Ennesimo smacco per il ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida. La legge che proibisce l’uso della carne coltivata e di denominazioni riferite alla carne (polpette, hamburger ecc.) per alimenti a base vegetale (meat sounding) era già stata “bocciata” dalla Commissione europea sul piano formale per violazione della procedura TRIS (Technical Regulations Information System). L’Italia aveva approvato la legge non rispettando il periodo di sospensione previsto dopo la notifica a Bruxelles.

Ora è la volta della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CgUe) che il 4 ottobre scorso, pronunciandosi su una legge francese analoga a quella italiana sul meat sounding, ha giudicato incompatibili con la disciplina dell’Unione le normative nazionali che proibiscono l’uso di denominazioni che richiamano carne per alimenti non fatti con la carne. Dunque, la legge voluta da Lollobrigida è illegittima anche sul piano sostanziale.

I fatti

Quattro associazioni francesi attive nel settore dei prodotti vegetali avevano chiesto al Consiglio di Stato francese l'annullamento del decreto che vietava il meat sounding per designare prodotti contenenti proteine vegetali e altre. Le associazioni ritenevano che esso contrastasse con il regolamento Ue n. 1169/20112, che stabilisce un sistema uniforme di regole per informare i consumatori sui prodotti alimentari.

Il Consiglio di Stato ha deciso il rinvio alla Corte di Giustizia Ue per alcune “questioni pregiudiziali” su tale regolamento.

Il “rinvio pregiudiziale” consente ai giudici degli stati membri, nell'ambito di una controversia di cui sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione. La pronuncia della Corte vincola non solo il giudice che ha sollevato la questione, ma anche altri giudici nazionali ai quali sia sottoposto un problema simile. Dunque, la decisione sulla legge francese si estende anche a quella italiana.

La sentenza

La Corte ha statuito che gli stati membri possano introdurre apposite denominazioni legali per determinati prodotti (come fatto dall’Italia, ad esempio, per panettone o prosciutto crudo), nel rispetto dei vincoli e della procedura definiti a livello europeo; ma, in mancanza di una denominazione legale, non possono impedire l’utilizzo di denominazioni “usuali” o “descrittive” attraverso divieti generali. Di conseguenza, non si può vietare l’uso di denominazioni provenienti dai settori della macelleria, della salumeria o della pescheria per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti contenenti proteine vegetali.

Per la CgUe, pure in caso di sostituzione totale dell’ingrediente principale che ci si può attendere di trovare in un alimento designato con una denominazione “usuale” o “descrittiva” – ad esempio la carne per prodotti definiti come hamburger o polpette – i consumatori sono comunque tutelati sufficientemente dalle dettagliate informazioni fornite sulle etichette secondo le modalità prescritte dal regolamento n. 1169/2011.

Nella sentenza, la Corte valuta pure obiezioni scritte avanzate dal governo italiano. Secondo quest’ultimo, nomi che richiamino carne o pesce non dovrebbero essere usati per designare prodotti vegetali esattamente come per questi ultimi non può utilizzarsi la denominazione «latte» e altre riservate unicamente ai «prodotti lattiero-caseari».

Secondo la Corte, tali obiezioni non hanno fondamento: al contrario di quanto avviene per il latte, il diritto dell’Unione non prevede che certi termini provenienti dai settori della macelleria, della salumeria e della pescheria siano usati solo per prodotti alimentari di origine animale. Né come affermato dal governo italiano, vietare l’uso di una certa definizione per un alimento che non contenga un determinato ingrediente significa introdurre una denominazione “legale” di quell’alimento.

L’ostinazione di Lollobrigida

Lo scorso anno, durante l’iter di approvazione della legge italiana che, come detto, proibiva non solo la carne coltivatadivieto inutile, essendo tale carne già vietata, in quanto mai autorizzata in sede europea – ma anche il meat sounding, avevamo rilevato molti profili di illegittimità. Bastava un’analisi preventiva della regolazione e una valutazione di compatibilità con il diritto Ue per ipotizzare l’esito che poi si è verificato.

All’epoca, ci eravamo permessi di suggerire al ministro Lollobrigida di aspettare la pronuncia della CgUe, attesa entro qualche mese, per evitare la retromarcia sulla legge sulle denominazioni relative alla carne. Come spesso accade, i nostri consigli sono rimasti inascoltati. Con una nuova figuraccia per il ministro e, soprattutto, per l’Italia.

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