Goffredo Bettini è l’ultimo erede di una tradizione che ha visto finissimi intellettuali imboccare la via della militanza nel Partito comunista italiano. Non parliamo di donne e uomini di cultura impegnati “anche” in attività di partito. Parliamo di percorsi spesso precoci e consegnati a un impegno totalizzante. Vere e proprie scelte di vita a interpretare momenti distinti.

Nel caso di alcuni, non pochi, a forgiare quello spirito riflessivo e combattente furono la lotta antifascista e il processo di costruzione dell’Italia repubblicana. Nell’immediato Dopoguerra stavano a testimoniarlo frequenti porte girevoli tra scrittura e giornalismo.

Italo Calvino redattore della terza pagina dell'Unità di Torino o Elio Vittorini a dirigerne la sede milanese raccontavano il bisogno di ricostruire, oltre a case, fabbriche e strade, la coscienza civile che il ventennio mussoliniano si era premurato di spegnere.

La classe politica, non solo quella comunista, seppe farsi carico dell’impresa con esempi illustri. Scorrere i nomi di “padri e madri” costituenti chiarisce il punto, ma, pure al di là di quella parentesi epica, si potrebbero citare Paolo Bufalini tra i grandi traduttori di Orazio, e ancora la vena colta di Rossana Rossanda o quella poetica di Pietro Ingrao sulle quali tanto si è detto e si sa.

Che poi diverse tra quelle figure abbiamo camminato su sentieri distanti e talora opposti nulla toglie alla natura dei loro profili. Per le generazioni venute dopo l’imprinting non deve aver avuto potenza analoga, ma quella palestra ha agito lo stesso come riferimento ideale e prassi di condotta.

Un tratto di umanità

Premessa anche troppo lunga per dire che l’ultimo saggio di Goffredo Bettini, Attraversamenti. Storie e incontri di un comunista e democratico italiano (edizioni PaperFirst), si può leggere come una successione di amicizie e relazioni tutte egualmente intense per l’autore, ma in fondo ciascuna isolata, a sé stante.

Oppure come un filo unico steso a congiungere stagioni e affetti accomunati da uno stesso modo di intendere lo spirito del proprio tempo. Per parte mia tendo a cogliere nella seconda chiave il valore della prova. Con un’aggiunta necessaria, che a tutti gli effetti di una fatica letteraria si tratta nel senso d’essere un libro scritto in grazia di dio.

Senza concessioni retoriche, autocommiserazioni e perdonismi tardivi a fronte degli errori e limiti di una lunghissima parabola personale e collettiva. Dunque, cosa tiene assieme la frequentazione di Pasolini e Tronti, Renzo Piano e Rutelli, Gianni Borgna, Luciano Berio e il missino Andrea Augello, sino al già citato Ingrao e Franca Chiaromonte, amica intima e sola presenza femminile in quella specie di Pantheon familiare?

Impossibile riassumerlo, forse per prima cosa un tratto profondo e irriducibile di umanità. Bettini lo accenna fino dal principio e poi lo riprende offrendone una lettura via via più precisa, parlo del significato dell’amicizia, di un senso di fraternità così intenso da generare molto più che una consuetudine complice, qualcosa al contempo di “razionale e intuitivo”.

In questo senso gli affreschi tratteggiati diventano altrettanti scavi nella psicologia dell’altra, dell’altro, e in fondo soprattutto di sé. Perché questo è un libro scopertamente intimo, personale. Anni luce lontano da troppi esercizi biografici, genere in tempi recenti di gran lustro e spesso scortato dal curioso anticipo di quell’età che vuole la memorialistica attendere paziente un rendiconto nella maturità. Avete presente il vezzo, perché tale è, di invocare il pronome “noi” al posto dell’irruente “io”?

Un’immagine di insieme

Ecco, al viaggio bettiniano siamo particolarmente grati perché nel risparmiarci la formula preferisce praticare la conoscenza. Capitolo su capitolo quel noi si misura con la concretezza di affinità e conflitti ben vitali nella scoperta degli interlocutori vissuti come interfaccia delle proprie coerenze, coraggi, ma pure fragilità, dubbi, paure.

Sentimenti impossibili da eliminare perché di quel “noi” costituiscono parte irriducibile. Il risultato è una carrellata di volti, episodi e dialoghi combacianti come tessere di un mosaico dove l’immagine d’insieme è un elogio motivato della passione politica.

Certo, per l’autore ciascuna di quelle amicizie è descritta come preziosa in sé, ma è la trama che le fonde a restituirne l’originalità. Valga per tutte l’incontro formidabile con un giovane Gianni Borgna, segretario della sezione comunista di Monte Mario, in piedi su una sedia mentre arringa un gruppetto di ospiti del vicino ospedale psichiatrico.

E più fulminante ancora il congedo di uno di loro, «Io me ne ritorno al Santa Maria della Pietà perché qui mi sembra un manicomio». In coda alla lettura rimane un moto di nostalgia? Bettini lo nega e bisogna credergli. A emergere piuttosto è la domanda sul cosa e il perché abbiano consentito alla sinistra di conoscere una diaspora senza gloria.

Al fondo è lì, nell’epilogo, che la via si biforca dovendo scegliere tra l’arrendevolezza a un declino della passione o ripensare l’inguaribile scelta di vita, la lanterna capace di schiarire almeno un po’ la strada del dopo, ancora una volta coscienti del “coraggio visionario”, delle moderate utopie necessarie a stare nel mondo.

Il tutto in un tempo che vede la destra tronfia del potere acquisito in una misura da sempre insperata e una sinistra chiamata a render conto dei troppi errori commessi.

Gli ultimi anni

Il resto è cronaca degli ultimi anni. Il governo coi Cinque stelle, azzardo premiato dal merito, la sua caduta con la parentesi dell’ultimo “tecnico” a palazzo Chigi. Poi, quella perdita di lucidità politica che ha finito con l’aprire le porte del governo a chi non sa dirsi antifascista il 25 aprile.

Sono le ultime del volume, pagine dove con qualche generosità di troppo Bettini riconosce a Giuseppe Conte doti di coerenza superiori al giudizio che alcuni tra noi hanno espresso. La reazione del Pd con l’elezione, neppure troppo a sorpresa, di Elly Schlein sta ristabilendo dentro il centrosinistra rapporti di forza più tradizionali, ma la sfida di un rinnovamento radicale del partito di Bettini e mio rimane un traguardo ancora da tagliare.

Letti così, usando quest’ultima lente, gli “attraversamenti” del libro, le amicizie di un’esistenza, suonano monito a non sciupare per nessuna ragione la pluralità di culture e biografie che il primo partito dell’opposizione deve ospitare come la sua vera ricchezza.

Da Marco Tarquinio a Cecilia Strada, e Lucia Annunziata e Lidia Tilotta, figure candidate nelle liste del Pd al prossimo voto europeo si possono leggere a questa maniera: la rivendicazione del buono che il passato ci consegna, non avendo timore di aprirsi a voci e volti disposti a camminare assieme. Non sarà tutto, ma per questo tempo complicato non è neppure poco, e un libro di sana, antica battaglia politica e culturale aiuta certamente a comprenderlo meglio.


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