Chili di monete d'oro e d'argento, medaglioni nascosti negli armadi, 600 mila euro in contanti, di cui poco meno della metà conservati in una vecchia scatole delle scarpe. Quando sono entrati a casa di Fabrizio Tirabassi, l'economo della Segreteria di Stato indagato per corruzione nello scandalo finanziario che sta terremotando la Santa Sede, gli uomini della Guardia di Finanza e della Gendarmeria vaticana si sono trovati davanti a un tesoro milionario.

La perquisizione è stata ordinata dieci giorni fa dai pm di papa Francesco, che hanno chiesto collaborazione alla procura di Roma per sequestrare documenti e pc. Ma perquisendo Tirabassi e i magazzini del padre, la sorpresa è stata grande: al posto dei device elettronici, gli inquirenti hanno trovato una montagna di monete e denaro. Solo venerdì sera, dopo dieci giorni di lavoro, gli investigatori sono riusciti a fare una prima stima dei preziosi: oltre due milioni di euro (in Vaticano sono state usate le bilance per fare un calcolo a spanne), a cui vanno sommate le banconote conservate in mazzi.

Ricchezze misteriose

L'origine delle monete e dei medaglioni deve ancora essere accertata: il padre di Tirabassi, oggi novantenne, gestiva infatti un negozietto di filatelia e numismatica a Borgo di Santo Spirito, a pochi passi da Piazza San Pietro. Dunque gran parte delle monete d'argento – trovate in un magazzino della famiglia a Celano, paesino abruzzese di cui è originaria la famiglia dell'economo - potrebbero essere rimanenze della bottega, e detenute in maniera legittima.

I dubbi degli inquirenti riguardano soprattutto le medaglie e monete d'oro, cioè quelle di maggior valore, che sono state trovate nella casa romana dell'ex dipendente del cardinale Angelo Becciu e del Sostituto Edgar Peña Parra. I gendarmi vogliono capire la provenienza di ogni singolo pezzo, in modo da escludere siano state prese da collezioni coniate apposta per la Segreteria di Stato.

Non solo. Se in una scatola di un armadio di Tirabassi al posto delle sneaker sono stati trovati circa 200 mila euro, nel magazzino dell'anziano padre in una cesta di plastica la Finanza e i gendarmi ne ha trovati altri 400mila. Durante le perquisizioni i Tirabassi avrebbero spiegato ai militari che le somme erano frutto di risparmi personali, soldi messi da parte nel corso del tempo.

L'inchiesta punta ora a capire se siano invece frutto di reato. Gli inquirenti del pontefice stanno cercando la pistola fumante delle loro tesi, in cui si ipotizza che alcuni prelati e impiegati laici abbiano ottenuto da altri soggetti incriminati (in primis Raffaele Mincione, il raider Gianluigi Torzi e l'ex banchiere di Credit Suisse Enrico Crasso) denaro o altre utilità in cambio di favori nella compravendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra. Una speculazione immobiliare che ha creato un buco nei conti della Segreteria di Stato da oltre cento milioni di euro.

Tirabassi è considerato dai promotori di Giustizia Alessandro Diddi e Gian Piero Milano una sorta di quinta colonna interna, colui che avrebbe aperto il pollaio alle volpi. È l'economo, si legge nei documenti dell'accusa, che ha seguito sin dalla costituzione il fondo lussemburghese Athena Capital Global di Mincione: «Egli ha partecipato alle trattative per il finanziamento dell'investimento in Angola; sempre Tirabassi, dopo l'abbandono di questa iniziativa, è colui il quale il 9 luglio 2014 ha espresso un parere, che si è rivelato decisivo, nella successiva determinazione della Segreteria di Stato di utilizzare le risorse nell'operazione di Londra».

In una rogatoria di un anno fa, i pm ricordano che l'economo fu anche co-regista dell' “Operazione “Gutt”, la società lussemburghese di Torzi che nel novembre del 2018 prese il posto di Mincione nella gestione dell'immobile. «Ha fornito il suo contributo alla realizzazione dell'operazione, che si è conclusa con un esborso di 15 milioni di euro (a favore di Torzi, ndr) senza alcuna plausibile giustificazione economica».

Presunte mazzette

I sospetti su presunti do ut des sono ancora da provare. I promotori segnalano, come «circostanza importante», che Tirabassi abbia un conto allo Ior «mai movimentato», e ricordano che «nel novembre 2015 egli avrebbe aderito alla voluntary disclosure per cifre superiori al milione di euro» detenute all'estero. Infine una fonte segreta, denominata “Alfa” dagli inquirenti, ha affermato a verbale – pubblicato da Domani la scorsa settimana – di aver saputo che Mincione avrebbe girato alcune ricche commissioni a una società «avente sede a Dubai, e che poi questa provvedeva a suddividerle tra Crasso e Tirabassi». Presunte mazzette che il finanziere ha subito smentito con vigore.

Ora il nuovo colpo di scena, e la scoperta del tesoro nascosto. Ma è ancora presto per affermare senza ragionevoli dubbi che le monete d'oro e le banconote sono frutto di reati, né possiamo sapere se le ricchezze nascoste negli armadi dei Tirabassi siano legate o meno alla vicenda di Londra. Per capirlo, bisognerà aspettare: l'inchiesta promette nuove puntate.

 

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