Il disegno di legge sul made in Italy contiene una serie di misure e relativi finanziamenti che stentano a comporre un quadro organico della visione del governo. È chiaro, invece, il microcosmo di interessi da soddisfare, per averne un ritorno elettorale
Il disegno di legge (ddl) di iniziativa del governo sulla “valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy”, è stato approvato dalla Camera. «Un provvedimento cardine nella politica industriale del nostro paese», l’ha definito il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. La valutazione di alcune misure suggerirebbe maggiore cautela, come vedremo.
Una premessa. Un titolo connotato da un termine straniero – made in Italy – appare una scelta poco coerente per un ddl riguardante «le produzioni d’eccellenza, le bellezze storico artistiche e le radici culturali nazionali». Tanto più da parte di un governo il cui partito principale ha presentato una proposta di legge per “sacralizzare” la lingua italiana nella Costituzione e un’altra per la sua «tutela e promozione», rendendola obbligatoria nella pubblica amministrazione.
Il Fondo nazionale
Sarà costituito un Fondo nazionale a sostegno del made in Italy, per investire nel capitale di società per azioni, a condizione che abbiano «sede legale in Italia» e non operino nel «settore bancario, finanziario o assicurativo». Il fine è quello di stimolare la crescita e il consolidamento delle filiere strategiche nazionali.
Non sono indicati i criteri di scelta delle imprese in cui investire le esigue risorse del Fondo (700 milioni di euro per il 2023 e 300 per il 2024). Tale esiguità rispetto a fondi analoghi previsti in altri paesi renderanno difficile per l’Italia competere a livello globale. Peraltro, non si tratta di nuovi stanziamenti, ma del travaso di risorse da canali diversi.
Il nuovo Fondo si aggiungerà ad altri già esistenti (Fondo di coinvestimento, Fondo rilancio ecc.), con margini di sovrapposizione di cui il legislatore pare non curarsi.
Infine, basterà che una società abbia una sede legale in Italia per poter accedere al fondo, anche se le produzioni avvengono altrove. Con buona pace della vantata tutela dei prodotti nazionali.
Il liceo del made in Italy
Viene istituito il liceo del made in Italy, specificamente l’opzione made in Italy nel liceo delle scienze umane, «al fine di promuovere le conoscenze, le abilità e le competenze connesse al made in Italy». Si tratta di un percorso di studi dai contorni poco chiari, e che comunque avrebbe potuto essere realizzato integrando con alcune materie la già esistente opzione economico-sociale del medesimo liceo (opzione che invece scompare, confluendo nella nuova).
Invece, il governo ha voluto l’ulteriore indirizzo liceale, nel quale tuttavia ha deciso di non investire, con la clausola di invarianza finanziaria. Forse, più che al nuovo liceo, l’esecutivo teneva alla sua intitolazione: una bandierina nazionalista anche in ambito scolastico.
La Fondazione
È prevista una «Fondazione imprese e competenze per il made in Italy» – con un finanziamento iniziale di un milione di euro e poi di 500mila euro l’anno – che dovrà «promuovere il raccordo tra le imprese che rappresentano l’eccellenza del made in Italy e i licei del made in Italy», assegnare il premio di «maestro del made in Italy», curare l’«Esposizione nazionale permanente del made in Italy» e altro.
In sintesi, la fondazione avrà compiti di propaganda nazionalista dagli impatti molto dubbi. Indubbia è, invece, l’ostentazione che ne farà il governo e la creazione di nuove poltrone da assegnare nel nuovo ente. Ed è l’ultima cosa di cui si sentiva il bisogno, dato che a pagare sono i contribuenti.
I ristoranti italiani nel mondo
C’è poi la certificazione distintiva di «ristorante italiano nel mondo», rilasciata da un apposito ente su istanza di ristoratori all’estero, in base a un disciplinare. La misura intende contrastare «l’utilizzo speculativo dell’italian sounding», come il ddl dice espressamente, di nuovo con un termine straniero.
Non è chiaro come si riuscirà a verificare che i ristoranti rispettino davvero le regole stabilite per ottenere il marchio di italianità, nonché a controllare che essi continuino a rispettarle per tutta la durata della certificazione. Profili che su queste pagine avevamo rilevato appena fu avanzata l’idea.
Soldi a pioggia
Il ddl prevede poi un milione di euro all’anno per la transumanza, 3 milioni per la nautica da diporto, 25 milioni per la vivaistica forestale, le imprese boschive e l’industria del legno, e molto altro.
Una miriade di finanziamenti, come una miriade di tessere di un puzzle che dovrebbero comporre un “made in Italy” il cui disegno stenta ad apparire. Appare chiara, invece, una politica sovranista che si arrocca nel proprio microcosmo di interessi da soddisfare, in vista di un ritorno elettorale.
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