Una smilza gazzetta sulla sinistra italiana. Titoli, spunti, segnalazioni. Da imperfezionisti, saltiamo i preliminari e ci rivolgiamo agli amanti del genere e ai cultori della materia. Materiali preparatori per i personaggi del romanzo della sinistra. E raccontini brevi
Il congresso del Pd è partito ufficialmente con la lettera di «chiamata» ai nuovi potenziali iscritti. Ma il dibattito pubblico su cosa sarà la prossima «Cosa» – e con chi si alleerà – era già partito e il calcio d’avvio l’ha battuto Goffredo Bettini, già padre fondatore del Pd delle origini veltroniane.
Domenica, dopo mesi di silenzio («sono stato zittito», ha detto e ce l’aveva più o meno direttamente con il segretario Enrico Letta, che dopo la rottura fra Pd e M5s non lo ha difeso dagli attacchi di mezzo partito) ha anticipato – su Raitre, nel programma di Lucia Annunziata In mezz’ora – il senso del suo nuovo libro A Sinistra. Da capo, edizioni PaperFirst (cioè i tipi del Fatto), con postfazione di Andrea Orlando, non a caso uno dei papabili candidati, ala sinistra.
Curiosità: Bettini si è collegato alla trasmissione nel corso della sua festa di compleanno: come l’anno scorso, ha invitato i suoi ospiti a la Storta, periferia a nord della Capitale, sotto la pergola pasoliniana ma accogliente della casa del suo storico autista Libero Bozzi. A differenza dell’anno scorso, per evitare pettegolezzi politici, gli invitati sono stati molti meno: un gruppo scelto di amici. «Veri»: e dunque c’era Giuseppe Conte, oltreché Massimo D’Alema, Walter Veltroni e Enrico Gasbarra.
Torniamo al libro: si annunciano presentazioni col botto, e cioè destinate a entrare con i piedi nel piatto del congresso Pd nella speranza di far risorgere la defunta alleanza giallorossa. Ma sulla strada della resurrezione c’è il futuro termovalorizzatore di Roma. Conte chiede di fermarlo. Difficile che succeda. Comunque Bettini, nonostante il freddo con il Nazareno, in questi mesi è rimasto il grande mediatore fra dem e il M5s (ma quello nazionale, in pratica l’ex premier).
Primo evento venerdì 11 novembre a Roma, alle 18 all’Auditorium. Con Conte (appunto), Andrea Orlando, Andrea Riccardi, grande timoniere della manifestazione pacifista di Roma, e le direttrici Agnese Pini e Norma Rangeri.
Secondo evento a Napoli, il 14 novembre. Con un altro parterre di spingitori di alleanze giallorosse: Dario Franceschini, Massimo D’Alema e il sindaco Gaetano Manfredi.
Qui di seguito anticipiamo un passaggio del saggio.
«Il Pd e la sinistra sono stati spiantati. Non tanto dalle scelte dell’oggi, ma da una nostra claudicante storia passata. Non è l’ora neppure di discutere di alleanze. Stai con questo o stai con quello. Di cose rosse, rosso–verdi, mezze sciolte o liquide, infatuate da un possibile ritorno indietro ideologico e di chiusura. Le alleanze sono parte fondamentale di un progetto politico. Ma non aiutano a vedere dentro se stessi. Nel profondo della crisi che si sta attraversando. È una nuova visione del mondo che dobbiamo comporre. Un rilancio della risposta di fondo al perché vogliamo restare in campo».
Dal Pd una lettera ai nuovi iscritti, ma c’è (già) chi dice no
Oggi, 7 novembre, il Pd ha aperto la prima tappa del suo congresso, detto «congresso costituente del nuovo Pd». Data curiosa: è l’anniversario della Rivoluzione sovietica (la Rivoluzione d’Ottobre fu di novembre, era il 25 ottobre del 1917 ma secondo il calendario giuliano in vigore nell’impero russo, era il 7, e i comunisti il 7 novembre la festeggiavano), ma al Nazareno nessuno se l’è ricordato. Niente di male, era ovvio del resto.
La riunione di segreteria, in modalità mista, ha scalpellato il testo da volantinare fuori dai circoli. Non viene chiesta l’adesione «a scatola chiusa» al partito, ma a un processo di cui non si conosce «l’esito a priori».
Prosa a parte, la sostanza politica era però stata già approvata (a maggioranza) all’ultima direzione. Il dispositivo diceva così: il congresso «sarà aperto agli iscritti del Partito Democratico, agli iscritti ai partiti, ai movimenti e alle associazioni che decideranno di aderirvi e ai cittadini che vorranno sottoscrivere l’appello alla partecipazione. I partecipanti saranno liberi di organizzare assemblee aperte nelle quali discutere di tutti i nodi politici essenziali. Per partecipare alla discussione non sarà dunque necessario essere iscritti al PD. I partecipanti alla fase costituente diventeranno iscritti al nuovo PD nel momento in cui voteranno sulle piattaforme politico-programmatiche dei candidati alla Segreteria (fatto salvo il versamento della quota di iscrizione)».
Primi destinatari dell’appello sono gli alleati di Art.1, Demos e Psi, le tre formazioni che hanno mandato i propri candidati nelle liste del Pd–Italia democratica e progressista.
Art.1 ha praticamente già risposto: parteciperà.
Il 14 novembre invece si terrà la direzione di Demos, affronterà il tema ma al momento la maggioranza dei componenti è orientata per il no. O, meglio: l’idea è quello di partecipare alla chiamata solo se il Pd permetterà loro di farlo come partito, dall’inizio alla fine: insomma alleati sì, eventualmente federati, ma non sciolti nel Pd.
È invece un no quello dell’alleato socialista. Lo anticipiamo qui. Parla Enzo Maraio, segretario del Psi.
Schlein, da Possibile a improbabile
Sempre in vista delle primarie è circolato il nome di Elly Schlein, già vicina alle sardine, neodeputata e da pochi giorni ex vicepresidente di Stefano Bonaccini in Emilia Romagna. Una corsa, la sua, impossibile, almeno sulla carta: non è iscritta, e anche dovesse farlo entro i termini stabiliti, sarebbe difficile per lei conquistare un buon piazzamento nel voto interno al partito.
Ma c’è chi spera in lei, e non si tratta solo degli impenitenti movimentisti sempre alla ricerca di un papa straniero. è convinto che però se arrivasse al secondo turno, quello dei gazebo, spopolerebbe. In ogni caso qui proponiamo un suo ritratto d’autore: lo firma Vincenzo Vita, un dirigente politico di lungo corso che l’ha vista nascere, politicamente parlando.
Internationalist/La pensione di Boric
Nel finale, piccolo spazio internazionalista. Eugenio Marino, profondo conoscitore del Latinoamerica, racconta di come il presidente cileno Gabriel Boric prova a cambiare il sistema pensionistico, uno dei retaggi del passato pinochettista. Qui.
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