Sono sempre più insistenti le voci della nascita di un partito dell’europarlamentare leghista. Le esperienze del passato insegnano che, dal 2013 in poi, fondare un partito è un azzardo
Tra una smentita, un «vedremo» e una dichiarazione sui «tratti somatici» non italiani della pallavolista Paola Egonu, il generale Roberto Vannacci sembra davvero avviato verso la costituzione di un suo movimento autonomo. Tempistiche non ce ne sono e per ora l’eurodeputato eletto con il partito di Matteo Salvini continua a smentire formalmente, mentre a tenere le redini della fase costituente è il braccio destro ed ex militare Fabio Filomeni, animatore del comitato “Il mondo al contrario” che ha chiamato a raccolta i «camerati» prima per un evento a Viterbo il 19 e 20 settembre e poi per il tesseramento, parlando di «nuova avventura politica». Repubblica, poi, ha rivelato che esiste già un partito dal nome Europa sovrana e indipendente, con uno statuto e un regolamento in tutto simili a quelli del comitato di Filomeni.
Dunque il contenitore c’è, la volontà politica anche: mancano solo i militanti e forse Vannacci è proprio in attesa di capire su che forze potrà contare il nuovo partito. Del resto, la tradizione dei partiti personali in Italia non è certo delle più rosee, dal 1994 in avanti.
L’esperienza Di Pietro
L’esempio più longevo è certamente quello dell’Italia dei Valori, fondata da Antonio di Pietro nel 1998 e durata fino al 2013. Un’era politica fa rispetto ad oggi: esisteva ancora il finanziamento pubblico ai partiti abolito proprio nel 2013 e, al momento della fondazione, Di Pietro era il magistrato più famoso d’Italia, che aveva lasciato la toga di pm proprio all’acme sia della sua fama che dell’inchiesta di Mani pulite.
Di fatto, quella di Di Pietro, è e rimane l’unica esperienza di partito personale che ha avuto una rilevanza politica pur rimanendo elettoralmente a singola cifra (ha superato il 4 per cento solo alle politiche del 2008 e toccato il 7 per cento alle europee dell’anno successivo). Paragonabile e di maggior successo c’è solo il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, ma il fondatore si è tenuto ben lontano dalle elezioni, prestando il volto ma non la propria persona per guidare il movimento.
Gli altri
Negli anni successivi, sono state molte le esperienze che hanno tentato di ripetere la formula. Proprio da una costola dell’Italia dei Valori è nata Rivoluzione Civile dell’ex magistrato della Trattativa stato-mafia Antonio Ingroia, nata nel 2012 e morta l’anno successivo dopo un deludente risultato alle politiche.
Numerosi sono stati anche gli esperimenti a sinistra, in particolare grazie all’eclettismo di Marco Rizzo, che oggi guida la lista Italia Sovrana e Popolare. Prima, però, c’è stata Possibile di Pippo Civati, Liberi e Uguali fondata intorno all’ex presidente del Senato ed ex magistrato Piero Grasso, oggi confluita in Alleanza Verdi e Sinistra. Tutte, però, con scarsi risultati elettorali.
È il centro che conta il maggior numero di tentativi: ha cominciato nel 2013 l’ex presidente del consiglio Mario Monti con la sua Scelta civica, che si è poi sciolta nel 2018 in seguito all’insuccesso elettorale delle politiche.
Anche il Pd ha gemmato due partiti personali, entrambi guidati da illustri fuoriusciti che hanno scelto di fondarne uno nuovo e di collocarlo al centro: Matteo Renzi con Italia Viva e Carlo Calenda con Azione. Anche in questo caso, però, i risultati elettorali hanno stentato ad arrivare e i due partiti sono arrivati al 7 per cento solo alleandosi alle politiche.
Anche a destra i tentativi di partito personale non sono mancati. Il primo a tentare la mossa è stato Gianfranco Fini, ex leader di Alleanza nazionale che ne aveva accettato lo scioglimento nel Popolo delle Libertà ma che poi, dopo la plateale rottura con Silvio Berlusconi, nel 2011 fonda Futuro e Libertà. L’esperienza, però, dura pochissimo: nel 2013 confluisce nella coalizione elettorale a sostegno di Mario Monti ma ottiene meno dell’1 per cento.
Empiricamente, però, tutti questi esperimenti hanno fatto emergere un dato quasi incontrovertibile: dopo la prima riforma del finanziamento pubblico ai partiti del governo Monti del 2012 e poi con la sua completa abolizione nel 2013 con il governo Letta, il successo di nuovi partiti politici autonomi basati su figure carismatiche è quasi impossibile, per quanto sia momentaneamente noto l’animatore.
La legge elettorale
Sulla questione economica certamente anche Vannacci ha riflettuto: come ha avuto modo di toccare con mano alle Europee, le campagne elettorali costano e la sua è stata più economica solo grazie alle presentazioni del suo libro e alla ramificazione territoriale della Lega. Tuttavia – anche ammesso che il generale voglia spendere del proprio – i milioni guadagnati con Il mondo al contrario rischiano di essere troppo pochi per strutturare un partito.
In vista di questa possibile evoluzione, Salvini ha il tempo di correre ai ripari: in ottobre il governo dovrebbe presentare la bozza di legge elettorale da correlare alla riforma del premierato. Quella potrà essere la sede per alzare la soglia di sbarramento, che oggi è all’1 per cento per i partiti in coalizione e al 3 per chi corre da solo. Qualche mese fa, un partito Vannacci era stimato dai sondaggi proprio tra il 2 e il 3 per cento e gli oltre 500mila voti presi con la Lega lo confermerebbero.
Basterà allora alzare, anche solo di un punto, la soglia di sbarramento per assicurarsi l’esclusione di un competitor che, per la sua collocazione a destra, sarebbe un disturbo anche per Giorgia Meloni. Prendendo i proverbiali due piccioni con una fava: sono soprattutto i partiti del centrosinistra a doversi confrontare con la soglia, rischiando di rimanere fuori dal parlamento. Azione, Italia Viva e Più Europa, infatti, si aggirano tutte tra il 2 e il 3 per cento.
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