Giorgetti si dice «serenissimo», ma Salvini non condivide la sua linea. Meloni sull’inchiesta che ha coinvolto il presidente della regione Liguria, Giovanni Toti: «Attendiamo le sue risposte»
Su un punto Giancarlo Giorgetti ha avuto indubitabilmente ragione: il Superbonus produce effetti radioattivi. Forse sui conti pubblici, come teorizza il ministro dell’Economia dal giorno del suo insediamento a via XX Settembre. Sicuramente sui rapporti nella maggioranza.
Sul decreto Agevolazioni fiscali in discussione al Senato, al di là di qualsiasi soluzione imposta con la fiducia prevista in aula e con il soccorso renziano di Italia viva, la destra è andata in mille pezzi, con tanti saluti alla coesione di facciata. Si sono viste scene e ascoltate affermazioni da manovra economica, momento sempre foriero di litigi.
Retroattività radioattiva
L’oggetto della contesa è stato proprio il Superbonus, con tutta la sua carica radioattiva. Sarà l’aria di campagna elettorale o saranno le tossine delle tensioni legate all’inchiesta in Liguria che ha coinvolto il presidente della regione, Giovanni Toti. Fatto sta che la maggioranza è finita oltre l’orlo della crisi di nervi. La commissione Finanze del Senato è diventata un ring. Forza Italia si è schierata da giorni per il “no” alla retroattività della norma che spalma le detrazioni fiscali su 10 anni. Alla fine ha dovuto soccombere di fronte alle strategie degli alleati: Fratelli d’Italia e Lega hanno beneficiato dell’aiuto di Italia viva con il voto a favore del governo della senatrice Dafne Musolino (eletta con Cateno De Luca e poi passata con Matteo Renzi).
Il mite Antonio Tajani ha tirato fuori gli artigli. «La retroattività è una scelta che va contro la nostra civiltà giuridica», ha insistito il ministro degli Esteri, puntualizzando di non aver sottoscritto l’emendamento, intestato al Mef e non all’intero governo. In pochi ricordano tanta veemenza nella sua ultradecennale carriera politica. Un piglio aggressivo che ha compattato intorno a sé tutto il partito, che ha presentato dei subemendamenti per cambiare i connotati al decreto e cancellare la retroattività. Un punto d’onore per gli eredi politici di Silvio Berlusconi.
Giorgetti, però, non ne ha mai voluto sapere: ha confermato il “no” a qualsiasi modifica del provvedimento. E infatti le riunioni serali e mattutine hanno prodotto solo l’ennesimo muro contro muro, facendo slittare le votazioni sul decreto. Con il ministro dell’Economia sempre più isolato. Il leader del suo partito, Matteo Salvini, avrebbe preferito un approccio più soft a poche settimane dalle elezioni. Si parla di soldi e di aziende, quindi sono voti da accarezzare. Si è infatti smarcato con un’alzata di spalle: «Non è un mio dossier e non porto via il lavoro ad altri». Poco male per Giorgetti, perché – come raccontano fonti parlamentari di maggioranza – «ormai ci sono due Leghe».
Una è quella governativa, una sorta di “partito del Mef”, dedito alla custodia dei conti pubblici, con Giorgetti capofila e il sottosegretario Federico Freni leale pretoriano del ministro. Pochi altri sono pronti a seguirli. C’è, poi, l’altra fazione più nutrita e rumorosa, vicina al leader Salvini, diventata a trazione vannacciana, che chiede un’allegra apertura dei cordoni della borsa. Dalle pensioni alle tasse. Non è un caso che l’agenda di Salvini conceda sempre più spazio al candidato di punta delle europee: il generale Roberto Vannacci. In mezzo al vortice di nervosismi, Giorgetti non ha perso il proverbiale aplomb in pubblico: «Sono serenissimo». Affermazione che per i più smaliziati osservatori ha evocato il renziano «Stai sereno» rivolto a Enrico Letta.
Fratelli di forzatura
Fratelli d’Italia, in questa rumba parlamentare, ha cercato il coup de théâtre, la forzatura massima, per provare ad aumentare il numero dei componenti della commissione Finanze a palazzo Madama. Il capogruppo di FdI al Senato, Lucio Malan, ha chiesto lo spostamento di Salvatore Sallemi, che avrebbe garantito i numeri alla maggioranza di fronte ai subemendamenti dei forzisti. Il blitz ha fatto infuriare le opposizioni e ha sorpreso addirittura il presidente Ignazio La Russa, che ha stoppato l’iniziativa. Non ha concesso la deroga chiesta dal suo partito. C’è un limite a tutto, insomma.
La radioattività del Superbonus si è fatta sentire su vari punti. Sono infatti stati ritirati gli emendamenti più caldi, come quello della Lega, svelato da Domani, che avrebbe concesso più margini di spesa e stipendi più alti ai manager della società pubblica Arexpo. Stessa sorte per l’altra proposta, avanzata da Forza Italia, che avrebbe colpito i poteri dell’Arera sulle tariffe per i rifiuti.
Almeno una soluzione è stata individuata: il rinvio di un anno della sugar tax che sarebbe entrata in vigore in forma dimezzata dal prossimo 1° luglio. Giorgia Meloni ha voluto mettere il cappello sull’operazione, facendo filtrare da palazzo Chigi il lavoro comune con il Mef per posticipare al 2025 la tassa sulle bevande zuccherate. Con un promemoria: «L’imposta è stata introdotta dal governo Conte, ma non è mai entrata in vigore dal 2020 a oggi». La presidente del Consiglio non voleva finire stritolata nel duello tra Lega e Forza Italia e ha così cercato di disinnescare le tensioni a ogni livello.
A cominciare da quelle sull’inchiesta di Genova, abbracciando la linea attendista: «Toti ha detto che avrebbe letto le carte e penso che sia il minimo indispensabile per un uomo che sta governando molto bene la sua regione». Quindi, per la premier bisogna «aspettare le risposte e valutare», anche se dalle parti di palazzo Chigi inizia a prendere forma la difesa del presidente, almeno fino alle elezioni, per evitare dimissioni a ridosso del voto.
Così ha rilanciato un tema unitario: «Nei prossimi giorni in Consiglio dei ministri arriverà la riforma della giustizia, che non funziona». All’insegna del troncare e sopire i nervosismi, Meloni ha allontanato l’ipotesi della sostituzione di alcuni ministri: «Non ho mai pensato di fare un rimpasto. Anzi, tra gli obiettivi che mi sono data, c’è quello di arrivare a cinque anni con il governo che ho nominato».
Fino a sfidare i fatti: «Non vedo fibrillazioni nella maggioranza». E mentre a Milano, intervistata da Maurizio Belpietro, Meloni ostentava sicurezza, a Roma esplodeva, nelle mani della maggioranza, il decreto Superbonus.
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