Si stanno susseguendo una serie di rapidi interventi per risolvere il problema migratorio. E mentre a Roma il governo estende l’uso dei Cpr, le riforme europee rischiano il rinvio
Gli interventi in tema di immigrazione si stanno susseguendo in maniera molto rapida, ma quanto sta cambiando la situazione? Per capirlo può essere utile ricapitolare quanto accaduto negli ultimi giorni e spiegarne gli elementi essenziali, per comporre il quadro d’insieme.
Stallo in Ue
Il parlamento europeo ha sospeso il negoziato sul testo per il database europeo per le richieste d’asilo e sullo screening. Si tratta di una mossa per indurre il Consiglio Ue a superare lo stallo sul regolamento in tema di crisi migratorie, cioè di situazioni di afflusso massiccio. Il regolamento prevede che spetti alla Commissione il potere di decretare lo stato di crisi, avviando misure obbligatorie di solidarietà come il ricollocamento delle persone o, in alternativa, il versamento di fondi.
Ma Polonia e Ungheria – contrarie al conferimento alla Commissione di tale potere – ostacolano il raggiungimento di una posizione comune da parte del Consiglio. Il parlamento europeo aveva adottato il mandato negoziale sul regolamento in questione già lo scorso aprile. Si attendeva l’adozione di quello del Consiglio, per poi iniziare la fase dei triloghi e raggiungere un accordo tra parlamento e Consiglio sull’atto finale. Il rischio ora è che la riforma non sia approvata prima delle elezioni europee di giugno, quando gli equilibri politici potrebbero cambiare.
L’accordo con la Tunisia, sottoscritto nel luglio scorso dal presidente tunisino, Kais Saied, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è stato contestato da alcuni stati membri, con il blocco dei fondi previsti. La spiegazione si trova nella normativa dell’Ue, che definisce la ripartizione delle competenze fra le istituzioni dell’Unione. L’accordo con un paese terzo necessita della preventiva valutazione di idoneità agli interessi dell’Unione, che il Trattato dell’Ue attribuisce al Consiglio. Quest’ultimo ha, infatti, il compito di elaborare l’azione esterna dell’Unione, mentre alla Commissione spetta l’adozione delle iniziative idonee ad attuare tale azione.
Decisioni assunte in violazione di queste regole possono essere annullate. A ciò va aggiunto che l’ombudsman europeo – organismo indipendente di garanzia sul buon funzionamento delle istituzioni dell’Ue – ha chiesto a von der Leyen di fornire risposte su «come l’esecutivo Ue intenda garantire il rispetto dei diritti umani nelle azioni legate alla migrazione» in Tunisia.
Alcuni commentatori obiettano che alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan furono dati diversi miliardi per contenere i flussi migratori dalla Siria, mentre per la Tunisia si accampano problemi procedurali per poche centinaia di milioni. Va, tuttavia, ricordato che l’accordo con Erdogan, a differenza di quello con Saied, fu preventivamente approvato dal Consiglio. Ora si tenterà di rimediare. La questione è rimandata al Consiglio Affari interni del prossimo 28 settembre a Bruxelles, ove la Commissione svolgerà un’informativa.
La norma sui Cpr
A margine delle nuove norme in materia di Cpr, centri per il rimpatrio, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha affermato che vi sarà trattenuto chiunque arrivi in Italia illegalmente.
Non è proprio così. Il trattenimento è previsto per i cittadini stranieri in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione, dando priorità a chi sia considerato una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica o sia stato condannato, anche con sentenza non definitiva, per gravi reati, nonché a chi non abbia diritto a protezione e provenga da paesi con i quali ci siano accordi di rimpatrio. Inoltre, la legge di conversione del decreto Cutro ha esteso il trattenimento nei Cpr a chi fa domanda di asilo alla frontiera, se proviene da un paese di origine sicuro, nei limiti dei posti disponibili.
Per giustificare l’ampliamento a 18 mesi del termine di trattenimento nei Cpr, Meloni ha detto che si tratta del limite massimo «consentito dalla normativa europea». Si tratta di una forzatura. La direttiva sui rimpatri consente il trattenimento in un Cpr per un periodo massimo di 6 mesi, prorogabile fino a un massimo di 18 mesi solo in ipotesi particolari, quindi non sempre, come dice Meloni. Invece, quando risulta che non esiste «alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi (…) il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata».
In questo caso può rientrare, ad esempio, l’impossibilità di accordo di rimpatrio con i paesi d’origine, come accade in molti casi. Va poi citato il decreto del ministero dell’Interno sulla garanzia finanziaria che i richiedenti asilo possono versare per evitare di restare nei Cpr. La disposizione, che merita uno specifico approfondimento, appare in contrasto con la normativa europea, che ipotizza tale garanzia solo in casi particolari, previo esame individuale delle diverse situazioni, e non in maniera generalizzata e senza condizioni come fa invece il recente decreto. Distorcere norme europee per legittimare forzature giuridiche nazionali non dà buoni risultati.
La sentenza della Corte Ue
Con una recente sentenza, la Corte di Giustizia dell’Ue ha bocciato i respingimenti dei migranti da parte delle autorità francesi ai confini interni. Per i giudici, quando migranti irregolari eludano la registrazione nello stato membro di primo ingresso, come previsto dal regolamento di Dublino, e attraversino il confine arrivando in un altro stato membro, è illegittimo rimandarli al di là delle frontiere appena attraversate in base a un controllo sommario.
Dev’essere, invece, applicata la direttiva Ue sui rimpatri, esaminando la loro situazione e poi semmai dando loro «un certo termine per lasciare volontariamente il territorio. L’allontanamento forzato avviene solo in ultima istanza». A seguito di questa sentenza gli stati di primo ingresso potrebbero essere indotti a perseverare nella pratica, già in uso, di non esercitare rigorosi controlli e lasciare che i migranti in entrata superino le frontiere per andare altrove. Il “varco” che già esiste, rischia così di ampliarsi, creando ulteriori tensioni in Europa.
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