La prima a sollevare la questione della riforma della legge sulla cittadinanza italiana è stata Livia Turco nel 1999. Poi tante discussioni, qualche votazione in Aula, ma nulla è cambiato
- La concessione della cittadinanza è regolamentata da una legge del 1992: da quasi vent’anni rimane nel limbo dei cambiamenti, sempre rinviati. Il centrosinistra ci ha provato dall’opposizione, durante il terzo governo Berlusconi
- Nel 2006 il tema è tornato d’attualità quando Romano Prodi era presidente del Consiglio. Si puntava allo ius soli per i figli nati in Italia da genitori stranieri, residenti nel paese da almeno cinque anni. Ma non se ne è fatto nulla.
- Il tentativo più recente sembrava destinato ad arrivare a compimento, ma si è arenato alla Camera nel 2015, durante il governo Renzi. Tre proposte di riforma hanno recuperato il tema, ma sono ancora ferme in commissione.
Da quasi vent’anni la riforma della cittadinanza, regolamentata da una legge del 1992, rimane nel limbo dei cambiamenti sempre rinviati a data da destinarsi. Torna nel dibattito a intervalli regolari e viene abbandonata come materiale politicamente radioattivo. Una storia iniziata nel 1999 con Livia Turco, all’epoca ministra per la Solidarietà del governo Amato. Da un seminario organizzato dal suo dicastero, ha raccontato in un articolo del 2017 sul Dubbio, è nata «la prima proposta di riforma della cittadinanza», depositata in parlamento nell’agosto del 2001 con Luciano Violante. Ma come detto dall’ex ministra dei Democratici di sinistra, «la legge non ebbe neanche la dignità di una discussione».
Il Berlusconi III
Il centrosinistra ci ha riprovato, dall’opposizione, nel corso della XIV legislatura. Al ministero dell’Interno c’era Giuseppe Pisanu, a palazzo Chigi Silvio Berlusconi, alleato con la Lega nord “dura e pura” di Umberto Bossi. Il 16 maggio 2005 l’aula di Montecitorio esamina per la prima volta un testo unificato che contiene l’introduzione di una forma temperata di ius soli e, parallelamente, la modifica delle norme per l’acquisizione della cittadinanza con il matrimonio. Il progetto di legge, spiega la relatrice di Forza Italia, Isabella Bartolini, prevede la cittadinanza per chi è «nato in Italia da genitori stranieri residenti legalmente e continuativamente in Italia da almeno otto anni». L’articolato nasce da più proposte di legge presentate da Ulivo, Democratici di sinistra, Margherita e altri gruppi di area centrosinistra, modificate in maniera significativa dal centrodestra. Prima di arrivare in aula, in commissione Affari costituzionali, l’unico gruppo a votare esplicitamente contro è la Lega nord, con il deputato Pietro Fontanini. Il 17 maggio 2005 la Camera vota per rimandare il progetto di legge in commissione, su richiesta del governo. Non se ne saprà più nulla.
Nella stessa legislatura un altro tentativo prende addirittura la forma di una proposta di legge costituzionale a prima firma di Gianclaudio Bressa, allora deputato dell’Ulivo, oggi senatore nel gruppo dell’Autonomie. Il testo chiede la modifica dell’articolo 48 della Costituzione aggiungendo al primo comma la frase «sono cittadini coloro i quali partecipano effettivamente alla vita economica, sociale e politica del paese e soddisfano i requisiti stabiliti dalla legge». Entrambi i testi del 2005 vengono archiviati con la fine della legislatura, l’11 febbraio 2006. «Non si trovò il consenso per una riforma del genere, che tocca nel profondo le differenze fra culture politiche», commenta oggi il senatore Bressa.
Il governo Prodi
Il tema torna al centro dell’agenda politica nel 2006, con Romano Prodi a palazzo Chigi. L’iniziativa, in questo caso, è governativa. Fra il 2007 e il 2008 il parlamento lavora su un disegno di legge basato in buona parte sulla proposta dell’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato. Si prevedeva l’introduzione dello ius soli per i figli nati in Italia da genitori stranieri residenti nel paese da almeno cinque anni al momento della nascita e in possesso di certi requisiti di reddito; e la cittadinanza per gli stranieri di terza generazione, nati da genitori stranieri di cui almeno uno nato in Italia e residente nel paese legalmente alla nascita del figlio. Nonostante l’intenzione politica, complice la fine anticipata della legislatura, anche in questo caso non si è mai arrivati all’approvazione.
Il destino avverso dello ius soli ha continuato a replicarsi con un copione simile anche dal 2008 al 2013, gli anni in cui dopo l’ultimo governo Berlusconi, è arrivato l’esecutivo tecnico di Mario Monti. Nel 2009 si ricomincia dalla commissione Affari costituzionali di Montecitorio e si arriva a una promettente sintesi politica: i relatori Andrea Sarubbi del Pd e Fabio Granata del Pdl, si fanno promotori di un testo bipartisan firmato da cinquanta deputati appartenenti a Popolo delle libertà, Partito democratico, Unione di centro e Italia dei valori. Anche questo progetto, però, naufraga: il 12 gennaio 2010 l’aula della Camera rinvia in commissione il testo, e lì rimane per motivi di evidente convenienza politica. Infatti il 28-29 marzo 2010 tredici regioni sarebbero andate al voto. La questione torna anche durante il governo Monti, a giugno 2012, ma la commissione chiamata a occuparsene non formula nemmeno un testo base.
Da Letta a Gentiloni
Il tentativo più recente è anche quello che più si è avvicinato all’approvazione, dopo aver attraversato tre governi di centrosinistra dal 2013 al 2018 (Letta, Renzi e Gentiloni). Nel giugno del 2013 la commissione Affari costituzionali ha avviato i lavori per una nuova legge sulla cittadinanza, a partire dall’esame di venticinque proposte diverse. Novità significativa: il testo di partenza era quello di una legge di iniziativa popolare presentata nel 2012 e frutto dal progetto L’Italia sono anch’io.
La nuova legge avrebbe introdotto due nuovi percorsi per l’acquisizione della cittadinanza, modulati sulle ipotesi degli anni precedenti. Il primo, lo ius soli temperato, avrebbe permesso a un bambino nato in Italia di diventare automaticamente italiano nel caso in cui almeno uno dei genitori fosse legalmente nel paese da almeno 5 anni. Gli stranieri non provenienti dall’Unione europea, in più, avrebbero dovuto superare un test di conoscenza della lingua italiana e dimostrare di avere un alloggio e un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale. La seconda strada per la cittadinanza sarebbe stata quella dello ius culturae: i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni avrebbero potuto chiedere la cittadinanza dopo il completamento di almeno un ciclo scolastico (elementari o medie).
La proposta di riforma è stata approvata dalla Camera nel 2015, durante il governo di Matteo Renzi. Contrari la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Astenuti i Cinque stelle. Sembrava un ottimo avvio, invece la legge è sparita per due anni, fino al 2017, quando è diventata l’ultima infiammata polemica della legislatura e ha finito il suo percorso nell’aula semivuota del Senato, il 23 dicembre 2017, con la mancanza del numero legale necessario a rendere valida la seduta. Assenti tutti e 35 i senatori del Movimento 5 stelle, quelli del centrodestra e 29 senatori del Pd su 89. Tre proposte di legge del 2018, di cui una a prima firma Laura Boldrini, hanno recuperato il tema della riforma della cittadinanza anche in questa legislatura. Per ora sono ferme in commissione. In attesa del momento giusto.
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