-
La carenza di personale e l’assenza di modalità telematiche per accedere ai servizi impediscono a centinaia di persone di regolarizzarsi per diversi mesi
-
Chi si reca presso la sede di corso Verona per fare richiesta di soggiorno o asilo attende svariati mesi per ricevere il primo appuntamento necessario per potersi ripresentare con i documenti richiesti, con gravi ripercussioni dal punto di vista psicologico
-
Secondo l’avvocata Elena Garelli, la questura di corso Verona stabilisce arbitrariamente requisiti di accesso agli uffici non richiesti per legge e in alcuni casi viola la legge sul procedimento amministrativo
Ogni mattina davanti all’ufficio immigrazione della questura di Torino si accalcano centinaia di persone richiedenti asilo e permesso di soggiorno. Sono uomini, donne e bambini in coda lungo la strada da prima dell’alba nel tentativo di entrare negli uffici di corso Verona 4. Arrivano soprattutto da Africa e Balcani e attendono mesi per ottenere un incontro con il personale della questura, ma il sistema amministrativo è al collasso.
«Cerco di accedere all’ufficio per il permesso di soggiorno da quando sono arrivato in Italia a ottobre, ma c’è sempre troppa gente», dice Dima, originario della Repubblica Democratica del Congo: «Sono stato in fila per ore tornando più volte, l’ultima lunedì dalle sei del mattino: quando sono riuscito ad arrivare all’ingresso mi è stato detto di tornare a fine febbraio perché il sistema è bloccato». In coda con lui c’è chi è in attesa di rinnovare il permesso, chi non sa cosa stia succedendo alla propria pratica e chi come Dima non riesce ad ottenere nemmeno il primo appuntamento necessario per potersi ripresentare con i documenti richiesti.
Respinti alla porta
In fondo alla fila, all’ingresso della questura di corso Verona, c’è un banchetto a cui staziona un poliziotto da cui devono passare tutti coloro che richiedono il permesso di soggiorno, senza possibilità di prenotarsi online. Dopo svariate ore, l’utente arriva al banchetto e l’incaricato gli assegna un ticket di accesso allo sportello, oppure gli chiede di tornare in un’altra data se i posti sono esauriti.
In alcuni casi, il poliziotto non consente l’ingresso ai richiedenti se non hanno con sé la documentazione completa. Ma secondo Elena Garelli, avvocata e socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, questo non accade sempre per le giuste ragioni: «Il poliziotto di turno decide se far accedere o meno chi è in coda in base a requisiti arbitrariamente stabiliti dalla questura, che però non sono richiesti per legge».
«Se l'incaricato all’ingresso ritiene che manchino dei requisiti alla pratica, lo comunica a voce, senza un rigetto scritto che possa essere eventualmente impugnato da un avvocato», aggiunge Garelli. «Dal momento che la documentazione del richiedente non viene acquisita come in una normale pubblica amministrazione, questo viola la legge sul procedimento amministrativo».
Ogni volta che la pubblica amministrazione rifiuta un procedimento amministrativo lo deve fare per iscritto e tramite preavviso ma questo, secondo l’avvocata, nella questura di corso Verona non avviene.
«La prima volta che sono riuscito ad arrivare all’ingresso non mi hanno fatto passare. Mi hanno chiesto di tornare con il contratto di locazione, ma io ero appena arrivato in Italia», spiega Dima, padre di una bambina italiana e ancora ufficialmente immigrato irregolare, nonostante la facoltà di ricevere il permesso di soggiorno per motivi familiari. «Succede spesso, si tratta di documenti che la questura non dovrebbe richiedere», spiega Garelli, «a volte chiedono la residenza senza considerare che molti di coloro che arrivano in Italia e sono senza permesso non hanno modo di iscriversi in anagrafe».
Un criterio mutevole
Nonostante un protocollo di intesa siglato a ottobre 2022 tra la questura e la città di Torino per migliorarne il funzionamento, la sede di corso Verona lamenta da tempo una forte carenza di personale ed evadere il sovraccarico di richieste risulta complicato. Soprattutto in assenza di servizi telematici adeguati per gli utenti. Così, per gestire l’afflusso di persone, il criterio di selezione cambia periodicamente: a volte viene dato accesso alle prime cento in coda, in altri casi a chi aspetta fino a mezzogiorno. Ma di queste modalità sul sito della questura non c’è traccia.
Il sistema non è molto diverso per i richiedenti asilo. Davanti all’ingresso, la ressa di persone che attendono di fare domanda come rifugiati è separata con una transenna dal personale della questura, che distribuisce gli appuntamenti a voce. Questa modalità va avanti da tempo, ma l’intasamento delle richieste lascia per mesi senza tutele e nell’irregolarità centinaia di persone che, secondo la normativa europea, dovrebbero invece ottenere la registrazione delle proprie domande di asilo entro sei giorni lavorativi.
La storia di Lev, attivista russo arrivato in Italia a giugno e in attesa di ricevere il permesso di asilo come rifugiato politico, non fa eccezione. «Sono andato in questura ogni mattina per mesi, volevo chiedere appuntamento ma venivo sempre rifiutato. Non volevo essere illegale, non volevo infrangere la legge italiana e non voglio chiamare questo sistema inumano, ma è vicino ad esserlo».
Nelle ore di coda tra estate e inverno, Lev ha iniziato ad avere attacchi di panico e a soffrire di disturbi psicologici: «Ripetere ogni giorno il proprio problema e sentire ogni giorno la frase “Vieni domani” è molto difficile emotivamente». Di recente, Lev ha ottenuto il primo incontro con la questura e ha iniziato a stare meglio. I tempi di attesa per ricevere il permesso effettivo restano di alcuni mesi, ma il peggio, almeno per lui, sembra passato.
© Riproduzione riservata