Formalmente al vertice degli alleati di centrodestra non si è parlato di Ucraina, men che meno di Donald Trump. Anzi, nemmeno si è trattato di un vertice ma solo del canonico incontro settimanale a palazzo Chigi tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani.

In realtà, se così fosse, i tre sarebbero gli unici attori politici che in questo momento non si confrontano su quella che è a tutti gli effetti una crisi mondiale, con il presidente americano che di fatto riabilita la Russia di Vladimir Putin, esclude l’Ue da qualsiasi discussione sulla pace in Ucraina e, secondo l’Economist, trama per cacciare il presidente Volodymyr Zelensky e sostituirlo con un ex generale. Fonti di maggioranza non hanno dubbi sul fatto che i contatti tra i leader sulla questione ci siano stati, vista anche la delicatezza della posizione italiana.

Del resto la comunicazione di Meloni – che non fa sentire la sua voce su questo da settimane – è più complicata da gestire, data la consapevolezza che la linea del rimanere a fianco degli ucraini e soprattutto di Zelensky «senza se se senza ma», come diceva fino alla conferenza stampa di inizio anno, è ormai insostenibile. O meglio, inconciliabile con l’ambizione di essere interlocutrice privilegiata e sostenitrice della politica trumpiana.

Delle due l’una. E Meloni sembra preferire la seconda come dimostra, da ultim,o la sua partecipazione prevista per domani con un intervento in video alla Conferenza annuale dei conservatori americani, quest’anno all’insegna del “Maga”.

La premier interverrà insieme al presidente argentino Javier Milei, al leader di Vox Santiago Abascal e al fondatore di Reform Uk, Nigel Farage, e la convention sarà una celebrazione del presidente, da cui si attendono nuove dichiarazioni incendiarie.

In serata, tuttavia, Meloni ha rotto il silenzio con una nota scritta. Il comunicato, in realtà, era un aggiornamento sulla conversazione telefonica con il primo ministro canadese Justin Trudeau, che però si conclude con una cesellata dichiarazione. Il punto saliente è che, durante la telefonata, Meloni ha «ribadito che la priorità per l’Italia è la stessa del resto d’Europa, dell’Alleanza atlantica e di Kiev: fare tutto il possibile per fermare il conflitto e raggiungere la pace». Tutto il possibile, dunque anche accettare le condizioni di Trump.

Meloni ha però ammorbidito il concetto ricordando che «il sostegno occidentale insieme al coraggio e alla fermezza ucraina» consentono di «parlare oggi di un’ipotesi di accordo». La conclusione è una sintesi di diplomazia: «L’Italia, insieme agli Stati Uniti e ai suoi partner europei e occidentali, lavora per una pace duratura in Europa, che necessita di garanzie di sicurezza reali ed efficaci per l’Ucraina».

La voce di Tajani

Più o meno quello che, qualche ora prima, aveva detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. «Il governo ha una linea data da Meloni e Tajani, che sono concordi», spiega infatti un esponente meloniano. E chi ha per orecchie per intendere, intenda, visto l’illustre escluso.

Sempre nella nota Meloni ha fatto sapere che sarà proprio il leader di FI a prendere il suo posto alla videoconferenza dei leader del G7 del prossimo 24 febbraio, perché la premier sarà impegnata con lo sceicco Mohammed bin Zayed al Business Forum italo-emiratino «da lungo tempo programmata».

Il titolare della Farnesina ha parlato di Ucraina e ha tenuto toni volutamente bassi ma la strategia è emersa. Il punto cardine rimane l’Italia come collante tra Bruxelles e Washington: «L’Italia ritiene fondamentale lavorare con una Europa unita, ma per garantire sicurezza all’Ucraina e al a continente europeo serve collaborazione tra Ue e Usa», ha detto.

Poi, ripetendo parole che nei giorni scorsi sono state attribuite anche alla premier, ha commentato i toni ruvidi di Trump sostenendo che «le parole della nuova amministrazione Usa son sempre forti, evidentemente c’è qualche crepa nel rapporto fra Trump e Zelensky e questo sta emergendo. Ma il nostro interesse è che la situazione si calmi» e «lo scontro verbale non tocca l’Europa».

Rimane difficile orientarsi nella gincana dei molti «non solo» e «ma anche», la cui unica sintesi concreta è quella di mantenere un solido rapporto con gli Usa perché non è possibile fare altrimenti, sperando che i toni di Trump si abbassino e che – dopo lo strappo – richiami l’Ue al tavolo di pace.

Molto più netta, invece, è la posizione di Salvini, che ha rotto ogni indugio nello spassionato sostegno a Trump ed è tornato a ripetere ciò che dice da giorni senza le briglie istituzionali del ministero degli Esteri o di palazzo Chigi. «Condivido quello che sta facendo Trump per porre fine alla guerra e conto che smettano di sparare i cannoni e di morire le persone», ha detto a margine del question time al Senato, e «chi attacca Trump non fa un buon servizio alla pace», perché «in poche settimane sta facendo quello che nè von der Leyen, né Biden hanno fatto», quindi «spero che vada fino in fondo». «Rumore di fondo», che ha riflessi di posizionamento solo nelle dinamiche interne alla maggioranza e non sullo scenario internazionale, è la considerazione di una fonte di FdI.

La questione, però, rimane. La premier Meloni continua a puntare a rimanere in equilibrio precario tra Ue e Usa, mentre il contesto internazionale è sempre più polarizzato. Il progressivo slittamento verso Trump è in corso, ma l’Italia non può permettersi strappi con la Commissione Ue con cui sta discutendo la delicata partita migratoria. Per questo l’attenzione sul video da mandare alla Conferenza è massima: quel che Meloni dirà sarà vivisezionato sia in America sia, soprattutto, in Europa. In ogni caso, il fatto di mettere la faccia sull’evento legherà Meloni agli umori di Trump.

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