Gli agenti indagati per la spedizione punitiva sono ancora al loro posto. Uno si è aggiudicato un nuovo incarico. Il ministro Bonafede tace. «A memoria non ricordo se ho avviato un’indagine ispettiva, non mi ricordo proprio» dice l’ex capo del dipartimento Francesco Basentini
«A memoria non ricordo se ho avviato un’indagine ispettiva sui fatti di Santa Maria Capua Vetere, non mi ricordo proprio, di solito per fatti analoghi l’ho sempre fatto», dice Francesco Basentini, ex capo del Dap.
Il 6 aprile, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, un contingente di trecento uomini entra in carcere. I detenuti vengono picchiati sia dentro le celle che fuori, nei corridoi, lungo le scale fino all’area destinata all’ora d’aria.
In attesa degli esiti dell’indagine giudiziaria, chi resta al suo posto, chi si aggiudica incarichi. E i detenuti sono ancora insieme agli agenti che quel giorno hanno assistito, nella migliore delle ipotesi, o partecipato al brutale pestaggio
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Un contingente di 300 agenti della polizia penitenziaria, lo scorso 6 aprile, è entrato nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, padiglione Nilo, e ha trasformato una perquisizione in un pestaggio, generalizzato, dei detenuti. Ci sono i video e le testimonianze, come abbiamo rivelato nei giorni scorsi, che provano gli abusi. Cosa ha fatto il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nei confronti dei responsabili di quella spedizione punitiva? Quali provvedimenti ha assunto nei confronti della catena di comando che ha ordinato quella perquisizione straordinaria?
Abbiamo chiesto spiegazioni a Francesco Basentini, allora capo del dipartimento e oggi magistrato alla procura di Roma. «A memoria non ricordo se ho avviato un’indagine ispettiva sui fatti di Santa Maria Capua Vetere, non mi ricordo proprio, di solito per fatti analoghi l’ho sempre fatto», dice Basentini. Il magistrato spiega che quando c’è un’indagine penale, per avviare una verifica interna il dipartimento chiede l’autorizzazione alla procura competente. L’ispezione inizia, quindi, dopo il via libera dell’autorità giudiziaria. A Santa Maria Capua Vetere è iniziata questa verifica ispettiva? «Non lo ricordo», ribadisce Basentini che però cita altre vicende analoghe, nelle quali è intervenuto. L’ex capo del Dap ricorda il caso di San Gimignano quando ha fatto scattare le sanzioni disciplinari, e un episodio a Torino. «Ricordo molto più chiaramente quel caso, ci fu denuncia del garante locale, e a seguito del nulla osta concesso dall’autorità giudiziaria fu nominata la commissione ispettiva».
Torniamo al caso del carcere Francesco Uccella di Santa Maria. Dopo il 6 aprile tanti si mobilitano. Si muove il garante dei detenuti regionale, Samuele Ciambriello, quello nazionale Mauro Palma, la camera penale e l’associazione Antigone. Quest’ultima invia il 16 aprile un’email al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nella quale allega l’esposto riguardante i fatti di Santa Maria Capua Vetere. Il destinatario è il capo del dipartimento.
Le prove
All’interno dell’esposto ci sono le segnalazioni raccolte anche dal garante provinciale di Napoli, Pietro Ioia. Un esposto che viene corredato da foto, audio che denunciano pestaggi e violenze. «La ricostruzione che verrà riportata nel presente esposto è stata realizzata sulla base delle segnalazioni pervenute via email o via Facebook, delle telefonate effettuate con familiari dei detenuti e con avvocati, delle immagini e degli audio ricevuti», inizia così la denuncia di Antigone.
Viene ricostruita la protesta dei detenuti per la diffusione della notizia di un contagiato, l’arrivo del magistrato di sorveglianza e poi l’ingresso degli agenti «suddivisi in gruppi di sette agenti, in tenuta “antisommossa” con il volto coperto da caschi e i guanti alle mani» che «hanno posto in essere una seria e grave azione di violenza contro molti detenuti. Secondo la ricostruzione, alcuni agenti sarebbero entrati nelle celle e, cogliendo i detenuti di sorpresa, li avrebbero violentemente insultati e picchiati con schiaffi, pugni, calci e a colpi di manganello».
L’esposto, firmato dal presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, elenca gli orrori commessi e le conseguenze riportate dai detenuti: costole rotte, denti spaccati, traumi cranici, detenuti che non riuscivano ad alzarsi, altri che urinavano sangue. Pestaggi che oggi trovano conferma nelle decine di frammenti video che sono agli atti del fascicolo giudiziario e che, grazie a una testimonianza raccolta, abbiamo ricostruito. Una galleria degli orrori con pochi precedenti nella storia penitenziaria di questo paese. «Ricordo l’esposto di Antigone sui fatti di Opera, poi probabilmente ne fece uno su Santa Maria, ma probabilmente non presi subito visione anche perché a inizio maggio sono andato via. Non riesco a ricordare», conclude Basentini. L’ex capo del Dap, dimissionario dopo le polemiche seguite alla scarcerazione del boss Pasquale Zagaria finito ai domiciliari, risponde alle domande, ma ribadisce di non ricordare se ha avviato o no un’indagine ispettiva. «Dovrebbe chiedere al nuovo Dap, visto che io ho lasciato a inizio maggio».
La carriera continua
A quanto abbiamo appreso è tutto fermo, si è in attesa dell’esito dell’inchiesta giudiziaria. L’ultimo atto dei magistrati è la notifica del decreto di perquisizione, lo scorso 11 giugno, quando i carabinieri hanno sequestrato i cellulari degli agenti indagati.
Un fatto è certo, il personale, coinvolto nell’indagine, resta al suo posto.
In realtà qualcosa ai protagonisti di quella giornata nera per lo stato italiano è accaduto. Il comandante della polizia penitenziaria, Gaetano Manganelli, indagato nell’inchiesta della procura di Santa Maria, è stato trasferito al carcere di Secondigliano: è stato spostato per ragioni non di opportunità, ma di carriera. Infatti circa due anni fa Manganelli aveva risposto a un interpello, un concorso interno, per ricoprire un incarico direttivo nel carcere di Secondigliano. All’esito della procedura di mobilità, Manganelli era risultato secondo. Il tribunale amministrativo ha accolto, lo scorso giugno, il suo ricorso e ha dato il via libera al trasferimento. Oggi è comandante di reparto. «Io non posso parlarle, non sono autorizzato, sono sereno e ho fiducia nella magistratura», dice Manganelli. Ma perché quel giorno i detenuti furono pestati? «Non posso parlare, c’è un’indagine in corso, parli con il provveditorato».
Il provveditore regionale è Antonio Fullone, non presente il 6 aprile ma indagato per aver disposto quella perquisizione insieme con i vertici dell’istituto, e inviato gli uomini che poi sono stati protagonisti del pestaggio. Furono proprio gli agenti esterni all’istituto a picchiare i detenuti mentre gli “interni” guardavano. Anche Fullone ha detto di non poter parlare. Analoga la posizione del ministro, Alfonso Bonafede, che aspetta l’esito dell’inchiesta, coperta da segreto. Tutti in silenzio mentre tra gli indagati c’è chi resta al suo posto e chi si aggiudica incarichi. I detenuti sono sempre lì, insieme agli agenti che quel giorno guardarono o parteciparono al brutale pestaggio.
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