«Ho lavorato per alcuni mesi dove finisce la rotta balcanica: vedevo sempre ragazzi che arrivavano e venivano fermati dalla polizia. Per caso, un giorno, ho scoperto che potevo fare qualcosa per loro diventando tutore» racconta Disma Corti, che in nove anni da tutore volontario a Trieste ha avuto in carico quasi 90 minori stranieri non accompagnati.

«Umanamente è un’esperienza intensa e non priva di difficoltà, ma per la quale vale la pena spendersi, perché significa contribuire a costruire la società del futuro» aggiunge Disma, che oggi si occupa di tre ragazzi. Due hanno 17 anni e sono originari di Gambia e Mali, uno ne ha 16 e lo ha incontrato per la prima volta quando a 12 anni è arrivato in Italia dopo un lungo viaggio dal Pakistan. In passato però gli sono stati assegnati contemporaneamente fino a 23 ragazzi, anche se la legge Zampa chiede di rispettare un massimo di tre.

Il problema è che per i 20.206 minori stranieri senza genitori presenti in Italia, secondo le ultime rilevazioni ministeriali, i tutori volontari non bastano. Sono attualmente 3.783, mentre i minori a loro assegnati sono in totale 10.200. Questo significa che quasi la metà dei minorenni che arrivano nel nostro paese arriva sola e resta sola. Eppure a ognuno di loro, per legge, dovrebbe essere assegnato un tutore, appositamente formato e incaricato di assicurargli l’accesso ai diritti che gli sono riconosciuti, insieme al benessere psicofisico.

I numeri 

In alcuni casi, la mancanza di assegnazioni dipende dal cortocircuito dei tribunali, che faticano ad assegnare le nomine dei tutori lasciando inattive persone disponibili a ricevere l’incarico. Come spiega Paola Scafidi, presidente del progetto Tutori in Rete che riunisce i tutori volontari a livello nazionale: «In alcuni territori, come l’Emilia-Romagna, i tutori sono disponibili ma non ricevono nomine anche per anni. Si crea così una situazione paradossale che soprattutto lascia soli molti minori».

Alcuni tribunali, poi, in assenza dei tutori necessari a occuparsi dei ragazzi in arrivo, danno priorità nell’assegnazione a quelli che fanno richiesta di protezione internazionale. Ma i minorenni che non hanno questa possibilità, restano anche vari mesi senza nessuno incaricato della loro tutela, che spesso invece instaura con loro una relazione profonda, diventando confidente e punto di riferimento quotidiano per i giovani migranti.

«Con i minori alla base c’è un rapporto di ascolto per capire cosa vogliono fare e indirizzarli verso l’autonomia», spiega Natalia Mangano, tutrice a Siracusa. «È fondamentale assisterli nelle procedure amministrative e si cerca di costruire con loro un percorso tra scuola e tirocini formativi. In questo processo il rapporto individuale è essenziale, perché nei centri di accoglienza e nelle comunità ogni operatore deve occuparsi di almeno 30 persone per volta».

I tutori sul territorio nazionale sono in aumento, ma a crescere ancora di più sono i minori in arrivo, provenienti negli ultimi due anni soprattutto da nord Africa, Ucraina e Albania. Sono prevalentemente maschi, i più giovani hanno tra i 7 e i 14 anni e quasi la metà sono diciassettenni. La maggior parte di loro (circa il 26 per cento) vive in Sicilia, dove si riscontra anche il più alto numero di assegnazioni dei minori ai tutori volontari: oltre il 50 per cento di queste si concentra tra Palermo (3.092), Reggio Calabria (1.142), Catania (801) e Bologna (752). I tutori però si trovano soprattutto a Torino, Roma e Milano e sono per la grande maggioranza donne.

I problemi del sistema

Isabella Galizia è diventata tutrice di Mojtaba quando a lui mancavano sei mesi per diventare maggiorenne. «Aveva aspettato più di un anno prima di ricevere un tutore, perché al momento del suo arrivo in Italia gli era stato registrato il nome in modo errato e quindi formalmente per il tribunale dei minori non esisteva», racconta. «Poi è diventato di famiglia e abbiamo continuato a sentirci anche dopo i suoi 18 anni, finché ha provato a raggiungere i genitori in Iran e non ho più avuto sue notizie».

Per lei – come per tanti tutori – assistere Mojtaba ha significato trascorrere intere giornate negli uffici della questura per ottenere il rilascio dei documenti, aiutarlo a seguire la sua passione per lo sport e seguirlo nella ricerca di un’occupazione. Il tutto senza ricevere un’indennità per le spese sostenute.

Nonostante un decreto del 2022 preveda che i tutori possano accedere a rimborsi e permessi di lavoro per svolgere le loro attività con i minori, nella pratica questi risultano inaccessibili. «Come Tutori in Rete abbiamo rilevato che il sistema è costruito male: per vedersi riconosciuto un rimborso, per esempio, il tutore deve ricevere un nulla osta preventivo dal tribunale dei minorenni e quindi fare richiesta in anticipo rispetto alla spesa da sostenere, ma non c’è mai il tempo di presentarla» spiega ancora Paola Scafidi.

Far fronte alle scadenze che riguardano un minore straniero, soprattutto di tipo amministrativo, significa infatti confrontarsi con tempistiche variabili e imprevedibili. «Anche per questo motivo ci risulta che nessun tutore, finora, sia mai riuscito a ottenere una liquidazione».

Secondo la ricerca condotta dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, le rinunce all’incarico di tutore sono riconducibili in molti casi proprio a problemi di conciliazione con il lavoro e alla mancanza di risorse personali, oltre a quelle che sono considerate responsabilità eccessive nei confronti del minore. A influire è anche la lontananza del domicilio del ragazzo dall’abitazione del tutore volontario.

Non è raro infatti che un minore, dopo essere stato assegnato, venga spostato in un centro di accoglienza a diversi chilometri di distanza. Il dato delle rinunce all’incarico tuttavia è in diminuzione: nel 2022 è passato dal 69 al 56 per cento, segno che un sistema di accoglienza alternativo è possibile.

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