Tensione per l’incontro di oggi con i cronisti. La premier deve affrontare tutti i temi più problematici. Conte le rivolge dieci domande. Ma il copione è già scritto dai guai in cui governo e maggioranza si sono infilati. Per la leader il rischio è di scivolare nel solito comizio
A palazzo Chigi è alta la tensione per il confronto con la stampa rimandato due volte – causa gli otoliti di cui ha sofferto negli ultimi giorni dell’anno – e che si terrà stamattina alle 11 nell’aula dei gruppi parlamentari di Montecitorio.
Più che per notizia diretta lo si deduce dai segnali di un lavorìo inusuale. Con la consegna della massima discrezione, sono stati mandati in perlustrazione amici e amici degli amici per provare a farsi un’idea delle domande che i cronisti intendono rivolgere alla presidente. Sintomo di insicurezza, quella che i non simpatizzanti di maggioranza chiamano «Sua Ansietà», per sottolineare un dato caratteriale; e quelli più empatici invece spiegano con «il suo maniacale perfezionismo».
Fatica sprecata. Alcune testate hanno anticipato le questioni a cui dovrà rispondere, e persino l’ex premier Giuseppe Conte, a caccia di visibilità, le ha rivolto via social le sue «10 domande», che così oggi i cronisti non potranno pronunciare senza essere accusati di essere «di parte». Come se il copione non fosse già scritto dai pasticci in cui si sono cacciati governo e maggioranza nelle ultime settimane: la sconfessione del ministro dell’economia sul Mes; i rischi rigoristi del nuovo patto di stabilità; l’inchiesta sulle commesse Anas su Denis e Tommaso Verdini, che lambisce il (non indagato) Matteo Salvini, nella sua qualità di ministro e non di genero del vecchio consigliere di Berlusconi; poi, dopo il primo gennaio, lo sparo di Rosazza e le osservazioni severe di Mattarella sulla legge sulla concorrenza.
Lo sparo «sfuggito» dall’arma del deputato FdI Manny Pozzolo alla festa di Capodanno della famiglia del sottosegretario Delmastro è di certo il guaio più feroce a cui deve mettere una pezza: il cielo ha voluto che la ferita inferta al commensale sia guaribile in dieci giorni, ma poteva andare peggio. Per gli inquirenti la dinamica comincia a chiarirsi, spuntano testimoni per i quali quando è partito il colpo la pistola era nelle mani di Pozzolo. La premier ha fatto trapelare la sua «rabbia» contro il deputato e più in generale per un gruppo dirigente inadeguato al ruolo: ma è la contestazione che da mesi le fa l’opposizione.
C’è chi riferisce che Meloni stamattina proverà a chiudere il caso annunciando l’autosospensione di Pozzolo. Ma restano altri interrogativi: il deputato entra armato alla Camera? E FdI intende estendere l’uso delle armi da fuoco? Pochi giorni fa il ministro Lollobrigida ha dovuto sconfessare un altro soldato FdI, il senatore Enrico Aimi, che ha presentato un ddl per consentire ai 16enni di andare a caccia, quindi di maneggiare legittimamente un’arma.
Mattarella è molto preoccupato: non è un caso se nel messaggio di fine anno ha sottolineato che lo Stato «deve garantire la sicurezza della convivenza», «contro il rischio di diffusione delle armi». Poche ore dopo, lo sparo di Rosazza.
Lo stress test
La premier non solo ha studiato i dossier ma si è anche sottoposta a sessioni di domande da parte dei consiglieri stretti, capitanati dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari nei panni del coach, per simulare una situazione di pressione (c’è della sopravvalutazione dei cronisti, forse).
Il primo obiettivo è tenere i nervi saldi ed esibire una «premiership» rassicurante a favore del pubblico della diretta tv. Non è un obiettivo banale per una presidente dall’oratoria militante, che ha già dimostrato di lasciarsi trascinare dalla verve fin giù nel comiziaccio.
Sa che le sarà chiesto di esprimersi sull’attacco di Salvini alle osservazioni di Mattarella sulla vicenda dei balneari: sa che non può sconfessare il vicepremier – con il quale cerca anzi una tregua in vista delle europee – ma sa anche che non può attaccare il Colle la cui popolarità nelle cancellerie europee è alta quanto nel paese.
Per indirizzare i cronisti sulla riforma costituzionale, ha mandato avanti il presidente del senato La Russa che ieri in un’intervista a “La Stampa” ha auspicato alcuni correttivi al premierato: per esempio l’eliminazione della figura del «premier di scorta». Una modifica che vuole anche Meloni. Ma prima dei correttivi, la presidente del Consiglio deve affrontare a parole chiare l’intenzione di restringere il ruolo del Colle. Che anche La Russa, con tutta la buona volontà, non riesce a negare.
Meloni vuole portare il filo sui successi del suo governo, ha ripassato il discorso «L’Italia vincente - Un anno di risultati» per il primo anno di palazzo Chigi, vuole illustrare il programma della presidenza italiana del G7, appena assunta. Se l’era immaginata diversa, la conferenza stampa di inizio anno. Ma già non è un vantaggio parlare dopo il monumentale messaggio del presidente della Repubblica. «Un intervento di grande profondità e visione», è stato il suo diplomatico commento.
Ma la «visione» di Mattarella è diversa dalla sua (sui valori costituzionali, la solidarietà, la libertà, la partecipazione, i rischi dell’intelligenza artificiale, persino sull’orgoglio e l’identità nazionale). E stamattina, quando risponderà ai cronisti, sarà difficile non far misurare le distanze fra palazzo Chigi e il Colle.
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