Il 29 ottobre il tunisino Brahim Aouissaoui ha ucciso tre persone nella cattedrale francese: era sbarcato a Lampedusa il mese prima. La destra ne approfitta per attaccare tutti i migranti e chiedere porti chiusi, ma per intercettare i pochi pericolosi e quelli che si radicalizzano serve cooperazione tra servizi segreti e procedure di espulsione più efficaci
- Un’analisi degli episodi di questi anni conferma che il terrorismo ha sfruttato i canali dell’immigrazione irregolare. Il fenomeno riguarda perlopiù singoli migranti, talvolta già radicalizzati. Cosa fare?
- Tra le varie misure, l’agenzia europea Frontex dovrebbe uniformare la schedatura degli immigrati per offrire ai paesi membri tutte le informazioni necessarie in tema di sicurezza.
- I centri di accoglienza in Europa dovrebbero essere oggetto di una maggiore attività di intelligence, così come le carceri. In Italia andrebbe fatta una riflessione sulle modalità di concessione della protezione umanitaria.
Il sanguinoso attentato di Nizza ha scatenato l’ennesima polemica politica sul legame fra terrorismo e immigrazione. Per anni i partiti sovranisti hanno sostenuto che la principale minaccia alla sicurezza venisse dall’invasione di immigrati irregolari. Matteo Salvini non ha perso occasione per accusare il governo di far entrare i terroristi. La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha risposto che i decreti Salvini hanno prodotto insicurezza, perché migliaia di persone sono uscite dal sistema dell’accoglienza.
Un’analisi degli episodi di questi anni conferma che effettivamente il terrorismo ha sfruttato i canali dell’immigrazione irregolare. Si tratta di una piccola parte rispetto agli attacchi condotti da residenti europei, ma come dimostra la strage di Nizza sarebbe un errore sottovalutarla. Difficilmente il cosiddetto Stato islamico o Al Qaeda farebbero salire un terrorista addestrato per una missione in Europa su un barcone malandato che rischia di affondare.
Il fenomeno riguarda perlopiù singoli migranti, talvolta già radicalizzati, che sviluppano simpatia per gruppi jihadisti mentre vivono nei centri di accoglienza o come sbandati senza status legale. Si contano almeno undici casi di immigrati radicalizzati che hanno tentato di attraversare il Mediterraneo o sono arrivati in Italia, alcuni hanno compiuto attentati in Europa, causando 14 morti. Sono quasi il doppio quelli arrivati attraverso la rotta balcanica o da est, in particolare in Francia e Germania.
In Italia
Brahim Aouissaoui, l’attentatore tunisino di Nizza, è sbarcato a Lampedusa il 20 settembre, ma il 9 ottobre ha ricevuto un decreto di respingimento, con ordine di abbandonare il territorio nazionale entro 7 giorni, naturalmente ignorato. È stato ospitato ad Alcamo, in Sicilia, prima di risalire la penisola ed entrare in Francia da Ventimiglia.
Dal momento dello sbarco a quello delle decapitazioni nella cattedrale di Nizza è trascorso un breve intervallo. Secondo la madre il terrorista si sarebbe radicalizzato da più di due anni, dopo un passato fra droga, alcol e violenza. Secondo alcune fonti Aouissaoui avrebbe anche partecipato da adolescente a qualche attività di Ansar al Sharia in Tunisia, l’organizzazione salafita dichiarata terrorista nel 2013, costola di Al Qaeda. Informazioni che Tunisi avrebbe potuto comunicare ai nostri servizi segreti.
Nel febbraio 2011 è sbarcato a Lampedusa un altro tunisino, il diciottenne Anis Amri. Ha Mentito e dichiarato di essere nato nel 1994, quindi minorenne, ed è stato ospitato nel centro accoglienza per minori di Belpasso a Catania. Ha richiesto l’asilo ma si è reso protagonista di violenze e proteste nel centro, con aggressioni al custode e un incendio, che gli hanno causato una condanna a 4 anni in varie prigioni siciliane.
Anche lui, scontata la pena, è stato destinatario di un provvedimento di espulsione, che non è stato attuato. Amri si è spostato in Germania, dove ha organizzato l’attentato con camion ai mercatini di Natale a Berlino, prima di essere braccato e ucciso a Sesto San Giovanni da una pattuglia della polizia di stato.
Ma non si tratta degli unici casi che hanno coinvolto l’Italia. Il marocchino Mouner El Aoual, detto Mido, era arrivato in Italia da irregolare nel 2008, nel 2012 aveva ricevuto un decreto di espulsione dal prefetto di Trieste per proselitismo radicale, ma non era stato attuato. Accolto e ospitato da una famiglia italiana di Torino, grazie alle indagini dell’Fbi e del Ros dei carabinieri nel 2017 si è scoperto che il marocchino conduceva una doppia vita, gestendo una chat segreta sull’app Zello, in cui incitava al jihad per lo Stato islamico. El Aoual è stato condannato a 6 anni per terrorismo.
Un altro tunisino è sbarcato il 4 ottobre 2015 in Sicilia, richiedendo asilo con il nome di Mohamed Ben Sar. In realtà, sottoposto al sistema automatizzato di identificazione delle impronte, si è scoperto che si trattava di Mehdi Ben Nasr, già arrestato in Italia nel 2008 nell’operazione “Rinascita” dei carabinieri, come membro di una rete di Al Qaeda in Europa. È stato condannato a sette anni di carcere e poi trasferito in Tunisia nel 2014.
Il legame con la Francia
Italia e Francia sono legate da un altro attentato terrorista. Il tunisino Ahmed Hanachi è sbarcato in Italia nel 2006 e si è stabilito per un periodo ad Aprilia, nel Lazio, sposando una cittadina italiana. Ad Aprilia ha soggiornato anche il tunisino Anis Amri, stragista di Berlino.
Ahmed Hanachi se ne è andato nel 2014 con la fine del matrimonio e si è mosso fra Italia e Francia, venendo fermato dalla polizia transalpina in varie occasioni e respinto. Il 30 settembre 2017 è stato arrestato a Lione per taccheggio, poi rilasciato. Il giorno dopo ha sgozzato due ragazze alla stazione ferroviaria di Marsiglia. L’8 ottobre, a Ferrara la polizia italiana ha arrestato su richiesta della Francia il fratello, Anis Hanachi, che aveva combattuto come foreign fighter in Siria ed era stato espulso dall’Italia nel 2014, quando si era finto libico per ottenere asilo, eppure era riuscito a rientrare.
Nell’agosto 2016, la Guardia nazionale tunisina di Sfax ha arrestato alle isole Kerkennah sei migranti, che si stavano imbarcando per le coste italiane. Fra di loro vi era un ricercato per terrorismo, in possesso di documenti falsi. Anche questo caso ha portato il Comitato parlamentare per il controllo dei servizi (Copasir) ad ammettere che i terroristi potevano infiltrarsi fra i profughi via mare. Nel giugno 2017, un 29enne iracheno, ospite del centro Sprar di Crotone, è stato arrestato perché incitava gli altri richiedenti asilo a partecipare alla causa dello Stato islamico. L’uomo ha mostrato esaltazione dopo l’attentato di Manchester.
Ma gli episodi non si limitano a magrebini e arabi, vi sono stati anche casi di richiedenti asilo subsahariani radicalizzati in Italia. Nel marzo 2016, un somalo di 22 anni, autoproclamatosi imam in un centro accoglienza di Campomarino, presso Campobasso, era stato intercettato su segnalazione di altri ospiti mentre pianificava un attentato a Roma e parlava di jihad esaltando l’organizzazione Al Shabaab. È stato condannato a due anni, mentre un complice somalo è stato espulso.
Nel 2018, invece, due casi hanno riguardato immigrati gambiani. Alagie Touray, 21enne fermato vicino Napoli in un’operazione congiunta Digos-Ros, mentre usciva dalla moschea di Licola. Aveva pubblicato su Telegram un video con il giuramento di fedeltà allo Stato islamico. Touray aveva un foglio di soggiorno provvisorio ed era richiedente asilo. Mentre a giugno dello stesso anno, il gambiano 34enne Sillah Osman, sbarcato nel 2017, è stato arrestato in provincia di Napoli perché sospettato di essere stato addestrato in Libia al terrorismo, era stato ospite di un centro accoglienza in Puglia.
Nel resto d’Europa
In Europa la Francia è uno dei paesi più colpiti dal fenomeno dei terroristi infiltrati nel flusso migratorio. Su circa 22mila persone nella lista Fsprt del ministero dell’Interno sui radicalizzati, 4.111 sono stranieri di cui 851 immigrati irregolari. Una parte sono stati espulsi, ma 231 sono ancora in Francia, di cui 180 in prigione.
Il caso più emblematico è quello del siriano Ahmed al Mohammed, che è sbarcato nell’isola greca di Leros e si è finto richiedente asilo insieme al siriano-svedese Osama Krayem. Il primo si è fatto esplodere davanti allo Stade de France durante gli attacchi del novembre 2015, mentre il secondo ha partecipato agli attentati di Bruxelles nel marzo 2016. Hanno usato documenti falsi lungo la rotta balcanica e con una maggiore attenzione dei servizi di intelligence europei potevano essere fermati.
Sebbene la maggioranza degli attacchi in Francia sia stata compiuta da residenti, vi sono alcuni episodi di immigrati irregolari, proprio nel 2020. Il 4 aprile, il 33enne rifugiato sudanese Abdallah Ahmed-Osman ha attaccato armato di coltello dei passanti a Romans-sur-Isère, uccidendone due e ferendone cinque, aveva ottenuto nel 2017 un permesso di soggiorno di dieci anni, ma a quanto pare era turbato dalla quarantena per la pandemia.
Il 25 settembre, un rifugiato pakistano ha accoltellato due persone davanti all’ex redazione di Charlie Hebdo a Parigi. Al suo arrivo in Francia nel 2018 si era dichiarato minorenne per godere dei benefici sociali e un giudice aveva negato un test del Dna per appurarne l’età. Dopo l’attentato, è stato verificato che aveva circa 25 anni e si era radicalizzato. La famiglia nel Punjab, in Pakistan, come riportato dall’Associated Press, ha espresso soddisfazione per l’attacco.
Altri terroristi sono arrivati dalla Russia, dal Caucaso. A maggio 2018 Khamzat Azimov, nato in Cecenia nel 1997, ha ferito con un coltello quattro passanti vicino all’Opera di Parigi. Alla sua famiglia era stato concesso lo status di rifugiato nel 2004 ed era cresciuto a Strasburgo, ottenendo la naturalizzazione dopo la madre. Era sorvegliato dai servizi interni della Dgsi perché due suoi conoscenti erano andati a combattere in Siria.
Un altro ceceno, Abdoullakh Anzorov, appena 18enne aveva ottenuto un permesso di soggiorno per dieci anni a marzo 2020, ma a ottobre ha decapitato l’insegnante Samuel Paty dopo un processo di radicalizzazione. Una sua sorellastra si era unita all’Isis in Siria nel 2014.
Anche in Germania la minaccia di terroristi infiltrati nel flusso migratorio è significativa. A luglio 2016 la Germania è stata scossa da due attentati islamisti, il primo compiuto da un 17enne afgano, Riaz Khan Ahmadzai, arrivato come minore non accompagnato nel 2015, ospitato prima in un campo rifugiati e poi in una famiglia vicino Würzburg. La sera del 18 luglio armato di ascia e coltello ha ferito cinque persone su un treno locale prima di essere abbattuto dalla polizia che ha trovato nella sua camera una bandiera dello Stato islamico fatta in casa.
Pochi giorni dopo, il 24 luglio, un 27enne rifugiato siriano, Mohammad Daleel, si è fatto esplodere con un ordigno rudimentale davanti a un bar di Ansbach, in Baviera, morendo e ferendo quindici persone. Era arrivato in Germania da Aleppo con l’ondata migratoria del 2014 e aveva chiesto asilo, poi aveva giurato fedeltà allo Stato islamico in un video.
Nel 2018, invece, il tunisino Sief Allah H., arrivato due anni prima in Germania forse dopo aver combattuto in Siria, è stato protagonista del piano di Colonia sventato con l’arresto il 13 giugno, mentre preparava un esplosivo tossico alla ricina. Sempre a Colonia, il 15 ottobre 2018 un rifugiato siriano di 55 anni ha lanciato molotov e ha preso degli ostaggi nella stazione centrale. Lo stesso anno, ad agosto, un 19enne afgano richiedente asilo in Germania aveva accoltellato due turisti americani alla stazione di Amsterdam.
Nel gennaio 2019, tre giovani rifugiati iracheni in Germania erano stati arrestati perché sospettati di preparare un ordigno esplosivo in nome dello Stato islamico. Mentre un 26enne siriano a novembre era stato arrestato per aver comprato materiale chimico per costruire una bomba, era entrato in Germania da irregolare nel 2014.
Anche l’Austria ha affrontato il fenomeno degli immigrati radicalizzati, benché il terrorista di Vienna fosse cresciuto nel paese da genitori albanofoni, originari della Macedonia del nord. Infatti, secondo il rapporto 2017 dell’antiterrorismo austriaco, sempre più richiedenti asilo si avvicinano agli ambienti salafiti. Per questo nel 2019 il governo di Sebastian Kurz ha ipotizzato la detenzione preventiva per quei richiedenti asilo considerati una minaccia alla sicurezza. Anche a Vienna, nel 2019 tre immigrati ceceni volevano colpire i mercatini di Natale. In Svezia invece, il 7 aprile 2017 un richiedente asilo uzbeko ha ucciso cinque persone a Stoccolma con un camion, dopo aver giurato fedeltà all’Isis, ed è sto condannato all’ergastolo.
Cosa fare
Nell’insieme degli immigrati irregolari e dei rifugiati, i radicalizzati rappresentano una piccola percentuale, è importante non criminalizzare un’intera categoria. Tuttavia il fenomeno esiste.
Nel gennaio 2018, l’Interpol ha diffuso una lista di cinquanta sospetti dello Stato islamico che sarebbero sbarcati in Italia con l’obiettivo di infiltrarsi in Europa. L’Interpol ha fornito al ministero dell’Interno la lista, tutta di tunisini, con nomi, cognomi e data di nascita. Dopo la liberazione di Sirte dallo Stato islamico, l’intelligence libica ha trovato in un covo una lista di sette tunisini dell’Isis con numero di passaporto e generalità, incaricati di inviare jihadisti in Italia.
L’agenzia europea Frontex, che dispone di database e tecnologia di identificazione, dovrebbe uniformare il monitoraggio e la schedatura degli immigrati irregolari e dei richiedenti asilo per offrire ai paesi membri tutte le informazioni necessarie in tema di sicurezza. I centri di accoglienza in Europa dovrebbero essere oggetto di una maggiore attività di intelligence e monitoraggio, così come le carceri, dove avviene la radicalizzazione. Le autorità europee dovrebbero svolgere maggiori background checks e condividere i dati con l’intelligence dei paesi d’origine e transito.
In Italia andrebbe fatta una riflessione sulle modalità di concessione della protezione umanitaria, la forma residuale di protezione dopo l’asilo e quella sussidiaria, re-introdotta con la modifica dei decreti Salvini. La protezione umanitaria è concessa quasi a tutti gli irregolari. Secondo la ministra Lamorgese questo diminuirebbe automaticamente il rischio, ma l’esperienza insegna che anche chi aveva ottenuto l’asilo ha compiuto attentati. Infine andrebbe rivisto il sistema di espulsione e respingimento perché il decreto senza accompagnamento coatto alla frontiera si è rivelato totalmente inefficace. Se Brahim Aouissaoui e Anis Amri fossero stati effettivamente espulsi dall’Italia, tre persone sarebbero ancora vive a Nizza e altre dodici a Berlino, fra cui l’italiana Fabrizia Di Lorenzo.
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