Il presidente leghista si conferma alla guida della provincia. La Lega passa dal 27 per cento del 2018 al 13, ma il listino Fugatti prende il 10. FdI non sfonda e si ferma al 13 per cento
Il Trentino, terra di autonomia e storico laboratorio politico sia a destra sia a sinistra, è ormai omologato al Veneto e al Friuli-Venezia Giulia. Le elezioni provinciali, infatti, restituiscono un quadro omogeneo rispetto al modello del nord-est costruito nel tempo dal presidente leghista per antonomasia, Luca Zaia.
Nelle elezioni di domenica il confermato presidente trentino Maurizio Fugatti, salviniano doc, ha ottenuto quasi il 51 per cento, migliorando di cinque punti (e 4.000 voti assoluti) il risultato del 2018. Per la prima volta anche lui ha utilizzato il “modello Zaia” per frenare l’avanzata al nord di Fratelli d’Italia: affiancare alla lista della Lega un suo listino personale, spacchettando sì il consenso del partito ma allargandolo a mondi civici di centrodestra.
Risultato: nonostante il vento meloniano soffi anche in Trentino (dove alle scorse politiche FdI ha preso il 18 per cento contro l’8,5 della Lega), il consiglio provinciale non è stato fagocitato dalla fiamma. Ma poggerà su tre blocchi quasi omogenei: la Lega con il 13 per cento, FdI con il 12 (nel 2018 era all’1,4), il listino del presidente con il 10. Uno scenario molto simile a quello friulano, dove Massimiliano Fedriga è stato rieletto con il 64 per cento dei voti ma con blocchi sostanzialmente analoghi: 19 per cento alla Lega, 18 a FdI e 17,7 per il suo listino personale.
La tecnica del listino
Il modello più di successo, tuttavia, rimane quello del veneto Luca Zaia, che ormai dal 2015 ha sperimentato la tecnica del listino personale con sempre maggior successo, tanto da toccare il quasi plebiscitario 44 per cento solo con la lista del presidente. A oggi, tuttavia, questo sistema è stato il più efficace deterrente all’espansione di Fratelli d’Italia alle elezioni amministrative del nord. Nel caso Trentino Fugatti è riuscito a strappare la ricandidatura con le unghie.
La mediocre gestione dell’emergenza Covid e alcuni dissapori interni con FdI avevano messo in dubbio una sua riconferma. Dopo un lungo dibattito interno è però prevalsa la regola aurea del centrodestra: il secondo mandato non si nega mai al presidente uscente. Inoltre il leghista è riuscito a portare in dote alla sua coalizione anche il Patt, il Partito autonomista che storicamente era alleato del centrosinistra e che, con il cambio di fronte, ha definitivamente archiviato una stagione politica in provincia.
La vittoria di Fugatti, al di là dei tecnicismi, è una boccata d’ossigeno per Matteo Salvini. Il segretario leghista è stato assiduo frequentatore della provincia nel corso della campagna elettorale, con addirittura tre passaggi al fianco del suo presidente. Un investimento di tempo e sforzi che ha ripagato, permettendogli di mantenere in equilibrio il suo partito al nord, non perdendo terreno rispetto all’alleato-nemico di FdI e mantenendo nel Triveneto un leghista considerato tra gli ortodossi della linea del segretario, a differenza di Zaia e Fedriga.
Per questo ha esultato, ricordando che «Lega e Civica del presidente sono la prima forza politica con oltre il 20 per cento». Giorgia Meloni, dal canto suo, non potendo rivendicare un risultato travolgente, è andata sul sicuro: «Il centrodestra unito porta a casa un altro grande risultato». Tutt’altro scenario a sinistra, dove arriva la seconda sconfitta consecutiva in provincia. Il Pd è primo partito con il 16,6 per cento (tre punti meglio del 2018) ma il candidato e sindaco di Rovereto, Francesco Valduga, si è fermato al 37 per cento. La città della Quercia dovrà affrontare presto un’elezione comunale tutt’altro che scontata e il comune di Trento, a guida Pd, un rimpasto di giunta: tre assessori sono stati eletti in provincia. Sparisce, invece, il Movimento 5 stelle (1,9 per cento).
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