Con i gavettoni dei ragazzi che hanno festeggiato la fine della scuola, nelle scorse settimane è iniziato ufficialmente il loro lunghissimo e problematico periodo di tre mesi di vacanza. “Lunghissimo” perché in effetti ha poche analogie con gli altri stati in Europa, dove solitamente le sospensioni della didattica sono distribuite in vari momenti durante l’anno.

“Problematico” soprattutto perché è spesso sulle spalle delle famiglie, che devono affidare i figli a costosi centri estivi. I prezzi sono addirittura aumentati quest’anno, come ha dimostrato un’indagine promossa da Adoc. È un problema che riguarda 5,6 milioni di bambini di età compresa fra i cinque e i 14 anni e 3,5 milioni di famiglie alle prese con la chiusura delle scuole.

Anche per questo, una petizione online che richiede la riformulazione del calendario scolastico ha raccolto quasi 60mila firme. La richiesta è di «ascoltare la voce delle famiglie» e di «rimodulare il calendario scolastico italiano».

Disuguaglianze

Il punto di partenza è sempre e comunque il fatto che non esiste un allineamento fra le vacanze dei figli e quelle dei genitori, visto che il calendario scolastico è storicamente costruito seguendo il ciclo del grano, quando l’Italia era una realtà contadina e le donne avevano l’unico compito di stare a casa a badare ai figli. Oggi che le cose sono cambiate, quale datore di lavoro concederebbe mai tre mesi di ferie a un suo dipendente? A chi spetta questo lavoro di cura mentre le scuole restano chiuse?

È ovvio che non ci possa essere una coincidenza totale fra quello che capita ad alunni e lavoratori. Ma il problema di una differenza così abissale sta nel fatto che comunque bambini e ragazzi devono trovare un posto dove stare. E non tutti hanno la fortuna di avere i nonni a disposizione. Il risultato pratico è che il calendario scolastico italiano è ancora oggi un incredibile generatore di disuguaglianze.

Il «piano estate»

Un primo passo è stato fatto la scorsa primavera con uno stanziamento di 400 milioni di euro, voluto dal ministero dell’Istruzione guidato da Giuseppe Valditara. L’obiettivo è proprio quello di garantire attività di inclusione, socialità e potenziamento delle competenze per il periodo di sospensione estiva delle lezioni.

Ma il cosiddetto «piano estate», che distribuisce i fondi su due anni e che aumenta di 80 milioni di euro lo stanziamento fatto per il biennio precedente, difficilmente sarà risolutivo e rischia di essere il cosiddetto provvedimento di facciata. Anche perché l’adesione dei singoli insegnanti e degli istituti era facoltativa e non pare che abbia suscitato troppo entusiasmo.

Per le scuole è infatti difficile riuscire a rispondere a una richiesta così generalizzata che avrebbe bisogno anche di finanziamenti più ingenti, per permettere agli istituti di attingere a nuovo personale e per ristrutturare le aule scolastiche con un impianto di climatizzazione. O almeno questa è la principale obiezione che arriva da dirigenti scolastici e insegnanti.

Gli altri

Studenti giocano a farsi i gavettoni d'acqua a villa Borghese per festeggiare la fine delle lezioni a Roma (foto Ansa)

Per questo c’è chi vorrebbe un cambiamento più radicale: una rivoluzione del calendario scolastico che ristrutturi la scuola italiana così come è stata concepita finora. Il modello non è neppure tanto difficile da trovare, basta guardare a quello che succede nel resto dell’Europa.

Secondo i dati diffusi da Eurydice, l’organizzazione dell’Unione europea che si occupa di informazione sull’istruzione, l’Italia ha il record di durata delle vacanze estive, insieme a Lettonia e Malta. In Danimarca, in alcuni Länder della Germania, in Francia, nei Paesi Bassi, in alcuni cantoni della Svizzera, nel Liechtenstein e in Norvegia la pausa estiva dura meno di otto settimane.

Nell’insieme non significa che in Italia si passino meno giornate a scuola: semplicemente sono tutte concentrate nelle altre stagioni, per lasciare un lungo respiro che dura tutta l’estate, mentre altrove le vacanze sono distribuite più o meno equamente nel corso dell’anno.

La petizione

Francesca Fiore è la fondatrice di “mammadimerda”, un blog e una pagina Instagram (da 214mila follower) sulla maternità e le sue difficoltà, gestito in coppia con Sarah Malnerich. Sono loro che hanno lanciato la petizione per “un nuovo tempo scuola”.

«È un argomento di cui abbiamo iniziato a parlare qualche anno fa», spiega Fiore. «Durante il Covid le scuole erano rimaste chiuse in inverno e c’era stata la proposta di recuperare durante l’estate un po’ del tempo perso, anche perché sarebbe stato un modo per contrastare il virus».

«Da lì ho iniziato a interessarmi all’argomento e ho scoperto che il calendario scolastico segue ancora la logica del ciclo del grano», dice Fiore. «Con l’ong weWorld abbiamo elaborato una proposta concreta per cambiare le cose e abbiamo lanciato una raccolta firme». Ad oggi, metà giugno, hanno aderito in più di 57mila.

Scuole aperte

Ma da dove nasce questa esigenza? «Innanzitutto dall’esperienza con i bambini e ragazzini delle elementari e delle medie», spiega Fiore. «Chi non può frequentare i campi estivi ha un’enorme perdita di competenze, soprattutto i più fragili. C’è un gap importante fra chi ha ricevuto un’istruzione anche durante l’estate e chi invece è stato parcheggiato sul divano».

«Ma il nostro progetto è più ambizioso», dice. «Chiediamo che le scuole non chiudano mai, neanche quando è sospesa l’attività didattica. Dovrebbero essere sempre predisposte all’accoglienza, con attività erogate dal terzo settore per chi non può permettersi di rivolgersi altrove. Alle scuole medie dovrebbe essere sempre garantito anche il “tempo pieno”, possibilità che oggi è garantita a macchia di leopardo e che è una rarità soprattutto al sud».

«Stiamo seguendo ancora il retaggio di un’Italia che non c’è più, di quando le donne dovevano fare le casalinghe e prendersi cura dei figli quando non erano a scuola. Ora non è più così: è lo Stato che deve farsi carico del sostegno delle famiglie. Altrimenti avere figli sarà solo un lusso».

I costi

Il fattore economico è in effetti quello che fa la differenza. Chi può permettersi vacanze studio o centri estivi non ha troppi problemi.

L’associazione difesa e orientamento dei consumatori (Adoc), attraverso il suo istituto di ricerche economiche e sociali (Eures), è andata a guardare quanto si può spendere per queste attività. «Se negli anni questo tipo di servizio è diventato sempre più vasto e differenziato», spiegano, «i costi risultano in continuo aumento, costituendo un serio problema per le famiglie, specialmente con più figli».

Anche se il dibattito si ripresenta ogni anno, e anche se il governo avrebbe fra le sue priorità proprio il sostegno alla genitorialità, «nessun intervento concreto sembra essere all’ordine del giorno per venire incontro alle famiglie», spiegano dall’associazione. «L’Italia si conferma uno dei pochi paesi europei dove le scuole “vanno in vacanza” per tre mesi pieni senza che vi siano politiche pubbliche idonee a gestirne gli effetti, demandando alle sole famiglie l’intero onere che necessariamente ne deriva».

L’analisi ha preso in considerazione 80 centri estivi di cinque città del nord (Milano e Bologna), del centro (Roma) e del sud (Napoli e Bari). Il costo medio settimanale è stato di 154,30 euro, per un figlio che debba frequentare il centro estivo a tempo pieno. I prezzi sono aumentati del 9,8 per cento rispetto a un anno fa, molto di più anche rispetto all’inflazione.

Se si considera che il periodo di chiusura delle scuole è di circa 12 settimane, anche supponendo che un mese possa essere coperto dai due genitori che si prendono le ferie sfasate, il costo medio è comunque di 1.200 euro per 8 settimane e mille per sei settimane. «I costi quasi raddoppiano per un eventuale secondo figlio», spiega Adoc. «Lo sconto medio per i fratelli, qualora applicato (nel 46 per cento dei casi non è previsto), raramente supera il 10 per cento».

Significa che per ogni figlio bisogna aggiungere circa 1.148 euro (tenendo conto della riduzione media del 7 per cento applicata sul secondo figlio), arrivando a 2.382 euro di spesa totale per una famiglia italiana con due figli. Ovvero, circa una volta e mezzo rispetto a una retribuzione media.

La richiesta di Francesca Fiore – forte di quasi 60mila firme – è che venga aperto un tavolo per discutere di tutto questo e per trovare una soluzione che sia il più possibile condivisa: «Il punto è questo: c’è la volontà di cambiare? O vogliamo andare avanti così, perché così si è sempre fatto? Noi non ci fermeremo, la nostra campagna non è finita con la raccolta firme».

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