«Il Veneto resti a noi», ripetono come un mantra i leghisti, dopo il via dato dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo al congresso federale. Eppure, ora che la Consulta ha spento ogni speranza di terzo (che poi sarebbe quarto) mandato di Luca Zaia, i giochi si sono aperti davvero.

Lo scenario è complicato e si intreccia con le dinamiche di maggioranza a Roma. Da una parte c’è la Lega, che governa la regione ininterrottamente dal 2010 con il Doge che alle passate regionali ha incassato con la sua lista personale il 44 per cento dei voti.

Dall’altra c’è Fratelli d’Italia, che rivendica la guida di una grande regione del nord in forza del suo essere primo partito nazionale e proprio in Veneto – feudo del ministro del Made in Italy, Adolfo Urso – ha raccolto ben il 37 per cento alle Europee, mentre la Lega si è fermata al 13.

Infine c’è Forza Italia, che in regione è gestita dall’ex leghista Flavio Tosi, che negli ultimi mesi si è lanciato in una serrata campagna acquisti tra le file del suo vecchio partito ed è pronto a giocare un ruolo di regia non certo favorevole al nemico di lunga data Zaia. In questo fonti di FI confermano il supporto del segretario Antonio Tajani, i cui rapporti con l’alleato Salvini sono ai minimi termini.

A questo si intreccia la situazione locale e il totonomi. Unica certezza: candidato o meno, prescindere dal placet del Doge sarebbe un azzardo e di questo sono convinti anche i meloniani. Per questo, in casa leghista, crescono le quotazioni della sua vice presidente Elisa De Berti e un po’ ci spera anche Alberto Stefani, segretario della Liga veneta e vicesegretario nazionale che Zaia ha sostenuto al congresso. «Ma accodandosi alla sua candidatura solo all’ultimo», fanno notare fonti leghiste. Balenano poi anche quelli dell'ex ministra Erika Stefani e del sindaco di Treviso, Mario Conte, che ieri ha detto di essere «a disposizione».

In contrapposizione c’è FdI: nome in pole position è quella del senatore Raffaele Speranzon, che sempre più spesso prende la parola e anche dopo la sentenza costituzionale ha ribadito che FdI è sempre stata contraria al terzo mandato. Subito dietro si affaccia anche il coordinatore Luca De Carlo, che però ha visto decrescere le sue quotazioni insieme all’appannarsi della figura di Francesco Lollobrigida. 

Ad oggi, la linea di FdI è stata quella di non scomporsi davanti alle levate di scudi leghiste e men che meno davanti alla promessa di Salvini dal palco del suo congresso che alla Lega rimangano tutte le regioni che già governa. «I giochi si fanno altrove e a tempo debito», è il secco commento, come a dire che le chiacchiere servono a riempire i giornali ma le decisioni verranno prese intorno a un tavolo, preferibilmente a Roma, con Salvini e Meloni. Per ora, la contrattazione ha un dato certo: gli assessorati di peso della prossima giunta veneta finiranno comune in mano a FdI. Altro ragionamento in corso a via della Scrofa: se non è il Veneto, sarà la Lombardia nel 2028 a dover andare a FdI.

L’incognita Zaia

I problemi, però, non finiscono qui. Se si andasse a votare in autunno come da scadenza naturale senza la proroga ai primi mesi del 2026 che è stata ipotizzata, il tempo stringe e incombe anche l’interrogativo sul futuro di Zaia. Un nome così di peso dovrebbe trovare una immediata nuova collocazione: sulla via del tramonto l’ipotesi di fare il sindaco di Venezia, l’altra strada è parlamento, magari con la candidatura in consiglio regionale di un deputato veneto, in vista di un potenziale ministero se le elezioni nel 2027 riconsegnassero la vittoria al centrodestra.

Altro nodo da sciogliere è se il governatore uscente presenterà comunque alle regionali una lista con il suo nome, che alle passate elezioni ha drenato in modo consistente voti alla Lega. Se così non fosse, anche le liste dei partiti non sarebbero facili da comporre visto che almeno una parte dei 23 consiglieri “zaiani” uscenti saranno alla ricerca di un posto.

Il Doge, intanto, ha fatto percepire la sua furia: «È legittimo che la Lega chieda il candidato presidente del Veneto ma non riguarda me», ha detto a Tagadà, mentre in serata aveva definito «politica» la sentenza costituzionale e definito «il blocco dei mandati una grande ipocrisia dell’Italia». Inevitabile, infatti, che l’occhio gli sia caduto su quanto successo nel vicino Trentino, dove il suo compagno di partito Maurizio Fugatti ha fatto approvare la possibilità di terzo mandato con un blitz in consiglio provinciale, forte dello statuto di autonomia anche in materia elettorale anche a costo di rompere con FdI locale. 

«Sono felice per Fugatti», ha detto, ribadendo che «è fondamentale riconoscere al cittadino di essere attore protagonista nella scelta della classe dirigente, e non lasciare tutto in mano alle segreterie». E l’amico friulano Massimiliano Fedriga, anche lui alla guida di una regione autonoma, potrebbe seguire l’esempio trentino.

Un dato di fatto però è che – al contrario della Lega - sia Forza Italia che Fratelli d’Italia si sono sempre espressi contro il terzo mandato. Ennesima questione e non certo secondaria su cui la maggioranza è divisa.

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