Presidente Luigi Zanda (già senatore e capogruppo al senato Pd, ndr), per vincere ora il suo Pd deve fare come in Francia o come in Gran Bretagna?

Paragonare situazioni diverse porta fuori strada. In queste ultime settimane in Europa sono accaduti due fatti politici importanti: la vittoria dei laburisti in Gran Bretagna e la sconfitta di Marine Le Pen in Francia. La dura sconfitta di Le Pen è dovuta a diversi fattori: la nascita per l’occasione di un fronte popolare, ma anche l’altissima partecipazione al voto, l’evidente inaffidabilità della destra.

E un’ottima legge elettorale con doppio turno e collegi, senza la quale non sarebbe stata immaginabile la convergenza del fronte popolare e di Emmanuel Macron al secondo turno. Tutto questo ci dice che Macron ha fatto bene a sciogliere il parlamento, senza lasciare a Le Pen la possibilità di lasciarsi rosolare a fuoco lento.

Se non si possono fare paralleli, possiamo almeno dire che in Spagna, in Francia, in Gran Bretagna ci sono politici coraggiosi. Invece in Italia c’è una lunga tradizione di progressisti che nei momenti di crisi evitano come la peste di azzardare il voto, o comunque di scommetterci.

L’azzardo è sempre da evitare. Ma quando le circostanze politiche lo richiedono, il parlamento può essere sciolto. Se lo prevede la Costituzione, qualcosa vorrà dire. La sinistra italiana spesso ha temuto lo scioglimento anticipato.

È questo l’insegnamento per la sinistra italiana?

Sì. Ma c’è un altro insegnamento: le leggi elettorali debbono rendere riconoscibili gli aspiranti parlamentari. Leggi che prevedono collegi, soprattutto se piccoli, sono molto più democratiche delle liste bloccate all’italiana.

Non sembra che la destra italiana stia immaginando una legge senza liste bloccate.

La destra ha vinto con il solo 27 per cento degli aventi diritto al voto. Grazie a una cattiva legge elettorale voluta dalla sinistra. E ora ha tutto l’interesse a mantenerla.

Insomma Schlein non deve fare come Macron, né come Mélenchon, né come Starmer?

La Francia non ha seguito la via inglese, la Gran Bretagna non ha seguito quella francese. La Spagna ha seguito una sua via. Fino a quando l’Europa non avrà una unione politica, ogni paese manterrà la sua legge elettorale e le sue forze politiche. La legge elettorale inglese dura da decenni, e la sfida politica è sempre fra laburisti e conservatori. Invidio gli inglesi, ma per Italia è una chimera.

Non sappiamo ora cosa succederà a Parigi, ma possiamo almeno dire che le sinistre francesi, quella socialista e quella radicale, hanno dimostrato di essere adulte?

Hanno dimostrato di avere sale in zucca. Se non si fossero unite Le Pen avrebbe vinto. La maturità delle sinistre, insieme alla loro desistenza e a quella di Macron, al doppio turno e ai collegi elettorali hanno salvato la Francia, e con la Francia hanno salvato l’Europa: in più hanno evitato un peggioramento grave degli equilibri geopolitici mondiali, la questione che più dovrebbe preoccuparci.

Le sinistre italiane avranno lo stesso “sale in zucca”?

Non lo so. Fatico anche a capire qual è il recinto delle sinistre italiane. Mi ha fatto piacere che i Cinque stelle in Europa si siano iscritti in un gruppo che si definisce “sinistra”, ma per Giuseppe Conte la parola sinistra è ancora impronunciabile.

Ma la scelta di campo l’ha fatta. Si è definito “progressista”.

Meglio di conservatore, certo.

Dice Andrea Orlando: «La parola socialismo provoca convulsioni in Italia, e invece è la via».

Le democrazie moderne e mature farebbero bene ad aspirare al socialismo democratico.

La piazza francese grida in italiano “siamo tutti antifascisti”. Ora all’Europa resta il problema dell’Italia?

La situazione europea è in grande movimento. Innanzitutto l’Europa dovrebbe riflettere sulla sua democrazia. La presidenza del Consiglio d’Europa, il massimo organismo politico, è assegnata a rotazione ai capi di Stato e di Governo. La rotazione non è un buon metodo democratico. La prova la sta dando Orbán che è appunto presidente a rotazione.

La rappresentanza politica si ottiene attraverso il voto popolare: abbiamo bisogno di un parlamento europeo eletto con una sola legge elettorale, e non con 27 leggi diverse. E che abbia pieni poteri legislativi, e dalla quale esca una maggioranza che esprima il governo del continente. Il contrario dell’Europa delle “nazioni” che chiede Meloni.

Elly Schlein ora dovrebbe stringere i bulloni dell’alleanza?

Intanto Schlein dovrebbe convocare una grande conferenza nazionale del Pd, nella quale chiamare a raccolta tutto il paese, una conferenza che duri anche un anno, per definire la natura del partito e la sua linea. Dovrebbe raccogliere le diverse anime della sinistra intorno a un grande progetto politico.

Sulla democrazia, innanzitutto, perché il premierato di Meloni è il contrario della democrazia parlamentare. Il Pd si deve dedicare in profondità alla scuola, perché la formazione dei nuovi cittadini deve essere il nostro assillo. Poi naturalmente sicurezza e sanità. E un grande piano industriale, definendo cos’è nel 21esimo secolo la presenza dello Stato nell’economia. Ha ragione Romano Prodi: serve un programma completo per l’Italia.

Schlein ha già vinto le europee sulla base di un programma sociale: sanità pubblica, lavoro, salari.

Schlein è stata efficace. Ma il Pd è andato bene alle europee anche perché è il partito più europeista di tutti. E alla nostra bella vittoria hanno contribuito le buone liste, la crisi di Conte, e il vicolo cieco in cui si è ficcato il centro.

Carlo Calenda si smarca dalla coalizione. Il centro troverà un suo interprete nel centrosinistra?

Tempo al tempo. Calenda finirà con lo schierarsi con il Pd.

Matteo Renzi ora guarda a sinistra.

Aspettiamo quale sarà la sua posizione alla fine. Piuttosto Più Europa avrebbe fatto bene ad andare da sola alle europee.

In ogni caso sul centrosinistra italiano incombe la divisione sulla politica estera. Guerre, conflitti, armi. M5s entra in The Left, che non fa presagire ripensamenti sugli aiuti militari a Kiev. Questo tema va sminato o ignorato, come fa la destra, che su questo è altrettanto divisa?

In politica estera le ipocrisie sono peggio di un errore: sono un delitto. Siamo già dentro una nuova forma di guerra fredda, e troppi sonnambuli sottovalutano il rischio che il piano inclinato alla fine finisca in una guerra ampia. Non sappiamo se nucleare o no, ma comunque distruttiva per il pianeta.

I processi geopolitici del mondo, Ucraina e Medioriente sembrano l’anticipazione di qualcosa di più grave. Né gli Usa né la Cina vogliono la guerra, ma ci sono troppe polveriere in attività. Ci sono fattori incontrollati o, peggio, manovrati da potenze che non cercano la pace.

Questa per le alleanze nazionali è un’aggravante. Si aspettano le elezioni Usa. Joe Biden dovrebbe ritirarsi?

Non ho nessuna informazione particolare, ma immagino che rinuncerà, l’augurio è che i democratici scelgano un candidato che abbia i numeri per vincere, come Michelle Obama. Faccio il suo nome per indicarne il profilo.

Giorgia Meloni è nei guai in Europa, oppure la destra italiana non assomiglia a quella francese?

Meloni è a un passaggio difficile, ha capito che Matteo Salvini sarà per tutta la legislatura una spina nel fianco. Antonio Tajani dice che Forza Italia aspira al 20 per cento, e dovrà fare una sua politica autonoma per raggiungere questo risultato. Dunque la premier ha un problema nella coalizione.

Il suo governo sta concludendo poco, e in Europa questo non è un momento felice per lei. I suoi conservatori stanno facendo una cura dimagrante molto pesante. L’interesse nazionale la obbligherebbe a votare per Von der Leyen, ma questo le porrebbe un problema con la sua parte politica. Il suo amico Viktor Orbán fa l’opposto di quello che lei ha sostenuto in questi due anni di governo. In queste condizione, è difficile immaginare che la legislatura possa arrivare al 2027.

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