Leggi la prima puntata del racconto di Giovanni Tizian
Una banconota strappata. Una lettera del capo della polizia dell’epoca sul tentativo di insabbiare le prove sui finanziatori della strage di Bologna. Un interrogatorio monco che avrebbe potuto incastrare già molti anni fa Licio Gelli, il capo della loggia P2, uno dei possibili mandanti dell’attentato. Sono i nuovi elementi che permettono di fare un passo in avanti nel percorso di attribuzione delle responsabilità.
Della bomba nella sala d’aspetto della stazione di quarant’anni fa conosciamo gli esecutori materiali. Dopo tre gradi di giudizio sono stati condannati i vertici dei Nuclei armati rivoluzionari, i Nar, il gruppo di estrema destra che ha seminato terrore negli anni di piombo. Sono stati condannati Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini; in primo grado è stato condannato all’ergastolo anche Gilberto Cavallini, il quarto attentatore.

Conosciamo i responsabili dei depistaggi architettati per sviare le indagini dalla pista Nar: Licio Gelli, Francesco Pazienza, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte del Sismi, il servizio segreto militare. Entità esterne all’esercito della destra eversiva. Si tratta di una presenza costante nelle stragi italiane, parte della strategia della tensione che inizia con la bomba del 12 dicembre 1969 alla banca dell’Agricoltura in piazza Fontana, a Milano. Diciassette morti, depistaggi di stato, le prime impronte dei servizi segreti deviati.

Gladio e la banconota strappata

Si ritrovano tracce di gruppi esterni coinvolti nella strage di Bologna nella storia criminale di Cavallini, membro dei Nar. Il 12 settembre 1983 i carabinieri perquisiscono un covo del terrorista.

I militari trovano, tra le altre cose, una mezza banconota da mille lire con il numero di serie che termina con la cifra 63.

Il ritrovamento della banconota conduce a Gladio, l’organizzazione nata con l’operazione Stay Behind della Nato per proteggere l’occidente da un’eventuale invasione sovietica. Nel materiale investigativo raccolto su Gladio, infatti, c’è la risposta all’enigma della banconota tagliata recuperata nel rifugio del terrorista: tra gli atti delle inchieste sull’organizzazione c’è la foto di una mezza banconota da mille lire e il protocollo che spiega come utilizzarle.

Il numero di serie termina con la cifra 63, la stessa trovata nel covo di Cavallini.

A cosa servivano? Erano dei pass per accedere agli arsenali militari delle caserme del Friuli e ritirare armi o esplosivi. “Su queste coincidenze bisogna riflettere”, ha detto il presidente della corte d’assise Michele Leoni in una delle udienze del processo contro Cavallini, finito con la condanna dell’ex Nar.

La procura generale di Bologna prova a fornire risposte anche sul fornitore dell’esplosivo T4, per capire se c’entrano qualcosa gli arsenali di Gladio e se i servizi ne fossero a conoscenza.

La lettera al ministro

Licio Gelli, il capo della P2 , è stato il collegamento tra il potere ufficiale e quello sommerso. È partendo dalla bancarotta del banco Ambrosiano, l’istituto cattolico fondato da Roberto Calvi, che i magistrati attribuiscono il ruolo di finanziatore dell’attentato di Bologna a Gelli, condannato anche per il fallimento dell’istituto milanese guidato da Calvi, trovato morto a Londra nel 1982. Stesso destino di un suo fedelissimo pidduista, Umberto Ortolani.

Due storie, il crack del banco Ambrosiano e la strage di Bologna, che ora trovano un punto di contatto: il denaro. Drenato dalle casse della banca di Calvi, finito in conti cifrati svizzeri riconducibili a Gelli e Ortolani, e usato per finanziare l’eccidio del 2 agosto. L’ipotesi investigativa ha trovato riscontri in questi ultimi due anni di inchiesta della procura generale di Bologna.

Abbiamo già raccontato del contenuto del “documento Bologna”. Nella stessa informativa della guardia di finanza è allegata anche una lettera, classificata come “documento riservatissimo”. È stata ritrovata dai finanzieri che hanno condotto le verifiche sui flussi finanziari del cosiddetto “documento Bologna”, l’indizio che colloca Gelli nel ruolo di finanziatore.

I detective della finanza hanno trovato negli archivi la missiva indirizzata “all’on.le. Sign. Ministro” del 15 ottobre 1987 e firmata dall’allora capo della polizia Vincenzo Parisi.

“Ieri sera il direttore centrale della polizia di prevenzione ha ricevuto nel suo ufficio l’avvocato Fabio Dean”, si legge nell’appunto scritto da Parisi. Dean era il legale di Licio Gelli. “Dopo alcune considerazioni buttate qua e là, l’avvocato Dean ha fatto conoscere il reale intendimento dell’incontro: stigmatizzare il sistema persecutorio nei confronti di Gelli; definire ‘tragicamente ridicola’ l’imputazione per la strage di Bologna”.

Dean, poi, aggiunge: “Se la vicenda viene esasperata e lo costringono necessariamente a tirare fuori gli artigli, allora quei pochi che ha li tirerà fuori tutti”.

L’avvocato di Gelli, infine, prepara il terreno per il futuro interrogatorio che dovrà affrontare il capo della P2 con i giudici milanesi: “Tra i documenti sequestrati a Gelli nel 1982 vi sono degli appunti con notizie riservate che spetterà al Gelli avallare o meno, sulla base del come gli verranno poste le domande stesse”. Come dire: Gelli gradirebbe che futuro interrogatorio non si affrontassero questioni riguardanti appunti riservati, tra questi il “documento Bologna”.

 

L’interrogatorio e i silenzi

 

Nel rapporto investigativo dei detective sui finanziatori della strage si legge: “Nessuna domanda veniva fatta sull’intitolazione di questo documento, peraltro veniva mostrata all’indagato solo la parte interna del documento Bologna.

Sul significato di alcune abbreviazioni collegate a operazioni finanziarie, Gelli non forniva alcune spiegazione riservandosi di rispondere successivamente. Il documento Bologna non venne mai mandato ai giudici bolognesi che indagavano sulla strage”.

Tra le abbreviazioni connesse a flussi imponenti di denaro c’era anche “Zaf”. All’epoca il capo della P2 non rispose, colpito da amnesia. L’ultima inchiesta sui mandanti ha ricondotto il nome in codice “Zaf” a Federico Umberto D’Amato, a capo dell'ufficio affari riservati del ministero e pedina essenziale nello scacchiere del potere di Gelli e della P2.

“Zaf”, che secondo la procura generale è l’organizzatore della strage: il terminale dei soldi inviati dalla Svizzera da Gelli e usati per mettere a punto l’attentato con l’esplosivo militare, affidato ai neofascisti dei nuclei armati rivoluzionari.

 

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