- La visita di commiato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a papa Francesco non è un fatto usuale. L’ultima fu quella di Francesco Cossiga a Giovanni Paolo II il 27 aprile 1992.
- Per i vescovi italiani reduci dall’esposizione reazionaria della Cei del cardinale Camillo Ruini, Mattarella incarnava quella discrezione foriera del principio di laicità positiva di papa Benedetto XVI.
- Il Vaticano guarda a un presidente che erediti lo stesso “centrismo” di Mattarella: oltre al premier Mario Draghi, Oltretevere si trova il consenso su due donne, Marta Cartabia ed Elisabetta Belloni.
Si è conclusa dopo circa due ore la visita di congedo del presidente Mattarella in Vaticano. «Grazie della testimonianza, grazie, il meglio della testimonianza» Sono le parole con cui papa Bergoglio ha salutato il presidente della Repubblica. Al termine della visita, che arriva al culmine del mandato settennale del capo dello Stato, è avvenuto anche uno scambio di doni. Papa Francesco a donato a Mattarella anche il messaggio per la giornata della pace del 2022, un testo ancora non pubblicato.
Se si esclude quello informale del presidente emerito Giorgio Napolitano a papa Francesco a Santa Marta, l’ultimo incontro di commiato di un capo dello stato Oltretevere risale al 1992, quando il dimissionario Francesco Cossiga ha fatto visita a papa Giovanni Paolo.
Il peso che il Quirinale dà all’incontro di oggi lo dimostra lo stesso annuncio, dato il 9 settembre, con largo anticipo: un messaggio a chi, da lì ai mesi successivi, avrebbe chiesto con ostinazione una riconferma di Mattarella al Colle.
Un’intenzione analoga potrebbe leggersi fra le righe del telegramma inviato dal capo dello stato a Francesco di ritorno dalla Grecia in cui, pur non rispondendo direttamente alle parti politiche accodatesi ai bis a lui indirizzati alla prima del Teatro alla Scala, ha fatto trasparire l’ennesimo rifiuto di un secondo mandato: «In attesa di avere il piacere di incontrarla nuovamente tra pochi giorni in Vaticano, le rinnovo i sentimenti di affetto e vicinanza del popolo italiano».
Francescanesimo laico
Nel 2015 papa Francesco aveva già dato prova di buoni rapporti con Napolitano che, in omaggio alla sua sobrietà cerimoniale, aveva dismesso il frac con il collare previsto nelle visite ufficiali.
Napolitano era, per giunta, reduce da ottime relazioni con papa Benedetto XVI al punto che, come rivela lo storico Alessandro Acciavatti nel suo saggio Oltretevere (Piemme, 2018), il presidente della Repubblica era già stato informato dal papa stesso delle sue dimissioni, a margine di un concerto nell’aula Paolo VI.
Era il 2013 e, in una manciata di mesi, alle dimissioni di Ratzinger ha fatto da contraltare la riconferma di Napolitano per il suo secondo mandato al Colle: ricordando quell’evento, papa Francesco ha detto a Massimo Franco sul Corriere della Sera che era stato un «gesto di eroicità patriottica».
Bergoglio spartisce con Mattarella una sobrietà comune, di matrice francescana, già presente nel suo primo discorso al congresso della Dc nel 1984 quando, quattro anni dopo la morte del fratello Piersanti, Mattarella ha eletto san Francesco a stella del proprio orizzonte politico: «Vorrei più modestamente richiamare la preghiera di Francesco che non chiedeva tanto di essere aiutato quanto di aiutare, che non chiedeva tanto di ricevere quanto di dare, che non chiedeva tanto di essere compreso quanto di comprendere». Lo avrebbe fatto anche il papa a suo modo, assumendone il nome.
Laicità positiva
Per la nomenclatura vaticana che ha scelto di essere prudente dopo gli anni della linea conservatrice impressa dal cardinale Camillo Ruini, presidente dei vescovi italiani fino al 2007, Mattarella ha incarnato l’uomo giusto.
Il suo ruolo di arbitro è in armonia con i principi di “laicità positiva” enunciati chiaramente da papa Benedetto XVI nel discorso ai funzionari francesi presso l’Eliseo nel 2008: assicurare, cioè, la legittima autonomia delle realtà ecclesiale e mondana per garantire i diritti umani di tutti e preservare la libertà, inclusa quella religiosa.
Lo ricordava il presidente della Repubblica in occasione della visita di Francesco al Quirinale nel 2017, riconoscendo al pontefice, reduce dalla Conferenza internazionale per la pace presso l’università di al Azhar, quell’impegno per il dialogo tra le fedi che detterà lo spirito di Assisi, consolidatosi con l’incontro per la pace svoltosi in Campidoglio nel 2020.
In più occasioni, Francesco ha rimarcato il ruolo dell’eredità politica italiana nella creazione di una democrazia dal respiro sovranazionale: ha citato l’articolo 1 della Costituzione all’incontro coi lavoratori dell’Ilva di Genova nel 2017 e sempre in quell’anno ha citato gli accordi di Villa Madama quale esempio di «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del paese».
Palla al centro
Dopo sette anni di presidenza Mattarella, in Vaticano si attende una figura che sappia far convergere l’interesse nazionale e il rispetto del fattore religioso nello spazio pubblico, secondo lo spirito europeista del Trattato di Lisbona.
In Vaticano c’è chi, in camera caritatis, dichiara una preferenza per la salita al Colle del presidente del Consiglio, Mario Draghi, arbitro naturale del momento politico. D’altra parte, la chiesa gli riconosce una centralità nel ruolo di ripresa dell’economia italiana che lo inchioderebbe a palazzo Chigi: «La marcia di Draghi verso il Quirinale, in ogni caso, è tutt’altro che scontata», scriveva pochi giorni fa il quotidiano dei vescovi Avvenire.
In Terza Loggia, però, si fanno strada due nomi analoghi, equidistanti dai partiti e garanti di un rapporto Oltretevere schietto, peraltro già consolidato. Si tratta della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e della donna che Draghi ha voluto a capo dell’intelligence, Elisabetta Belloni.
Presidente emerito della Corte costituzionale, Cartabia è nota per la sua formazione cattolica e l’appartenenza al movimento di Comunione e liberazione, ma anche per il suo ruolo tecnico, che la renderebbe vicina al “centrismo” del presidente Mattarella: «La presenza dei credenti nella vita politica corre sul filo teso di una polarità che deve rimanere sospesa», scriveva nella prefazione del libro Ricostruiamo la politica del gesuita Francesco Occhetta.
Anche il profilo di Elisabetta Belloni piace. Prima alunna a studiare nella stessa scuola dei Gesuiti frequentata dal premier, l’Istituto Massimo, era a capo dell’unità per la Cooperazione allo sviluppo quando nel 2009 lanciò su Famiglia Cristiana un appello a ricercare adeguate risorse per sostenere la cooperazione.
Sarà l’integrazione graduale delle donne nella chiesa di papa Francesco, ma Oltretevere la scelta per il Colle di un inquilino donna non solo non dispiace, ma sembrerebbe pure auspicabile.
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