- La destra unita, battaglia all’ultimo voto per espugnare le due città, a caccia del colpaccio per il test nazionale. Nell’unico capoluogo di regione e nella città lombarda i leader di maggioranza si sono presentati sul palco insieme. Quelli del campo avversario invece no.
- Il centrosinistra ad alleanze variabili si difende come può. Pd e M5S sono alleati a Brindisi, Latina, Teramo e Pisa mentre Pd e Terzo Polo si presentano in coalizione ad Ancona, Vicenza e Brescia.
- La segretaria Pd punta a tenere le posizioni, ma è una scommessa difficile. E possibilmente riconquistare Pisa e Siena, le ex roccaforti rosse già consegnate alle destre.
La linea gotica della destra passa per Ancona, l’unico capoluogo di regione che va al voto nella tornata di amministrative di oggi e domani. È innanzitutto qui che Giorgia Meloni cerca il colpaccio simbolico nazionale: espugnare per la prima volta nella storia della Repubblica una delle ultime roccaforti del centrosinistra, mai governata dalla destra, da due mandati governata da Valeria Mancinelli, premio migliore sindaco d’Europa. Mancinelli, donna autorevole dai modi essenziali (a volte un po’ bruschi), ha risanato il comune dalla bancarotta, e ora vuole consegnare il lavoro alla sua assessora Ida Simonella, a cui dieci anni fa ha affidato la delega al bilancio dopo averla ascoltata in un convegno. Simonella è allieva del prestigioso economista Giorgio Fuà all’Istituto Adriano Olivetti. In tempi “normali” con il suo sfidante Daniele Silvetti, ex An, inciampato dieci anni fa in un crack di una sala Bingo, non ci sarebbe partita. Ma non sono tempi normali nelle Marche, il laboratorio di Fratelli d’Italia guidato da Francesco Acquaroli, pupillo di Meloni.
In città si respira aria di spallata. Oggi nel mirino c’è Ancona, al prossimo giro ci sarà Pesaro. Le altre città della regione si sono già arrese alla destra. Per questo lo scontro si è incattivito, lo si capisce dai social ma anche per le strade. Giovedì scorso uno striscione annunciava l’arrivo di Elly Schlein al Teatro delle Muse: in molti giurano che sia stato Maurizio Gasparri – nel capoluogo per la campagna elettorale – a telefonare ai vigili urbani e “chiedere” di tirarlo giù. Inutile per i militanti Pd opporre il fatto che il lunedì le destre prima avevano fatto montare il palco a piazza Roma sin dalla mattina, con tanto di striscioni pubblicitari rimasti in esposizione tutto il giorno fino all’arrivo dei leader nazionali, la sera: Meloni, i suoi vice Matteo Salvini e Antonio Tajani, il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi, spettacolino condotto dall’attore Pino Insegno. «Liberiamo Ancona» ha strillato da lì la premier.
In città si racconta anche di “suggerimenti” agli imprenditori locali di quanto sarebbe meglio per loro che si allineasse “la filiera” cittadina a quella regionale. Meloni lo ha ribadito dal palco: «Governo e regione sono una filiera che funziona. Manca solo Ancona». Curiosamente sui giornali, non c’è mai menzione delle disavventure giudiziarie del candidato Silvetti che nel 2010 presiedeva il cda della società che gestiva la sala Bingo alla Baraccola, un crack da 3 milioni nel 2010. Silvetti, ex An ma oggi in Forza Italia, è il volto moderato che sfugge, dai confronti con Simonella, conscio del dislivello. La destra unita sfida la candidata indipendente sostenuta solo da Pd e Terzo Polo; per l’appoggio dei Cinque stelle bisognerà aspettare il ballottaggio, ammesso che arrivi: «Puntiamo a riunire tutto il centrosinistra, la sinistra e le forze civiche. Sono certo che tutti saranno consapevoli che consegnare la città alla destra è un prezzo troppo alto da pagare alle sfide identitarie. Per tutto il paese, non solo per Ancona», si augura Alberto Losacco, senatore del Pd Marche.
Brescia, le altre
L’altro colpo grosso a cui punta Meloni è Brescia, la città governata per due mandati da Emilio Del Bono, eletto consigliere regionale con 35.761 voti, il più votato in Lombardia. La candidata del centrosinistra è la sua vice Laura Castelletti, sostenuta da Pd, Terzo Polo e una serie di liste civiche e ambientaliste. È l’altra scommessa: la destra qui ha chiuso la campagna elettorale nella stessa formazione in cui si è presentata ad Ancona.
Elly Schlein ha battuto le città al voto senza risparmiarsi. Spera di reggere l’urto della destra galvanizzata dal governo, e di portare a casa un risultato spendibile come primo effetto positivo della sua segreteria. Mantenendo le (poche, in questo turno) città amministrate dal centrosinistra, e tentando la rimonta nelle città rosse già consegnate agli avversari.
Oltre a Ancona, sono 12 i capoluoghi di provincia al voto, otto governati dalla destra (Sondrio, Treviso, Vicenza, Imperia, Siena, Pisa, Massa, Terni), tre dal centrosinistra (Brescia, Teramo, Brindisi), a cui va aggiunta Latina, retta da un commissario, dove l’eroico sindaco Damiano Coletta, ricandidato, ha vinto per tre volte (due elezioni e una suppletiva) ma è stato mandato a casa con le dimissioni in massa dei 19 consiglieri di destra davanti al notaio (l’ispirazione è la modalità che usò il Pd nel 2015 per giubilare Ignazio Marino a Roma, solo lì l’iniziativa la maggioranza ha cacciato il suo sindaco).
Il centrodestra va unito ovunque. Il centrosinistra no: le sue alleanze sono un rompicapo cervellotico, specchio perfetto dei rapporti fra le opposizioni in parlamento. Pd e M5S sono alleati a Brindisi, Latina, Teramo e Pisa (qui con Sinistra italiana e Europa Verde) mentre Pd e Terzo Polo si presentano in coalizione ad Ancona, Vicenza e Brescia (in queste due ultime con Si e Ev, a Brescia c’è anche +Europa). Dem alleati con Sinistra italiana a Siena (senza Europa Verde), Massa e Terni (con Europa Verde), da soli a Sondrio e Imperia, con la sola Europa Verde a Treviso. Le alleanze sono esplose in una miriade di casi locali anche nelle altre 582 città che rinnovano le amministrazioni, per quattro milioni e mezzo di cittadini che vanno al voto, o almeno ne avrebbero diritto.
Comunque vada, a sinistra, la tornata non fornirà esempi buoni a dare indicazioni alle alleanze nazionali. Che non ci sono, come si è affrettato a ribadire Giuseppe Conte negli ultimi comizi, tenuti in proprio, senza mai condividere il palco con gli alleati. Schlein ha chiuso in Toscana, a Pisa con il candidato Paolo Martinelli e poi a piazza del Mercato di Siena con la candidata sindaca Anna Ferretti, cattolica. La segreteria spera di riprendersi le città dell’ex regione rossa. E magari, al ballottaggio, di spuntarla anche Vicenza, dove corre il giovane Giacomo Possamai, capogruppo Pd in regione Veneto.
Cinque stelle verso Sud
Per i Cinque stelle la partita è tutta al sud. Dalle città del nord, spiegano alla sede di via di Campo Marzio, c’è poco da cavare. A Sondrio non sono riusciti neanche a presentare una lista. La partita più attenzionata è quella di Brindisi: l’avvocato Roberto Fusco è il candidato di M5s- Pd, separato da anni da Riccardo Rossi, sindaco uscente, a questo giro sostenuto da Ev, Si e una lista civica. Alle scorse politiche Fusco ha corso senza successo per il senato. Il Pd, scottato dall’esperienza con Rossi, si è accodato a lui. Le possibilità di vittoria sono buone, la scommessa è che possa rinascere, almeno a livello locale, un’intesa benedetta dall’uomo forte dei dem in Puglia, il presidente Michele Emiliano. Bari è l’unico capoluogo di regione dove Pd e M5s collaborano.
A fine mese toccherà ai comuni siciliani, l’ex bacino di voti del Movimento,. Qui alleanze con i dem a Catania e Siracusa. Relazioni non facili, e pure pericolose, vista la rottura alle regionali, e il freddo che tira a Roma, dove Conte ripete che «nessuna alleanza strutturale» è nell’aria.
Nell’aria resta anche la delusione dell’ultimo confronto sui territori, quello in Friuli-Venezia Giulia. Nella regione del capogruppo al Senato Stefano Patuanelli il Movimento ha preso meno dei No-Vax. Il riscatto dovrà venire al voto regionale per il Molise, il prossimo 25 e 26 giugno. Lì il centrodestra è in difficoltà, M5s mantiene le posizioni, e per i giallorossi si apre una possibilità. Il candidato è Roberto Gravina, sindaco di Campobasso e uomo di Conte. C’era un altro papabile, Andrea Greco, ma è consigliere regionale al secondo mandato. Scusa perfetta per escludere un attivista della prima ora che ha conservato toni da grillino impenitente che lo rendono poco adatto ai rapporti con il Pd. L’alleato val bene una messa per Conte, almeno quando la posta in palio è la prima regione governata da uno dei suoi.
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