La commissione ha una lista di persone da audire sul caso di Perugia. Il senatore: «La destra cerca vendetta. La libertà di stampa va tutelata»
Senatore Walter Verini (Pd), lei è componente della commissione Antimafia. Ieri la commissione ha fatto sapere che ascolterà anche il direttore Fittipaldi di questo giornale, e l’editore De Benedetti. Ci spiega cos’è successo nell’Ufficio di presidenza?
Sono state fissate solo tre audizioni: quella del comandante generale della Guardia di finanza, del direttore della Direzione antimafia, e del direttore dell’Uif, l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. Poi la presidente Colosimo ha elencato le altre richieste di audizione, che presumibilmente ha intenzione di fissare nel tempo.
Sono le richieste dei diversi gruppi: l’attuale capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che all’epoca era il coordinatore del servizio in cui lavorava Striano, il quale rispondeva a Laudati; il ministro Crosetto; il procuratore di Roma; il garante della Privacy; l’editore De Benedetti, il direttore Fittipaldi; l’Ordine dei giornalisti e la Federazione nazionale della Stampa.
Lei si era espresso contro l’audizione dei giornalisti. Vi siete opposti?
Sì. Già nella scorsa riunione Avs, Cinque stelle e Pd, nelle persone di Piccolotti, Ascari e me, avevano detto che non era opportuno invitare singoli giornalisti. Noi abbiamo proposto di chiamare la Fnsi e l’Ordine. Perché un invito di un singolo giornalista, o di un editore, rischia di suonare come un’intimidazione.
E poi ci sono in corso delle indagini. E per prassi la Commissione, quando si occupa di casi in cui sono in corso indagini, non convoca persone che sono indagate, per rispetto delle procure, in questo caso la procura di Perugia e quella di Roma. Certo i convocati non sono i cronisti indagati, ma il loro direttore e il loro editore. Resta che ha poco senso: chi meglio delle associazioni di categoria può contribuire a definire un quadro e in caso codici di autoregolamentazione deontologici per tutta la categoria? Mettere questa questione in capo al singolo giornalista è una forma evidente di pressione.
Maurizio Gasparri ha anche usato il caso per chiedere il commissariamento della Direzione antimafia. È nel novero delle cose possibili?
Gasparri usa spesso le parole come un manganello. In commissione ho chiesto al procuratore Cantone cosa pensa di questa proposta. L’ha definita una boutade. Ma, dico, indebolire in questo momento un presidio di contrasto alle mafie come la Dna è irresponsabile.
E non solo perché nacque dall’impulso di Giovanni Falcone, ma perché oggi la Procura nazionale antimafia, come ci dicono tutti quelli che si occupano di questi fenomeni, è insostituibile nel contrasto alla criminalità organizzata. E viene presa a modello da altri paesi europei. Questa parte della destra rischia di delegittimarla. Si assume una gravissima responsabilità.
Perché lo fa?
A mio avviso perché rientra nella linea politica di questa destra: anziché risolvere le anomalie che si verificano negli uffici giudiziari, vuole delegittimare la magistratura mettendone in discussione l’indipendenza e l’autonomia. È un disegno pericoloso.
Il ministro Crosetto e il ministro Nordio hanno chiesto una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Striano.
Una proposta avventata e stupefacente, che si sarebbe sovrapposta alle indagini della magistratura. Non a caso la stessa maggioranza l’ha fatta cadere. Per noi le indagini dovranno fare prima possibile piena luce su quanto è avvenuto, scoperchiare responsabilità, reti di complicità, obiettivi e finalità di questa inquietante vicenda.
La destra semplicemente si vendica su alcuni giornalisti?
C’è anche questo dietro questi atteggiamenti. Ormai sono troppi gli episodi di questo genere. L’Europa ci chiede di difendere il giornalismo d’inchiesta. E invece ormai siamo a una sequela di episodi che vanno nella direzione di comprimere la possibilità di pubblicare notizie e di fare giornalismo d’inchiesta.
Ci sono anche provvedimenti che vanno in questa direzione. L’Europa ci chiede di risolvere il problema delle querele temerarie, e invece la maggioranza ha proposto il disegno di legge Balboni che aumenta le sanzioni per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Serve l’esatto contrario: dobbiamo aumentare le sanzioni per chi fa querele temerarie. Devo poi ricordare l’intimidazione a magistrati che semplicemente applicano le leggi?
La premier attacca anche voi, il Pd. Vi preoccupa?
Il procuratore nazionale antimafia Melillo e il procuratore di Perugia Cantone, due magistrati fra i più capaci e seri, ci hanno detto che il sistema informatico del sistema paese è vulnerabile. E che sono vulnerabili gli stessi apparati informatici della giustizia. Quasi un anno fa lo stesso Melillo in commissione, alla prima audizione dal suo insediamento, ci disse che le mafie hanno investito ingenti risorse per piattaforme criptate e per renderle impenetrabili.
Siamo indietro, per recuperare questo gap dobbiamo investire in tecnologia, in rinnovamento e modernizzazione. Già allora aveva lanciato un allarme, oggi ce l’ha ribadito. Per questo mi aspetto da chi dovrebbe avere senso dello stato, davanti a queste denunce, di affrontare subito un problema così enorme e delicato: prevenire, rafforzare la sicurezza cibernetica e informatica, la protezione dei dati sensibili e i controlli, come ha fatto la Dna.
Invece ho sentito fare della propaganda e insultare gli avversari, giungendo ad accusare persino ambienti vicini al Pd. Un vero delirio.
Meloni sostiene che funzionari infedeli dello stato passavano notizie sensibili ad alcuni giornalisti e all’attuale vostro responsabile della comunicazione, Sandro Ruotolo.
Appunto, siamo nel campo della propaganda. Rilevo che ci sono giornali di destra che in questi giorni pubblicano chat e intercettazioni evidentemente tratte da ambiti simili a quelli che la destra accusa di divulgare notizie riservate. Noi però non diciamo che c’è un complotto di palazzo Chigi. Pensiamo che il giornalismo debba autoregolamentarsi.
È chiaro che sulla pubblicabilità di notizie che mettessero a repentaglio la sicurezza dello stato qualche domanda andrebbe ovviamente fatta. E per questo credo che la Federazione, le redazioni, debbano fare una riflessione: la stampa ha tutta la maturità per poter decidere. Ma in democrazia la stampa è un fondamentale contropotere.
Risolvere il problema limitandone la libertà è grave e sbagliato. Oggi, in un momento di crisi della democrazia, il ruolo della stampa è anche più cruciale. Ma bisogna che mantenga la sua voce. Semmai dobbiamo impedire che comportamenti illeciti vengano compiuti da dentro lo stato.
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