Dal palco dell’Anci, Giorgia Meloni si è chiesta: «Abbiamo commesso errori? Non c’è dubbio». Parlando poi di una politica che deve osare, altrimenti «non è vera politica». Mai riflessione è stata più accurata, visti i molti nodi da sciogliere con gli alleati: primo tra tutti la successione di Luca Zaia in Veneto.

Nonostante – o forse proprio per questo – il tracollo elettorale in Emilia-Romagna e in Umbria, Matteo Salvini continua a parlare di un terzo mandato per presidente uscente. E ha ribadito che «proporremo che continui a essere la Lega a guidare la regione», aggiungendo di non capire il perché del limite ai mandati: «I parlamentari e i ministri non lo hanno».

Del resto, persa l’Umbria, la Lega ormai è solo confinata al nord e perdere la guida della sua regione simbolo, dopo lo smantellamento della riforma dell’autonomia, sarebbe come suonare il de profundis alla parabola politica del segretario leghista. Salvini sa che per mantenere la guida del partito, in questo momento non può non ascoltare i presidenti del nord, che gli chiedono maggiore impegno sui loro territori e di non cedere terreno alla voracità di FdI.

Nel partito sta addirittura crescendo la fronda degli intransigenti, che, qualora FdI si ostinasse a reclamare la candidatura, valuterebbe la possibilità di correre da soli in Veneto. La premier sa che sarà un inevitabile braccio di ferro, perché anche il suo partito scalpita. Fratelli d’Italia, che non guida nessuna delle regioni settentrionali, nel regno di Zaia ha ormai una delle sua casseforti elettorali più ricche: alle europee ha raccolto il 37 per cento a fronte di una Lega in caduta libera di consensi, se non fosse per le liste civiche dei presidenti.

Inoltre, il terzo (che poi tecnicamente sarebbe il quarto) mandato a Zaia è fuori da qualsiasi possibilità per il governo, che sarebbe pronto a impugnare la legge regionale campana che permetterebbe l’ennesima ricandidatura di Vincenzo De Luca. Dire di no a Salvini, però, non è cosa semplice, soprattutto in questa fase in cui basta un nulla per far saltare o bloccare dossier nazionali delicati.

Soprattutto perché a battere le pianure venete c’è anche l’azzurro, ed ex leghista, Flavio Tosi, che continua a ripetere il suo sibillino «se serve ci sono» e non ha mai fatto mistero di ambire alla successione dell’odiato Zaia.

Le ambizioni di FI

Come sempre tra alleati non si discute mai di una nomina sola e Forza Italia – forte di un accresciuto consenso elettorale che l’ha portata a superare la Lega – chiede il suo spazio. La nomina di Raffaele Fitto vicepresidente esecutivo in Ue è stata anche il frutto del lavoro di Antonio Tajani, che ha spronato il Partito popolare a difendere il candidato italiano di Ecr dagli attacchi socialisti.

Naturale che il ministro degli Esteri voglia incassare il suo dividendo. Anche alla luce del fatto che, mentre gli alleati hanno ottenuto ciò che volevano in Rai, la nomina della presidente Simona Agnes – sponsorizzata dagli azzurri – è ancora ferma al palo.

Una via per gratificare Forza Italia potrebbe essere la Corte costituzionale. Dopo più di un anno di impasse, la situazione sembra essersi sbloccata. La seduta comune del parlamento è stata convocata per giovedì prossimo, con una mossa inaspettata che fa presagire un accordo ormai chiuso tra maggioranza e opposizione. Le camere hanno dato attuazione alla norma che consente di nominare i giudici costituzionali un mese prima della formale scadenza del proprio novennato. Risultato: se fino a oggi si è votato per sostituire l’unico giudice mancante, dal 28 i parlamentari dovranno votare quattro nomi.

Il sostituto di Silvana Sciarra su una scheda e con il quorum di tre quinti, i tre in scadenza il 21 dicembre su un’altra scheda, con maggioranza qualificata di due terzi. L’accordo a monte è quello di due nomi al centrodestra, uno al centrosinistra e uno di un tecnico.

Se FdI continuerà a puntare su Francesco Saverio Marini, il secondo posto potrebbe toccare proprio a Forza Italia, che già al Csm ha rinunciato al secondo laico, cedendolo alla Lega. In lizza ci sono Pierantonio Zanettin, veneto, e il viceministro barese Francesco Paolo Sisto, che potrebbe spuntarla anche in virtù di un riequilibrio geografico. Un complesso gioco di pesi e contrappesi tra alleati, in cui le scintille sono inevitabili.

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