è salvo».
Poi, spiega sempre Zirulia, bisogna stabilire se l’espressione ‘mediante la diffusione di germi patogeni’ descrive davvero una modalità della condotta, oppure soltanto una modalità dell’evento e dunque il reato può considerarsi a forma libera.
«A me pare che quest’ultima opzione sia preferibile, perché ciò che caratterizza i fenomeni epidemici, dal punto di vista naturalistico, è proprio l’incontrollata propagazione dei germi, a prescindere da come si manifesta la condotta che cagiona la propagazione».
La questione, dunque, è controversa: la procura di Milano ha chiesto l’archiviazione dell’indagine sui decessi Covid al Pio Albergo Trivulzio, una residenza per anziani, e lo fa per mancanza di prove sul nesso causale. Ma sostenendo invece che il reato di epidemia colposa potrebbe configurarsi anche per condotte omissive. E l’inchiesta di Bergamo di condotte omissive ne ha documentate molte.
«Sto aspettando la perizia di Crisanti per acquisire gli elementi di valutazione - ha dichiarato Chiappani - noi non facciamo le cose per rimangiarcele, o si fa o si chiude».
Crisanti su Alzano e val Seriana
L’epidemia in pandemia era evitabile? Il focolaio all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano si sarebbe sviluppato ugualmente, anche applicando tutte le misure previste dai protocolli sanitari e dal piano pandemico nazionale e regionale?
Ci sarebbero stati 6 mila morti in due mesi se si fosse creata tempestivamente (tra il 23 febbraio e l’inizio di marzo) una zona rossa in Val Seriana? Governo e regione avevano i dati per chiudere la zona già a febbraio 2020?
Sono queste le domande a cui dovrà rispondere Crisanti, stabilendo l’eventuale nesso causale tra la mancata attuazione del piano pandemico, la mancata zona rossa e l’incremento di mortalità più alto al mondo (+570 per cento), registrato proprio nella bergamasca durante la prima ondata Covid.
«Un dato epidemiologico di tale portata potrebbe certamente integrare l'evento 'epidemia', nonostante sia stato registrato in un più ampio contesto pandemico - sottolinea il professor Zirulia - se lo studio epidemiologico fosse in grado di fornire non solo il dato sull'aumento del rischio di ammalarsi, ma anche quello sul numero di vittime attribuibile alle omissioni, si potrebbe ipotizzare l'omicidio colposo, così superando il problema della configurabilità dell'epidemia in forma omissiva».
L’ostacolo per la procura di Bergamo, però, è dimostrare la colpa, cioè la prevedibilità degli eventi lesivi, cosa difficile, riconosce Zirulia, “considerato che parliamo di fatti relativi alla prima ondata, quando ancora si conosceva poco, rispetto ad oggi, di questa infezione e della sua micidiale capacità di propagazione”.
Cosa sapevano
Oggi sappiamo che il 23 febbraio 2020 all’ospedale di Alzano, a fronte di soli due casi Covid diagnosticati, c’erano già 80 persone infette, tra cui 40 operatori sanitari (il 10 per cento del totale) e una quarantina di pazienti.
E’ questa la prima istantanea scattata dalla perizia tecnica di Crisanti, che verrà depositata entro fine anno. «Questo lo definirei alla stregua di un disastro - ha commentato Crisanti a Presa Diretta (Rai3) - per tale motivo abbiamo utilizzato le stesse tecnologie che si usano per stabilire le cause dei disastri».
Il metodo si chiama Fault Tree Analysis (analisi dell’albero dei guasti), usato dagli Stati Uniti fin dal 1963 per calcolare gli errori nei lanci dei missili balistici: si analizzano le variabili che possono mandare in crisi un sistema, mettendole in relazione l'una sull'altra per distinguere quelle necessarie e sufficienti, da quelle necessarie, ma non sufficienti. «In questo modo è possibile stabilire una gerarchia di cause e capire la fragilità del sistema», spiega Crisanti.
Grazie a questa perizia, la Procura di Bergamo sta riscrivendo la storia del focolaio bergamasco con informazioni a cui mai nessuno prima ha avuto accesso, come i dati granulari di ogni singolo paziente che si è infettato, che è entrato in ospedale e che è deceduto, insieme alla data di inizio sintomi e a molte altre informazioni, che permetteranno di ricostruire la curva di diffusione del virus nell’area d’Italia più martoriata dal Covid.
La perizia individua fine gennaio 2020 il momento in cui il virus è entrato nell’ospedale di Alzano. «La prima settimana di febbraio c'erano già persone infette - spiega Crisanti - il 23 febbraio tutti quanti riconoscono che ci sono pazienti col covid ricoverati già da diversi giorni, tant’è vero che a un certo punto la dinamica di trasmissione all'interno dell'ospedale prende un andamento indipendente da quello del territorio».
Il fallimento Lombardia
C’è un'altra conclusione della perizia: la sorveglianza epidemiologica in Lombardia non ha funzionato. «E’ mancata una indicazione per capire quello che stava succedendo in ospedale – spiega Crisanti - visto che abbiamo due positivi ricoverati da giorni e abbiamo tanti pazienti con il casco cpap (erano 6 all’epoca, ndr), sono anche questi infetti? Erano queste le domande da porsi per scoprire che c'erano decine di pazienti già col Covid all'interno dell’ospedale».
Invece la discussione dei dirigenti della Asst Bergamo est (l’azienda sanitaria a cui fa capo l’ospedale di Alzano, che vede indagati per epidemia colposa e falso il direttore generale e quello sanitario) ha ruotato per giorni sulla chiusura-riapertura del pronto soccorso, mentre i reparti di medicina erano tutti infetti.
«La Lombardia non aveva i tamponi - dice Crisanti – ma la diagnosi Covid si può fare anche con la Tac, in combinazione con il quadro clinico e la situazione epidemiologica, avrebbe fornito un elemento importantissimo per fare una diagnosi presuntiva». L’ospedale di Alzano aveva una Tac funzionante, ma nessuno ha pensato di usarla.
Il ruolo degli asintomatici è stato ignorato per settimane da Cts, governo e regione, nonostante il 27 febbraio 2020, dallo studio di Vo’ Euganeo (pubblicato poi sulla rivista Nature) fosse già noto che oltre il 40 per cento della popolazione del comune veneto fosse positiva e asintomatica, a fronte di un solo caso covid sintomatico accertato.
«Era possibile all'epoca dei fatti stabilire la dimensione di questo contagio all'interno dell’ospedale di Alzano?», si chiede Crisanti. Se la riposta è sì, la Procura di Bergamo dovrà fare delle valutazioni.
«Il virus si è diffuso non notato attraverso la popolazione - continua Crisanti - se all'epoca dei fatti fosse emerso che c'era un numero così elevato di pazienti infetti sicuramente le autorità regionali e il ministero avrebbero avuto dei dati a disposizione per poter prendere delle decisioni più drastiche». Decisioni che non sono state prese. La sorveglianza epidemiologica non ha funzionato.
Il 23 febbraio il contagio ad Alzano era ormai fuori controllo, bastava fare le Tac per capirlo e far scattare immediatamente la zona rossa e invece il 24 febbraio, quando ormai l’epidemia aveva preso il largo, la politica ancora rassicurava: «Sono moderatamente fiducioso che le cose possano andare verso un miglioramento graduale, ma credo che veramente ci siano tutte le condizioni per poter rassicurare i nostri cittadini», diceva il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, all’indomani della scoperta dei primi casi Covid ad Alzano.
La perizia tecnica stabilirà anche quale sarebbe stata la diffusione dell'epidemia e quindi la mortalità se la zona rossa fosse stata applicata una settimana prima o dieci giorni prima rispetto alla zona arancione creata l’8 marzo.
Ad oggi sono sei gli indagati con l’ipotesi di reato di epidemia colposa e falso, cinque di loro sono dirigenti sanitari di Regione Lombardia.
Intanto a Roma
L’inchiesta di Bergamo riguarda anche le autorità sanitarie nazionali e la domanda è sempre la stessa: era possibile mitigare la pandemia nei mesi cruciali di gennaio e febbraio 2020?
Tra il 22 e il 27 gennaio 2020, il ministero della Salute guidato da Roberto Speranza emana due circolari che «restringono il campo di indagine per l’individuazione di nuovi positivi al Covid19 in ambito ospedaliero-assistenziale», come ammette Francesco Maraglino, direttore dell’Ufficio 5 della direzione generale della prevenzione presso il ministero della Salute, in una e-mail inviata il 15 aprile 2020 all’allora viceministro Pierpaolo Sileri.
La circolare del 27 gennaio raccomanda di fare i tamponi solo su pazienti che siano stati «in Cina nei 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi», mentre cinque giorni prima l’indicazione era quella di fare la diagnosi su casi sospetti anche «senza tener conto del luogo di residenza o della storia di viaggio».
Perché viene presa questa decisione? Claudio D’Amario, direttore generale della prevenzione durante la prima ondata Covid, in un’intervista a Presa Diretta ha spiegato: «Abbiamo convocato le regioni in un tavolo di confronto il 24-25 gennaio, dicendo questa è la situazione, fateci sapere se siete preparati. Una riunione formalizzata con degli incontri, delle email e dei verbali».
Peccato che di quella cruciale riunione, presieduta da D’Amario e dal ministro Speranza, non esistano verbali, come ha confermato l’attuale direttore della Prevenzione, Giovanni Rezza, dopo una richiesta di accesso agli atti.
Secondo D’Amario, «ci fu una richiesta specifica delle regioni che dicevano: ma noi non possiamo fare tamponi a tutto il mondo, perché qui non abbiamo neanche le risorse e ci fu questa nuova circolare che fu richiesta e che noi emettemmo come ministero».
Le regioni, quindi, non avevano le risorse per fare i tamponi e la circolare del 27 gennaio 2020 ha dato loro un appiglio per limitare il numero dei test. E così il virus ha circolato indisturbato per settimane, soprattutto nel nord Italia, fino ad esplodere incontrollato.
Per questo il procuratore capo di Bergamo parla di «una grande sottovalutazione del rischio».
Senza radar
Nella prima fase Covid la sorveglianza epidemiologica è stata completamente bucata, il che è stato come non attivare il radar dopo l’annuncio di un imminente attacco aereo. Questo annuncio lo aveva diramato al mondo l’Oms il 5 gennaio 2020, comunicando le prime polmoniti da eziologia sconosciuta in Cina.
Secondo gli inquirenti quel giorno sarebbe dovuta scattare la fase 3.1 prevista dal nostro piano pandemico influenzale, come raccomandato dall’Oms il 5 gennaio e ribadito poi il 4 febbraio 2020: applicate i piani pandemici influenzali, anche se non aggiornati, si legge in un documento ufficiale proveniente da Ginevra.
Indicazioni precise, che si intrecciano con piani operativi e azioni chiave di sorveglianza epidemiologica previste dal piano pandemico influenzale del 2006.
Intanto, accanto all’azione penale, c’è quella civile: «Anche noi stiamo aspettando la consulenza di Crisanti - fa sapere la responsabile del team legale che assiste i parenti delle vittime Covid, l’avvocata Consuelo Locati - perché potrebbe essere utilizzata come elemento di prova per dare fondamento alle domande rivolte al Tribunale Civile di Roma dai quasi 600 famigliari che hanno agito in giudizio contro la presidenza del Consiglio, il ministero della Salute e Regione Lombardia, chiedendo un risarcimento danni da 100 milioni di euro. Non è detto che una eventuale archiviazione del procedimento penale comporti l’infondatezza di quello civile, al contrario potrebbe riconoscersi la sua fondatezza in termini di responsabilità istituzionale per violazione di leggi o per omissioni».
In questa storia ci sono responsabilità politiche e scientifiche, che non sono di competenza della giustizia penale.
«Si tratta semplicemente di dare agli italiani una risposta su quanto accaduto», fa sapere Andrea Crisanti. Una posizione, la sua, condivisa anche dalla Procura di Bergamo.
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